Calcio: vince la pax coreana, perde la grande Germania

Calcio: vince la pax coreana, perde la grande Germania

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Piccole Note
 


La Germania fuori dai mondiali di calcio al girone iniziale è evento storico. E come tale porta con sé qualcosa di simbolico che dà un valore più alto e profondo a quanto accaduto.


Vince la pax coreana


C’è chi paragona la sconfitta tedesca a quella dell’Italia nel ’66, allora eliminata dalla più rustica Corea del Nord, mentre a far fuori i crucchi ieri sono stati i più sofisticati coreani del Sud, quelli ricchi, di Seul.


Vero. E c’è un rincorrersi di Coree in questa storia calcistica, e proprio nell’anno in cui la penisola è tornata a parlarsi e a parlare di riconciliazione dopo decenni di separazione forzosa.


Così la festa di ieri è stata di tutta la penisola, di un popolo tornato da poco a una speranza e a un respiro comune.


E anche in ciò c’è un simbolo e un segno: è l’anno della Corea, questo. O almeno anche l’anno della Corea. Che suggella con questa vittoria la vittoria più storica, quella della riconciliazione.


Vittoria, quest’ultima, favorita dall’Olimpiade invernale di Seul, dove è fiorita la pax olimpica. Così ieri un’altra manifestazione sportiva globale, stavolta di calcio e d’estate, appare rilancio e suggello di quella pax invernale.

Donald Trump, l’Italia e la Grande Germania


Una vittoria, la pax coreana, che è stata anche, se non soprattutto, di Donald Trump, che l’ha fortemente voluta superando il feroce ostracismo dei falchi.


Quel Trump che ha dichiarato guerra alla Grande Germania infliggendole dazi su alluminio e acciaio e minacciando analoghe misure per le automobili.

Quella Grande Germania che oggi sembra in affanno, come ha rappresentato fedelmente la Grande Germania di calcio di ieri, quella che aveva vinto un mondiale solo quattro anni fa.


In affanno non solo per i colpi di Trump, ma anche per la ribellione italiana, che al di là delle forzature propagandistiche e delle  derive del caso, ha posto un limite alla strabordante e strafottente egemonia tedesca in Europa, quella per cui i mercati avrebbero insegnato agli italiani per chi votare.


Peraltro anche la rivolta italiana è parte della strategia trumpiana, altrimenti Steve Bannon, lo stratega presidenziale, non si sarebbe trasferito pro-tempore in Italia, a presidio, seppur interessato, del nuovo governo italiano.


E non solo l’Europa: la contesa con Trump è contesa globale, stante che il presidente Usa è portatore, più o meno sano, del virus che ha intaccato la globalizzazione, della quale la Grande Germania era, ed è, perno fondante.


Così il simbolo di ieri è apparecchiato: vince la pax coreana, perde la Grande Germania. Che se vuol sopravvivere, e prosperare nella sopravvivenza, Berlino è chiamata a ridimensionarsi.


Pare che la Merkel abbia intrapreso questo arduo cammino, tra spinte e contro-spinte anche interne.


Non si tratta solo di mettere mano, come sembra abbia accettato, a una politica europea sui migranti, dopo anni di latitanza sul punto, ma di rivedere la “Casa comune” prima che bruci. Cammino faticoso, ma necessitato se vuole conservare un ruolo continentale e globale.


Così la sconfitta di ieri in terra russa appare anche segno e simbolo di una nuova stagione del destino teutonico. Non solo calcistico.

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