“C’è un aggressore e un aggredito!”, la propaganda occidentale e il caso Corea

“C’è un aggressore e un aggredito!”, la propaganda occidentale e il caso Corea

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di Leonardo Sinigaglia 

“C’è un aggressore e un aggredito!”: con questo mantra ormai da più di un anno si cerca di silenziare qualsiasi dibattito in merito al conflitto ucraino, cercando di dipingere secondo un fallace schematismo quella che è una situazione complessa. Non solo le categorie di “aggressore” e “aggredito” non dovrebbero essere utilizzate, soprattutto nella guerra moderna, limitando la propria visuale al “fermo immagine” del febbraio 2022, ma, ad un’indagine approfondita, si rivelano assai più fallaci di quanto possa pensare la fazione liberale filo-occidentale.

“La Russia ha invaso l’Ucraina!”: quella che dalle segreterie atlantiche è definita “aggressione immotivata” è stato formalmente l’intervento militare chiesto da un quelli che all’epoca erano due Stati stranieri, le repubbliche di Donetsk e Lugansk, che, riconosciute nella loro indipendenza e statualità, hanno chiesto l’aiuto della Federazione Russa con cui avevano appena siglato un trattato di reciproca difesa. Se la sostanza delle ostilità non cambia, politicamente è rilevante e deciso notare come non si sia trattato di un’aggressione deliberata e immotivata, come quelle occidentali contro Iraq e Afghanistan, ma di un intervento militare causato dalla guerra scatenata dal regime di Kiev contro le popolazioni russofone e i dissidenti politici sin dalla primavera del 2014.

La retorica dell’aggressore e dell’aggredito non è una novità nell’arsenale propagandistico del blocco occidentale. Già altre volte questa bandiera è stata innalzata per giustificare interventi militari e coinvolgimenti bellici. Caso eclatante è la Guerra di Corea, di cui il 25 cade l’anniversario formale. Su di questa la narrazione in Occidente è sempre stata compatta e monolitica: i comunisti hanno invaso il Sud, questa è la prova della loro intrinseca pericolosità, e quindi è necessario intervenire in forze per difendere la democrazia sotto attacco. Ma come oggi la retorica sulla pretesa “aggressività russa” non convince che i fanatici del liberalismo, così la ricostruzione occidentale sulla Guerra di Corea fa sorgere più di un dubbio.

Dopo essere stata a lungo nell’orbita cinese, la Corea venne annessa all’Impero giapponese tra 1895 e 1910. La resistenza all’occupazione caratterizzò gli anni successivi, con grandi movimenti studenteschi, le prime manifestazioni del movimento operaio e la formazione di un’intellettualità rivoluzionaria, progressivamente influenzata dalle idee marxiste-leniniste. Quando l’Armata Rossa liberò la penisola dall’occupazione nel 1945, al suo fianco vi erano le numerose forze guerrigliere che avevano lottato per tutti gli anni trascorsi contro l’invasore. Tra i membri di queste vi era Kim Il-sung, nato  nel 1912 nei pressi di Pyongyang da una famiglia contadina che, per la propria attività politica indipendentista, dovette riparare nella Cina nordorientale, dove si unì successivamente alla locale guerriglia anti-nipponica e al Partito Comunista Cinese, venendo poi addestrato in Unione Sovietica. Giovane e carismatico, divenne vicepresidente del Partito dei Lavoratori di Corea[1].

La lotta patriottica che da decenni i coreani conducevano contro l’imperialismo giapponese sembrò coronata da un totale successo per alcune settimane: la capitolazione delle forze nipponiche e l’avanzata di quelle sovietiche aprirono le porte alla proclamazione della Repubblica Popolare Coreana nei trenta giorni a cavallo tra la metà dell’agosto e quella di settembre. Fondata su di una rete di assemblee popolari locali, questa ebbe però vita breve. L’otto settembre 1945 l’esercito statunitense sbarcò a Incheon, sulla costa a Ovest di Seul, punto strategico per impedire l’ingresso dell’Armata Rossa nel Meridione del paese, per procedere poi alla divisione del paese al 38° parallelo, abolendo la Repubblica Popolare e sostituendola con un governo militare, l’USAMGIK[2], fondato sulle stesse strutture ereditate dal periodo dell’occupazione nipponica e focalizzato, come emerge dai proclami del generale McArthur, alla conservazione del potere dei grandi latifondisti locali e all’affermazione dell’indiscussa potestà delle truppe statunitensi[3].

Nell’ambito della Conferenza di Mosca del dicembre 1945 tra le varie questioni discusse vi fu anche quella coreana. I delegati statunitensi, guidati dal Segretario di Stato Francis Byrnes, cercarono di ottenere per la Corea una sorta di “protettorato internazionale”, che avrebbe visto la supervisione congiunta di Stati Uniti, Inghilterra, Repubblica di Cina, ossia il regime di Chiang Kai-shek, e dell’Unione Sovietica. Questo stato di cose sarebbe andato avanti per diversi anni, in attesa della costruzione di istituzioni democratiche. La proposta, evidentemente diretta a creare in Corea una replica della situazione tedesca, venne respinta.

Ciononostante Washington non desistette dai suoi progetti, e il 6 gennaio del 1946 il Dipartimento di Stato annunciò lo stanziamento di fondi per la “promozione della democrazia” nelle regioni occupate dalle truppe americane[4]. Successivamente, la commissione congiunta sovietico-statunitense per la riunificazione vide i propri lavori interrotti unilateralmente da parte americana, che scelse a più riprese di tentare un passaggio presso le Nazioni Unite, all’epoca egemonizzate in senso filo-statunitense sia tra gli Stati membri, sia nel Consiglio di Sicurezza. Nel novembre del 1947 una commissione dell’ONU costruita ad hoc iniziò a lavorare per elezioni comuni, venendo duramente boicottata al Nord, e osteggiata dalla popolazione a Sud.

Le consultazioni elettorali si tennero il 10 maggio dell’anno successivo, e il 19 giugno fu eletto presidente dell’Assemblea Nazionale Syngman Rhee. Questi era uno storico attivista indipendentista, ma, al contrario di Kim Il-sung, aveva rivolto il proprio sguardo agli Stati Uniti. Studiò a Princeton e coltivò contatti istituzionali ai massimi livelli, riuscendo a tornare in Corea nel 1945 per intercessione dello stesso. Fortemente anti-comunista e desideroso di compiacere l’alleato, era per gli Stati Uniti l’uomo giusto per la gestione di un regime amico nel Meridione del paese. Egli venne eletto senza competizione, poiché l’unico altro candidato nella circoscrizione di Dongdaemun A, il professor Choi Nung-jin, venne aggredito mentre si recava a consegnare i moduli con le firme necessarie alla candidatura, che vennero rubati[5].

Syngman Rhee si espresse sin da subito per una “giusta marcia verso nord[6], che avrebbe visto risolto il problema della riunificazione attraverso l’utilizzo della forza. I due Stati sorti dalla separazione, la Repubblica di Corea e la Repubblica Popolare Democratica di Corea, rivendicavano entrambi la piena sovranità su tutto il territorio nazionale: al netto dell’azione di numerose “colombe”, anche interne alle istituzioni americane, le condizioni per lo scontro maturavano di giorno in giorno. In particolare lavorava per l’escalation l’allora senatore John Foster Dulles, inviato speciale in Corea e teorico del “rollback”, ossia della controffensiva internazionale contro il “pericolo rosso”.

Sottovalutando le forze militari del Nord, Rhee contava di poter condurre una rapida offensiva atta a capitolare la repubblica rivale. I preparativi a ciò segnarono i due anni successivi. L’esercito della Repubblica di Corea venne armato e addestrato dagli Stati Uniti, mentre il dissenso interno fu duramente represso. Syngman Rhee costruì una vera e propria dittatura supportata dai gruppi sociali che già avevano sostenuto l’occupazione giapponese oltre che dal nuovo alleato americano. Tra la seconda metà del 1948 e il 1949 la polizia di Seoul arrestò 478.000 persone per motivi politici o collegati all’ordine pubblico, uccidendone 93.000 in esecuzioni o assassinii  extragiudiziari[7], mentre nel solo autunno del 1949 furono sciolte forzatamente 132 organizzazioni politiche[8].

Presso il 38° parallelo si concentrarono da entrambi i lati sempre più forze. Queste conducevano frequenti incursioni in territorio nemico con lo scopo di ottenere informazioni, compiere azioni di disturbo o sabotaggio. Solo l’esercito della Repubblica di Corea ne fece più di 2000 tra gennaio 1949 e giugno 1950[9]. La situazione peggiorò ulteriormente nell’estate del 1950: il 7 giugno Kim Il-sung si appellò al popolo coreano per il raggiungimento dell’unificazione pacifica tramite nuove elezioni generali, ma i delegati che mandò verso Sud per portare ufficialmente la proposta all’attenzione delle locali autorità vennero arrestati[10]. Il 18 giugno Dulles, accompagnato da consiglieri militari americani, tenne un’ispezione delle linee del fronte, evento che ricevette un’ampia copertura stampa. Questo fatto assunse una particolare rilevanza alla luce degli eventi successivi, poiché la notte del  23 giugno l’artiglieria di Seoul iniziò a colpire duramente la parte orientale della penisola di Ongjin, in direzione della città di Haeju, sulla costa Ovest del paese. Il bombardamento si protrasse per sei ore, e, dopo alcune ore di pausa durante la giornata del 24, riprese alle prime ore del giorno successivo.

La narrazione comunemente accettata in Occidente racconta come alle 4.00 del mattino le forze della Corea Popolare abbiano attaccato improvvisamente quelle di Seoul, dando inizio alla guerra di Corea. Questa visione, tentando di presentare una aleatoria dicotomia tra “aggredito” e “aggressore”, non tiene conto né del contesto strategico, né degli eventi che hanno immediatamente preceduto l’attraversamento del 38° parallelo. E’ difficile argomentare a favore della tesi dell’aggressività del governo di Pyongyang, il quale poteva unicamente contare sul supporto internazionale di uno Stato costruito pochi mesi prima, la Repubblica Popolare Cinese, e di uno sicuramente più stabile, ma impegnato contemporaneamente sull’incandescente fronte berlinese e ancora colpito dai lasciti demografici e materiali della Grande Guerra Patriottica.

La politica di contenimento statunitense, unita alla volontà belligerante del regime di Syngman Rhee, prescrivevano nei confronti della Corea Popolare l’accerchiamento e la distruzione, con l’obiettivo di aprirsi la strada sino al fiume Yalu, così da poter poter minacciare direttamente sia Vladivostok sia la Manciuria, economicamente fondamentale per la RPC. Quest’atteggiamento bellicoso caratterizzò il comportamento dei comandi sud-coreani anche a ridosso del 25 giugno, in quella che difficilmente potrebbe non essere vista come la preparazione ad operazioni offensive di larga portata. Non è infatti da dimenticare come l’iniziale rapida vittoria dell’Esercito Popolare Coreano si verificò anche grazie all’accumulo della stragrande maggioranza delle forze di Seoul sul confine, fatto che venne notato dallo stesso generale MacArthur, il quale davanti al Congresso affermò come la mancanza di profondità strategica dello schieramento di quella e l’aver stipato le proprie riserve in ogni chilometro tra il 38° parallelo e Seoul e furono le principali cause del tracollo dell’esercito sud-coreano nelle prime settimane di scontri[11]. Uno schieramento del genere molto difficilmente può dirsi rispondente ad esigenze difensive.

Davanti alla travolgente avanzata dell’esercito nord-coreano, gli Stati Uniti ottennero una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU a condanna dell’aggressione, alla quale ne seguirono il 27 giugno e il 7 luglio altre due che aprirono all’intervento militare a difesa di Seoul sotto l’egida delle Nazioni Unite. Ciò fu reso possibile dall’assenza dell’Unione Sovietica, intenta a boicottare il Consiglio di Sicurezza, e da quella della RPC, in quanto il seggio destinato alla rappresentanza della nazione cinese venne destinato al governo di Taipei.

Le prime truppe occidentali arrivarono nella penisola verso fine agosto, ma nel settembre un nuovo sbarco a Incheon riuscì a tagliare le linee di rifornimento dell’Esercito Popolare. Le forze della coalizione a guida statunitense in ottobre superarono il 38° parallelo, invadendo il territorio della RPDC, e si diressero minacciosamente verso il fiume Yalu. In prospettiva di ciò, a metà settembre Chou En-lai, ministro degli esteri cinese, si era recato a Mosca per comunicare all’alleato sovietico che la Cina sarebbe scesa in campo per evitare la definitiva conquista della Corea e l’apertura di un pericoloso fronte a ridosso dei suoi stessi confini. Poche settimane dopo, davanti all’Assemblea Politica Consultiva del Popolo in occasione del primo anno dalla fondazione della Repubblica, Chou En-lai ribadì l’assoluta indisponibilità cinese a vedere la guerra portata ai propri confini: “Il popolo cinese ama con entusiasmo la pace, ma per difenderla non ha mai avuto e non avrà mai paura di opporsi a una guerra di aggressione. Il popolo cinese non tollererà assolutamente l'aggressione straniera, né tollererà supinamente che i suoi vicini vengano selvaggiamente invasi dagli imperialisti. A chiunque tenti di escludere i quasi 500 milioni di cinesi dall'ONU e chiunque disprezzi e violi gli interessi di questo quarto dell'umanità nel mondo e voglia invano cercare di risolvere arbitrariamente qualsiasi problema orientale che riguardi direttamente la Cina, spaccheremo certamente il cranio[12].

Questo intervento non fu diretto, ma attraverso l’Esercito Volontario Popolare, formazione comprendente diverse centinaia di migliaia di combattenti guidata da Peng Teh-huai. Le forze armate cinesi erano fortemente provate da anni di incessanti combattimenti, e sensibilmente meno equipaggiate rispetto alle loro controparti statunitensi. La potenza di fuoco era sensibilmente impari, con gli americani in netto vantaggio dalla disponibilità di ordigni atomici, al controllo di cieli e mari, alla semplice fanteria. Basti pensare che un Corpo d’Armata dell’EPL poteva contare su 128 pezzi d’artiglieria, mentre uno dell’esercito degli Stati Uniti su 1428[13]. Inoltre, il sistema produttivo cinese doveva ancora riprendersi dai decenni di ostilità, e la sua ricostruzione era appena iniziata.

Il 19 ottobre 1950 i primi reparti delle diciotto divisioni[14] cinesi stanziate lungo il fiume Yalu varcarono il confine, entrando in combattimento con le truppe nemiche sei giorni dopo. Le forze cinesi, inferiori per equipaggiamento ma politicamente motivate, rapidamente costrinsero alla ritirata gli eserciti degli Stati Uniti e di Syngman Rhee. Il tentativo di MacArthur di “finire la guerra per Natale” fu frustrato, e già nelle prime settimane del 1951 le sue truppe erano costrette a ripiegare ben più a Sud del 38° parallelo. Attorno a questo si raggiunse uno stallo ad un anno dell’esplosione del conflitto, e il 27 luglio 1953 si raggiunse l’accordo per un armistizio. La guerra “per resistere all'aggressione americana e aiutare la Corea”, com’era definita dai volontari cinesi, segnò profondamente le relazioni tra la RPC e la Corea popolare per gli anni a venire. Durante la guerra morirono 197.653 soldati cinesi[15], tra cui Mao Anying, figlio di Mao Tse-tung, vittima di un attacco al napalm il 25 novembre 1950 a Tongchang. Il riconoscimento delle autorità di Pyongyang fu alto, come testimoniano le parole di Kim Il-sung alla definitiva partenza nel 1958 dei volontari cinesi: “Voi avete scrupolosamente seguito le direttive del Partito Comunista Cinese e del compagno Mao Zedong di prendersi cura di ogni montagna e di ogni fiume della Corea, di ogni suo albero e filo d’erba. Vi siete presi cura del popolo coreano come avreste fatto coi vostri fratelli di sangue. Avete considerato le sofferenze del popolo coreano come le vostre stesse sofferenze e avete gioito dei loro buoni eventi come se fossero capitati a voi. Le nobili qualità morali dei Volontari del popolo cinese sono state esemplari per il nostro Esercito Popolare e il nostro popolo, il vostro caloroso amore per il popolo coreano, così come il vostro aiuto abnegato li hanno infinitamente commossi. Una relazione di caldo affetto e mutuo aiuto si è formata tra il nostro Esercito Popolare e i Volontari, e tra questi e il nostro popolo sul fronte interno[16].

Anche l’Unione Sovietica, pur non fornendo truppe sul campo, fornì il proprio aiuto. L’armamento delle truppe cinesi e coreane fu in massima parte fornito dall’URSS, che inviò sulla penisola anche diversi apparecchi per fornire un’adeguata risposta all’aviazione da guerra dei paesi occidentali. Numerosi furono i piloti sovietici ad ottenere lo status di assi per gli abbattimenti confermati di aerei nemici. Il loro contributo si rivelò centrale, poiché sia i volontari cinesi, sia l’Esercito Popolare Coreano disponevano unicamente di pochi e antiquati apparecchi, del tutto inadatti al confronto con i moderni jet americani come gli F9F Panther. Sempre grazie ai piloti sovietici si ebbe l’addestramento al volo sui MiG-15 dei primi piloti della Corea Popolare.

La guerra si rivelò costosa per gli Stati Uniti, con 30 miliardi di dollari spesi[17] e 36.000 soldati morti. Ma questa lo fu ben di più per il popolo coreano. Durante i tre anni di guerra gli Stati Uniti bombardarono in modo sistematico e indiscriminato i territori settentrionali, impiegando 635.000 tonnellate di ordigni esplosivi e 32.557 tonnellate di napalm[18]. Dei tre milioni di civili che morirono durante la guerra, la maggior parte erano residenti del Nord, assai meno popoloso del Meridione, e che vide tra il 12 e il 15% della propria popolazione uccisa[19]. I centri urbani, tra cui Pyongyang, vennero rasi al suolo, con livelli di distruzione mai visti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Un grado ancora maggiore di morte e devastazione si sarebbe ottenuto se il generale MacArthur avesse ottenuto il permesso di utilizzare ordigni atomici, come da lui richiesto nel dicembre del 1950 prima della sua destituzione. L’uccisione indiscriminata di civili, denunciata dall’URSS in sede ONU, non trovò indignazione da parte dei paesi Occidentali. Tutt’ora questo crimine è sconosciuto a larga parte della popolazione di questi, e basterebbe a comprendere le ragioni della percepita “chiusura” delle istituzioni della Repubblica Democratica Popolare di Corea, da quel momento costantemente sotto embargo e minaccia militare.

Le campagne di bombardamento furono solo uno dei prezzi pagati dal popolo coreano. La violenza politica delle milizie di estrema destra collegate a Syngman Rhee, le quali potevano agire nella più completa impunità, fu conosciuta dagli abitanti delle città e delle campagne del Nord tanto durante l’avanzata di fine 1950, quanto durante la successiva ritirata. A Sinchon tra il 17 ottobre e il 7 dicembre 1950 i morti furono più di 35.000, uccisi tanto dalla sommaria violenza dei paramilitari di Seoul quanto dai reparti americani, impegnati in operazioni punitive per sradicare la guerriglia dal territorio[20]. Scene del genere si replicarono in tutto il paese.

La noncuranza per le sorti dei civili, che prendeva le mosse dall’ideologia della supremazia bianca e dell’eccezionalismo americano codificata nel regime di White Supremacy allora vigente negli Stati Uniti, si espresse persino nei confronti dei civili del Sud. Tra il 26 e il 29 luglio 1950, nei pressi del villaggio di Nogeun-Ri, centinaia di rifugiati sud-coreani furono massacrati da attacchi aerei, colpi di mortaio e tiri di fucileria[21]. I militari statunitensi erano convinti che tra di loro si celassero “infiltrati” dell’esercito popolare. La strage, tabù nella Corea del Sud e spacciata per “propaganda di Pyongyang” in Occidente, divenne innegabile a seguito dell’approfondita pubblicazione dell’Associated Press nel 1999.

La retorica della “difesa dell’aggredito” servì nel 1950 come scusa agli Stati Uniti per portare la guerra in Asia, provocando la morte di milioni di persone e un conflitto che, tutt’ora solo “congelato”, è stato nei decenni successivi fonte d’insicurezza e instabilità. E’ solo per il controllo egemonico del mondo accademico e di quello dell’informazione che piani similari possono essere oggi applicati. Nei rispetti della Federazione Russa è stato seguito pedissequamente lo stesso copione: mentre gli accordi di Minsk, come ripetutamente affermato sia da Poroshenko, quando dai suoi “partner occidentali”, sono serviti unicamente per prendere tempo e accumulare le forze, per tutto il 2021 aumentò la pressione del regime di Kiev sul fronte con le repubbliche popolari. Mentre sin dall’estate con un decreto presidenziale si diede ordine all’esercito ucraino di “sviluppare strategie di de-occupazione delle zone occupate del paese”, ossia Donbass e Crimea, Zelensky e i suoi padroni americani fecero di tutto per portare la situazione al punto di non ritorno.

Dopo soli due giorni fu rispedita al mittente la proposta di mediazione russa formalizzata da Lavrov il 15 dicembre, che chiedeva garanzie sul blocco di ogni espansione militare e l’avvio di una consultazione per raggiungere una durevole pace in Europa. Le garanzie di sicurezza russe, ossia la rimozione delle armi nucleari dai paesi terzi, il rifiuto di ogni espansione della NATO e un limite stringente per le esercitazioni a ridosso dei confini, furono giudicate “inaccettabili”, e il 19 febbraio, in occasione della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, Zelensky si disse pronto a ridiscutere il Memorandum di Budapest, ossia quell’accordo del 1994 con cui l’Ucraina rinunciava alle armi atomiche[22]. Lo stesso giorno iniziò a tuonare l’artiglieria sul fronte, ad intensità mai viste dal 2014. Unità di paracadutisti dell’esercito ucraino tentano lo sfondamento nel settore di Lugansk, venendo respinte. Nel mentre milioni di civili vengono evacuati verso il territorio della Federazione Russa.

Sotto attacco, le Repubbliche Popolari chiedono l’aiuto della Russia, che le riconosce, e, finalmente, il 24 febbraio interviene in forze in loro difesa, per evitare che le milizie di Kiev portino sterminio e distruzione nei luoghi assediati da otto anni. La retorica della pretesa “aggressione russa” ha spinto i paesi occidentali, europei in primis, a seguire il percorso della guerra trattato da Washington. Purtroppo esistono rischi concreti che per tutto il Continente ciò possa portare a distruzioni anche proporzionalmente più grandi di quelle patite dalla Corea nel secolo scorso.


NOTE

[1] Nato dalla fusione del Partico Comunista Coreano con altre organizzazioni socialiste, questo è tuttora il principale partito di governo della Repubblica Popolare Democratica di Corea, dove costituzionalmente possiede un ruolo guida esercitato attraverso il Fronte Democratico per la Riunificazione della Patria, equivalente coreano del Fronte Unito cinese.

[2] Acronimo per United States Army Military Government in Korea.

[3] Ho Jong Ho, Kang Sok Hui, Pak Thae Ho, The US Imperialists Started the Korean War, Foreign Languages Publishing House, Pyongyang, 1993, pp. 19-20.

[4] D. W. Conde, An Untold Story of Modern Korea, Vol. I, Tokyo, Taihei Shuppansha, 1967, p. 105.

[5] Channing Liem, The Korean War, Foreign Languages Publishing House, Pyongyang, 1993, p. 28.

[6] Ibidem.

[7] D. W. Conde, Op. Cit.,pp. 553-554.

[8] Ho Jong Ho, Kang Sok Hui, Pak Thae Ho, Op. Cit., p. 127.

[9] Channing Liem, Op. Cit., p. 34.

[10] Karunakar Gupta, How Did the Korean War Begin?, in The China Quarterly, n. 52 (ottobre-dicembre 1972), pp. 701-702.

[11] Citato in Karunakar Gupta, Op. Cit., p. 708.

[12] Chou En-lai, Chinese People Will Not Tolerate Aggression, 1 Ottobre 1949, in Selected Works, Vol. II, Pechino, Foreign Languages Press, 1989, p. 52.

[13] Hao Yufan, Zhai Zhihai, China's Decision to Enter the Korean War: History Revisited, in The China Quarterly, n. 121 (marzo 1990), p. 105.

[14] Sin dal maggio erano stati mobilitati sul confine 1.4 milioni di combattenti. Di questi circa 700.000 saranno inviati in Corea, con il resto impegnato a vigilare la Manciuria.

[15] https://www.globaltimes.cn/content/1204579.shtml.

[16] Kim Il-sung, Discorso alla cerimonia di commiato in onore dei Volontari del popolo cinese, 11 marzo 1958, in Opere, Vol. XII, Pyongyang, Foreign Languages Publishing House, 1983, p. 162.

[17] Pari a circa 340 miliardi di dollari degli inizi del 2023.

[18] Per confronto si tenga a mente che durante tutta la campagna del pacifico gli Stati Uniti impiegarono 500.000 tonnellate di bombe, e 1.6 milioni sul teatro europeo. La piccola e scarsamente popolata penisola è stata uno dei paesi più bombardati nella Storia, assieme a Cambogia (500.000 tonnellate), Laos (2.000.000 tonnellate) e Vietnam (4.000.000 tonnellate).

[19] C. K. Armstrong, The Destruction and Reconstruction of North Korea, 1950 - 1960, in The Asia-Pacific Journal, Vol. VII, n. 0 (marzo 2009), pp. 1-2.

[20] Ho Jong Ho, Kang Sok Hui, Pak Thae Ho, Op. Cit., pp. 200-203.

[21] Responsabile della strage fu il 7° Reggimento di Cavalleria, lo stesso che combatté a Little Bighorn sotto Custer, e che partecipò attivamente ai massacri di nativi americani durante le Guerre Indiane.

[22] https://kyivindependent.com/zelenskys-full-speech-at-munich-security-conference/

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