Carla Filosa - NETANYAHU IL “SEMITA”

“Antisemitismo” è l’escamotage con cui ipocritamente si prova a liberarsi in versione vittimistica di ogni responsabilità penale e politica, in un ritornello reiterato contro chiunque attenti all’arbitrio impunitario del proprio potere garantito dall’unico dio: il Denaro.

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Carla Filosa - NETANYAHU IL “SEMITA”


di Carla Filosa

Se fosse l’unico semita sulla terra, è vero, Netanyahu avrebbe ragione ad accusare di antisemitismo tutti quelli che lo incolpano di crimini di guerra, e di molto altro. Purtroppo per lui non è il solo, e soprattutto è solo lui il responsabile del sentimento di solidarietà mondiale nei confronti di popolazioni palestinesi, ora anche libanesi, arabe in genere, massacrate senza sosta proprio dai suoi ordini interessati.

Che ciò induca al semplicistico sentimento di avversione all’“ebreo” vicino di casa, è poi frutto di una sottocultura che identifica un soggetto politico con la sua identità nazionale, di gruppo sociale o etnico che si voglia chiamare, di appartenenza religiosa, ecc. In tale miopia intellettuale non si arriva a comprendere che un criminale è un criminale, e solo in quanto tale va politicamente perseguito, per la sua intrinseca pericolosità sociale. Se poi per assurdo Netanyahu fosse l’unico semita, mai dovremmo sentirci di essere antisemiti – che tra l’altro non ha alcun significato identitario di appartenenza genomica o altro – ma coscientemente partigiani contro la corruzione, l’inganno e l’abuso di potere, l’assassinio legalizzato, la tortura occultata, la guerra legittimante la predazione, la vendetta che giustifica l’arbitrio, l’impunità del privilegio, ecc., tutti ingredienti necessari che caratterizzano questo sistema.

“Antisemitismo” è infine, una volta per tutte, l’escamotage con cui ipocritamente si prova a liberarsi in versione vittimistica di ogni responsabilità penale e politica, in un ritornello reiterato contro chiunque attenti all’arbitrio impunitario del proprio potere garantito dall’unico dio: il Denaro.

Il nostro “semita” non è nuovo infatti alle accuse nella stessa Israele, per cui deve rispondere di corruzione, frode e abuso di potere. Secondo un copione ormai accreditato, i suoi avvocati hanno tentato di rinviare i processi, attaccando il sistema giudiziario (che novità! Proprio come da noi!) che avrebbe “fabbricato” le accuse. In tre casi Bibi è stato coinvolto: 1) avrebbe accettato regali costosi per circa 1 milione di shekels (circa 260.000 euro) da parte del miliardario Arnon Milchan e del magnate australiano James Packer; 2) avrebbe ricercato un accordo con l’editore del quotidiano Yedioth Ahronoth per avere una copertura mediatica positiva in cambio di una legge che avrebbe limitato il rivale dell’editore, il giornale Israel Hayom; 3) avrebbe negoziato, tra il 2015 e il 2017 quando era premier e ministro delle Telecomunicazioni, per ottenere una copertura positiva da parte del sito di notizie Walla in cambio di politiche governative favorevoli agli interessi della società. Quest’ultima accusa, la più grave, se dovesse essere condannato gli costerebbe almeno 10 anni di carcere.

E allora la guerra! Dopo anni di finanziamenti ad Hamas per impedire la formazione di uno stato palestinese, finalmente un 7 ottobre come movente per sgomberare Gaza dagli “animali arabi” realizza desideri a lungo contenuti. Ma già nel 2022, apparentemente in tempi di pace, cioè molto prima di questa data di comodo, in Cisgiordania demolizioni di abitazioni palestinesi hanno estromesso 28.450 persone (per difetto) dalle proprie case, a vantaggio di residenze israeliane a Gerusalemme Est; uccisi 192 palestinesi tra cui 31 bambini/e; centinaia di minori, senza diritto all’istruzione, arbitrariamente detenuti nelle carceri israeliane per il lancio di pietre, reato che potrebbe costare loro fino a 20 anni di reclusione.  

Dal 2007 inoltre, blocco israeliano a Gaza per cui non si può importare carburante per produrre energia elettrica e avere accesso all’acqua potabile, difficoltà ad esportare prodotti, limitazione agli spostamenti di persone, difficoltà ad accedere a ospedali fuori Gaza per malati gravi. Nel 2023 raid aerei israeliani hanno colpito strutture sanitarie e una scuola uccidendo civili tra cui bambini. Questo elenco di soprusi e relative impunità potrebbe continuare, ma ciò che ora si vuole sottolineare è la falsità dell’attacco inatteso da parte di Hamas, con sospetta “distrazione” della super difesa israeliana, quale legittimazione dell’avvio come “soluzione finale” dello sterminio o genocidio in atto, e comunque la preesistenza degli obiettivi di eliminazione palestinese, secondo il modello “nido del cuculo” programmato fin dal1948.

Ultimamente la Corte penale internazionale ha emesso mandati di arresto per i “democratici” Netanyahu e Gallant, alleati Usa, per crimini contro l’umanità, commessi nella guerra di Gaza. Questi si configurano come “utilizzo della fame come arma di guerra e impedimento deliberato agli aiuti umanitari nella Striscia”, dove sono state uccise e lasciate morire, per mancanza oltre che di cibo e acqua, anche di forniture mediche, più di 44.000 persone come stima al ribasso e che aumenta ogni giorno. I crimini contro l’umanità si configurano come deliberata procura di malnutrizione e disidratazione, impedimento alle cure di malati e feriti, in quanto calcolo di distruzione di parte della popolazione civile di Gaza, per appropriazione del suo territorio possiamo completare noi. Precedentemente crimini di guerra vennero imputati a Milosevic nel 1999, Putin nel 2023, Omar al-Bashir, Gheddafi, Gbagbo (Costa d’Avorio) 2010.

Alla sorpresa causata da tanta decisione ha fatto seguito l’immediato rifiuto internazionale da parte di molti stati, del non riconoscimento e della giurisdizione della Corte dell’Aia e del rispetto dell’ordine formale di esecuzione dell’arresto. Nel gennaio 2024 invece il Sudafrica aveva già accusato Israele di violare la Convenzione sul genocidio alla Corte di Giustizia, anch’essa con sede all’Aia, ma solo in questi giorni sono state respinte le obiezioni israeliane sulla giurisdizione. Teoricamente 124 Paesi membri della Cpi potrebbero subito arrestare Netanyahu e Gallant, qualora si trovassero nei rispettivi territori, e questi sono: tutte le nazioni Ue, GB, Canada, Australia, Giappone, Brasile, Argentina, Sudafrica, Giordania. I paesi che non aderiscono: Israele, Usa, Cina, Russia, India, Iran, Siria, Iraq, Turchia, Arabia Saudita, Pakistan.

Per quanto riguarda l’Italia si registra un’incertezza tra l’arresto che potrebbe essere eseguito (Crosetto), o essere soggetto a discussione governativa (Tajani). Per l’Ungheria, cui si è accodato il nostro Salvini, c’è stato addirittura un invito a Netanyahu con sicurezza di accesso, da parte di Orban (attualmente presidente di turno del Consiglio internazionale della UE), mentre gli Usa avevano già minacciato “sanzioni contro la Cpi” qualora avesse emesso i mandati, negandole credibilità e avendo dichiarato che “Israele difende in modo legale il suo popolo e i suoi confini da terroristi genocidi”.

La Cina ha dichiarato il suo schieramento “dalla parte dell’imparzialità, della giustizia e del diritto internazionale” opponendosi a qualsiasi violazione anche del “diritto umanitario internazionale”. La Francia ne “prende atto”. La Germania si riserva di “esaminare attentamente” prima di decidere. La Santa Sede ha preso nota ribadendo che ciò che “interessa è che si ponga fine alla guerra”. La Gran Bretagna dichiara il rispetto “dei suoi impegni giuridici come previsto dalle leggi nazionali e anche da quelle internazionali”. Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’UE per la politica Estera, ribadisce che non si tratta di “una decisione politica” ma “di un tribunale di giustizia internazionale” “vincolante” per tutti i membri della UE. A ciò si allinea l’Irlanda mentre il presidente argentino Milei esprime il suo “disaccordo” perché si “ignora il legittimo diritto di Israele all’autodifesa contro i continui attacchi di organizzazioni terroristiche come Hamas ed Hezbollah”. Giordania, Olanda e Spagna si dichiarano rispettosi della decisione della Cpi.

Nel riflesso del diritto internazionale e sue istituzioni, quindi, salta agli occhi la divisione o meglio disgregazione predisposta dell’Europa, volendo fermarci qui. È ciò che si è sempre perseguito nel conflitto aperto del dollaro nei confronti dell’euro, nella simmetrica incapacità politica europea ad armarsi adeguatamente a tale scontro. La culla della subalternità ai diktat Usa-Nato ha mantenuto infatti intatta l’utile competitività minore tra gli stati europei, paghi dei rispettivi ruoli egemoni conferiti loro dai capitali transnazionali e non, basati nel vecchio continente, ancora in grado di prevaricare stati più poveri da cui drenare plusvalore. Solo ora, in cui l’accumulazione mondiale di capitale versa in un cronico deficit, ci si accorge che quella culla era piena di esplosivi diretti proprio contro questa Europa, che può ulteriormente incrinare la supremazia della moneta Usa, già in crisi mondiale irreversibile.

A questo punto di guerre infinite, tratteggiate solo da qualche “cessate il fuoco”, ci piace lasciare la realtà per immaginare un Netanyahu da morto, ricorrendo all’arte insuperabile di Bertolt Brecht, cui lasciamo la nostra conclusione. L’ironia brechtiana si addice a un giudizio che, concordemente, s’ha da fare; ma non già in questo mondo, in quello delle ombre.

Nell’adattamento al nostro protagonista, seguiamo la falsariga brechtiana nel suo radiodramma “l’interrogatorio di Lucullo”[1], quando cioè Lucullo scende agli inferi e si trova davanti a un tribunale di scabini, qui giudici dei morti. 

 Il clamore che accompagna il feretro del potente è il vociare dei suoi portatori, su tutte le ricchezze accumulate e i fregi delle vittorie conseguite. Un mercante si schiera a favore del morto perché “l’Asia senza di lui non ce l’avremmo”.

Ma dopo l’irriverente addio dei vivi si inizia il giudizio sulle sue gesta da parte di giudici che “non han mani per prendere, né bocche per mangiare; da tempo estinti, gli occhi son ciechi ad ogni abbaglio. Avi della posterità, incorruttibili”.

Quindi a richiesta l’interrogato elenca le sue “imprese di grande momento”, che però – gli viene detto - “nessuno le conosce”. A maggior ragione continua a magnificare i suoi trionfi ma la verità emerge dialetticamente dalla parte di coloro che hanno subìto, sono stati vinti, da quelli che, vittime, furono “uomini un tempo, ora non più uomini”.

E presto viene appellato come “Insano! I nomi dei grandi non spaventano più nessuno qui. Non son più minacciosi; e i loro detti valgon come bugie; le gesta loro non trovano chi le celebri.” Più avanti una giudice lamenta il suo continuo cercare il figlio caduto in guerra, a cui è risposto “Vecchia, qui di Fabri ce n’è parecchi: figli di molte madri che molto li piangono. Ma i loro nomi li hanno scordati. I loro nomi li usava l’esercito per arruolarli: qui non servon più. E non vogliono più vedere le madri che li hanno lasciati andare in guerra”.

Alla fine giunge la sentenza di condanna: “Al nulla, al nulla! Con tante violenze e conquiste, un solo dominio s’allarga: quello delle ombre.”

 I soldati poi “Sì, lo si getti al nulla! Quale nuova provincia può compensarci del tesoro degli anni non vissuti?”

Ed infine gli schiavi “Al nulla, lo si getti al nulla! Quanto ancora lui e gli altri come lui sul genere umano inumani dovranno incombere, alzando le mani accidiose e imporre il macello reciproco ai popoli? Quanto ancora noi li sopporteremo e gli altri come noi sopporteranno?”

[1] Lucius Licinius Lucullus, Roma, 117 a.C. – Napoli 56 a.C. Generale romano.

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