Bernard-Henri Lévy, l'alfiere dell’imperialismo francese in "tournée'" in Italia "contro il populismo"
Nella verosimile speranza che qualche imbecille gli “rinfacci” il suo “essere ebreo” - per potere così attestare l’”antisemitismo” che permeerebbe il “populismo” e ravvivare così la sua imminente tournée italiana - scalda i motori con ben tre articoli (vedi qui, qui e qui) e un video pubblicati in tre giorni su La Stampa. Stiamo parlando di Bernard-Henri Lévy, salito agli onori delle cronache in Italia quando, nell’ormai lontano 1977, spacciandosi per “rivoluzionario”, insieme ad altri tre “filosofi”, riuscì a dirottare sulle secche dell’antioperaio “Movimento degli indiani metropolitani” quello che restava del “68. Forse il primo tentativo di creare uno pseudo movimento “rivoluzionario” che, dopo il crollo del Muro di Berlino, sarà poi perfezionato e applicato, dai Think tank del Dipartimento di Stato, in tutto il mondo, fino ad arrivare al trionfo del “movimento dei diritti umani” e, quindi delle Primavere colorate.
Primavere colorate - e, quindi, guerre - delle quali Bernard-Henri Lévy si direbbe essere il principale promotore. Ma su questo già molto si è scritto. Meglio accennare, invece, sul progetto politico che sta dietro la sua scesa in campo per le elezioni europee e, soprattutto, sulla titubanza dei media italiani (ad eccezione del Gruppo editoriale de Benedetti) ad appoggiarlo. A spiegarlo è, sostanzialmente, il disfacimento della base del Partito Democratico dilaniata dalla tentazione di appoggiare, in funzione anti-Salvini, o quella che si ritiene “l’anima di sinistra del Movimento Cinque Stelle” o gli euroinomani, capitanati da Carlo Calenda (in questi giorni galvanizzati e dall’endorsement di Bernard-Henri Lévy).
In tal senso la scesa in campo dell’alfiere dell’imperialismo francese (forte del Trattato di Aquisgrana tra la Merkel e Macron) attiva una dinamica da seguire con attenzione.
Francesco Santoianni