Carla Filosa - Sovrastare il sovrastato
“L’ingiustizia oggi cammina con passo sicuro. Gli oppressori si fondano su diecimila anni. La violenza garantisce: com’è resterà. Nessuna voce risuona tranne la voce di chi comanda. E sui mercati lo sfruttamento dice alto: solo ora io comincio. Ma fra gli oppressi molti dicono ora. Quel che vogliamo non verrà mai. Chi è ancora vivo non dica: mai. Quel che è sicuro non è sicuro. Com’è così non resterà. Quando chi comanda avrà parlato Parleranno i comandati. Chi osa dire: mai? A chi si deve se dura l’oppressione? A noi. A chi si deve, se sarà spezzata?Sempre a noi. Chi viene abbattuto, si alzi! Chi è perduto, combatta! Chi ha conosciuto la sua condizione, come lo si potrà fermare? Perché i vinti di oggi sono i vincitori di domani E il mai diventa: oggi!
Bertolt Brecht, “Lode della dialettica”.
Non spaventi subito il ricorso, qui sotto proposto, a un recupero storico di ciò che sta accadendo in questo presente e che forse riguarderà anche un prossimo futuro. L’obiettivo è solo quello di collocare, senza l’emotività e lo sconcerto che caratterizza l’attualità (il video farlocco “Trump Gaza”, per esempio), una comprensione che sappia diluire le apparenti “novità” nel percorso lento e continuo che invece ha preordinato, in questa fase più favorevole, il consolidarsi di vecchi rapporti di forza trasferitisi soprattutto in moderne tecnologie. L’esteriore “tirannide” trumpiana può essere sciolta da un connotato politico preoccupante, quando, al contrario, se ne veda una sorta di mimetismo per il solito ricorso al protezionismo, alternato sempre alla libera circolazione poi di merci e capitali. Inoltre, la brutalità degli insulti alle persone da parte del presidente Usa, è solo espressione del rapporto di capitale che implica la rozzezza dell’arbitrio del potere, mai mancato, intento a svuotare di contenuto strutturale ogni relazione estrinseca, “differente” o “oppositoria”. Le offensive bordate di pochi giorni fa all’indirizzo di Zelensky, ad esempio, possono essere lette non solo come il passo più breve per conquistare appetibili terre rare, ma anche con la sapienza cinese che avverte che “se non si è al tavolo si è nel menu”.
E questo è diventato palese in mondo visione il 27 febbraio alla Casa Bianca col concorso di Vance, oltre la presenza di Trump, e di qualche giornalista che ha aumentato il disagio di chi ha osato mettersi al tavolo senza nemmeno un vestito adeguato, essendo solo una pietanza da cucinare. Così è emerso che un fantoccio non può stare all’altezza di chi l’ha creato (viene in mente anche Saddam Hussein!), che nemmeno l’Europa può sedersi al tavolo senza pagare, e che l’imperialismo – non gli imperi! – tratta solo con sé stesso nella sua plurale estensione differente a livello globale, che oggi risponde ai nomi di Russia e Cina. Si è parlato di “amnistia nei confronti di Putin” (Ezio Mauro), e di “suicidio assistito da parte di Zelensky” (Lucio Caracciolo), per citarne solo un paio. Molto ci sarebbe da tirar fuori, ma non è questa la sede per dare pubblicità allo show organizzato per “bastonare il cane che affoga”, per esaltare ancora un detto cinese tramandatoci da Lu Hsun. Esaltare Trump che parla di pace, “giusta” per giunta, e non di quella possibilmente vantaggiosa per la sopravvivenza delle rapine, è da illusi o collusi. Le “comparse” – come giustamente avverte Alberto Negri – non possono farsi protagonisti, e ricordare la vecchia frase di Churchill per cui “gli Stati non hanno amici ma interessi” farebbe bene a chi si dispera, senza capire a cosa sia funzionale lo smantellamento del diritto internazionale e l’essere “legibus solutus”, ovvero l’esecutivo come potere unico e assoluto. L’attacco inoltre all’alleata Europa non è diverso da quello condotto con maggior bon ton nelle guerre irachene, in Libia ecc., ora ha i tratti brutali della verità esclusiva di chi impartisce ordini e men che mai ammette il riconoscimento del sopruso imposto. Si provi allora a spersonalizzare le leggi di movimento sempre scarsamente visibili e che però muovono la storia! Paura e tracotanza, cioè, al servizio di un’accumulazione di capitale in crisi verticale.
Quello che ora interessa capire è l’obiettivo di abbattere le istituzioni sovra-statuali europee, magari veicolato dietro l’affermazione a effetto secondo cui “l’Europa è nata per fregarci”, apparsa poi sul New York Times del 27 febbraio scorso. Da tale rovesciamento della storia postbellica scatteranno dazi al 25% su auto e altre cose (da indovinare, come nell’enigmistica!) a sostegno del deficit commerciale Usa che si aggira intorno ai 300 miliardi di $. L’incantevole sincerità di Trump nel fornire a ogni interlocutore una compravendita iniqua, eventualmente da ritrattare ma mai al di sotto di un utile da estorcere in modo vantaggioso, fa giustizia di tutto un arsenale di ipocrisie democraticiste con cui il capitale ha da sempre rivestito i suoi affari. L’importante ora è sovrastare le istituzioni sovrastatuali la cui funzione risulta ormai obsoleta e in via d’estinzione per la loro natura ideal-ideologica (Cpi, Onu, ecc.) o perché la loro presenza comunitaria intralcia la separazione necessaria al primato dell’imperio di fronte a un possibile abisso di perdita egemonica.
Sovrastare i sovrastati, dal doppio significato istituzionale e politico, anche individuale, sembra quindi essere l’obiettivo di aggiornamento dello Stato liberale dettato però, sia concesso ancora un soldo d’ironia, dall’analisi marxiana. È dall’800 infatti che sappiamo da Marx che il sistema capitalistico – chi l’ha studiato, ma soprattutto chi l’ha attuato! – avrebbe impoverito le masse e concentrato la ricchezza nelle mani di pochi: “l’accumulazione di ricchezza all’uno dei poli è dunque al tempo stesso accumulazione di miseria, tormento di lavoro, schiavitù, ignoranza, brutalizzazione e degradazione mentale al polo opposto”. I magnati al governo imperialistico finora egemone a livello mondiale hanno infatti aperto le ostilità verso i migranti “illegali”: 20 mila quelli finora arrestati e deportati, da sottoporre a breve all’iscrizione a un registro nazionale cui apporre anche le impronte digitali. Riduzione di posti di lavoro per dipendenti federali della Pubblica Amministrazione statunitense, per i quali in prospettiva si stanno elaborando ulteriori licenziamenti. Musk prevede di risanare il deficit Usa risparmiando 4 miliardi al giorno con siffatto taglio alla spesa pubblica, cui Trump affianca un premio d’ingresso nel Paese di 5 milioni di dollari di gold card per tutti i ricchi che vorranno investire e pagare ivi le tasse al fisco per annessa cittadinanza.
Uno sguardo indietro allora ci riporta all’anno 2006, quando gli Stati Uniti di George W. Bush votarono, e non preventivamente, la legge che sconfessava come crimine la tortura, sancito dalla Convenzione di Ginevra (dal 1864 al 1951), negando perciò il diritto a ogni eventuale denuncia da parte dei torturati. Liberi da siffatto intralcio poi, approvarono in parallelo l’aumento delle spese militari per la II guerra in Iraq, da 70 a 448 miliardi di dollari, che sarebbero serviti “a sconfiggere i nemici di oggi e le minacce di domani”. Gli esponenti dei gruppi in difesa dei “diritti umani” riposero, inascoltati, le vane denunce su Guantanamo e Abu Ghraib.
Intanto, Israele attaccava con forze aeree il Libano, determinando un massacro a Qana, definito “crimine di guerra” dalle leggi internazionali, silenziate da Israele, GB e Usa, partecipi delle annessioni e smantellamenti in Palestina, nella striscia di Gaza. Il protettorato israeliano-statunitense si realizzava così nei fatti dopo la distruzione delle infrastrutture sociali libanesi, portando questi a sostenere la resistenza di Hezbollah, mentre l’Europa avviava una duratura collusa distrazione giuridica, morale e politica, tuttora in corso. Sempre nell’agosto dello stesso anno il presidente venezuelano H. Chavez denunciò a Pechino il “genocidio” in Libano, equiparando a Hitler i responsabili della guerra sionista. Inoltre, la distruzione da parte israeliana di una filiale della National Jordanian Bank a Nablus, oltre 14 uffici di cambio tra Jenin, Tulkarem e Ramallah, fruttò il bottino di 1 milione e 200 mila dollari, mentre nel 2004 un’operazione simile aveva guadagnato 9 mila $. Questo modo normale di prelievo della politica israeliana ha sempre trovato comprensione e conforto dalle operazioni congiunte Nato-Israele, condotte unitamente al nostro Paese.
È dal governo Berlusconi, infatti, che fu avviata la cooperazione italo-israeliana (Legge 94/2005) in materia di “importazione, esportazione e transito di materiali militari”, “organizzazione delle forze armate”, “formazione/addestramento e esercitazioni”. Ricerca e sviluppo italiani per produzioni di tecnologie militari, sistemi d’arma, e centri universitari impegnati in ricerca congiunta per fini civili e militari indistinguibili, hanno consentito a Israele il potenziamento di un arsenale nucleare, utilizzando la cooperazione anche nel settore spaziale ed elettronico per evidente uso militare. La spesa militare italiana sommata al costo delle missioni all’estero allora di circa 27 miliardi $ annui, determinarono tagli alle spese sociali di quasi 13 miliardi a scapito soprattutto di sanità e enti locali, ma anche del settore trasporti e fondi destinati ad aiuti per paesi cosiddetti “in via di sviluppo”.
A questo breve flash, assolutamente incompleto e a scopo indicativo, di parziale memoria storica anche dei termini “crimine di guerra” e “genocidio”, (non perciò rinvenuti solo ora!) potremmo aggiungere la lista delle 65 Risoluzioni Onu “contro” Israele, TUTTE VIOLATE dal 1955 al 1992. E sempre, è stato gridato all’antisemitismo come unica risposta assicurata dallo schermo sionista ai massacri perpetrati, fino ad oggi, col sistematico uso di tortura, omicidi mirati, abbattimenti di piantagioni, di case, di pozzi di acqua, furti di terre e assassini quotidiani, violenze d’ogni genere senza nemmeno mai risparmiare i bambini. Nella sua visita a Roma, due anni fa, Meloni ha accolto Netanyahu per firmare anche un accordo da appaltare a Israele sulla cybersecurity, i nostri servizi segreti, oltre a quello con il ministro dell’energia per lo sfruttamento del gas di Gaza. Quindi Israele, in quanto Stato, è stato continuamente definito per il solo piano elettorale, rispetto a qualsiasi altra considerazione politica, come un “paese democratico” a mascheramento della nostra complicità nella normalizzata colonizzazione di un normalizzato capitale predatorio, cui riservare sempre il dovuto omaggio.
Se, a cominciare dal nostro Paese, l’Onu, l’Europa, l’Ue manterranno tuttora questo iter storico riaffermando l’astensione selezionata dalle leggi di fronte al diritto barbarico del più forte, non varrà più il trincerarsi dietro il labile orpello dell’essere distratti testimoni dell’ingiustizia, ma emergerà la connivente gestione di capitali dominanti finché anche questi non saranno fagocitati da formazioni monopolistiche ancora maggiori, e già in palese agguato.
Ciò che risulta dai pochi elementi focalizzati è innanzitutto la distanza siderale della rappresentazione ideologica fin qui sorretta dei regimi liberali o liberal-democratici dalla realtà. Quest’ultima è visibile solo nel ruolo sacrificale di popolazioni cui viene addossato ogni costo di sostegno al sistema, oppure nell’ambito scientifico di analisi dei rapporti proprietari dominanti, in cui si evidenzia invece la permanente gestione finanziaria della produzione mondiale, delle risorse energetiche e l’uso profittevole delle zone di guerra. La versione militare di questa, poi, non “scoppia” all’improvviso, ma si predispone nella segretezza chiamata perlopiù genericamente intelligence, finché si maturano le condizioni del suo violento verificarsi, in un tempo zero da cui partire da quel momento per escogitare cause e responsabilità fittizie, in forma di propaganda. Così dall’attentato di Sarajevo del luglio 1914, al 1° settembre 1939 in Polonia, al 7 ottobre in Israele, al 24 febbraio in Ucraina, per farla breve. Il 22 febbraio del 2014, ricordato solo per la destituzione di Janukovy?, erano già arrivati da tempo in Ucraina finanziamenti dal Fmi, dalla Bei (Banca Europea per Investimenti) e dalla Ue, come base per la progressiva espansione della Nato. Infatti questa, dai 12 membri iniziali del 1949, ora ne può contare 30, cui aggiungere le richieste ultime di Svezia e Finlandia, senza nemmeno parlare della problematica domanda ucraina, incautamente legata ora alla possibile “pace”. Il tutto come disinvolto accerchiamento minaccioso dei confini russi.
Il cosiddetto “Nuovo Ordine” prevede ora la stabilizzazione – ecco perché a Trump occorre velocizzare la pace! – dell’uso privatizzato delle nazioni, cui estorcere un prelievo parassitario di plusvalore o in alternativa di materie prime quali terre rare di cui sopra, non più garantiti dal crollo del primato del dollaro. Si rafforza la necessità, infatti, di impedire l’emancipazione dal ricatto valutario con la minaccia della forza militare di cui ancora poter vantare una quasi superiorità mondiale, fondamentale, contemporaneamente, a contenere o avversare qualunque competitor in grado di sottrarre quote vitali di mercato. Il mantenimento di questi rapporti di forza richiede ora la necessità di un nuovo ordinamento o inevitabilmente trapassare, pena la fine della supremazia Usa sotto il peso di un debito insostenibile. In altri termini, la coesistenza prodotta di sviluppo e sottosviluppo che il neoliberismo ha controllato finora entro strutture statuali, istituzionali e sociali in funzione di saccheggio ma obnubilato dalle forme democratiche, ora non è più sufficiente a regolare la centralizzazione dei capitali e nemmeno a debellare la pur degenerata “lotta di classe” come contrapposizione tra ricchi e poveri, data l’enorme crescita di questi ultimi nonostante siano stati resi imbelli.
La nuova forma deve adeguarsi alla realtà mutata, e questa sembra essere la contrapposizione o proprio scontro diretto tra un coacervo di Stati costituitisi a “famiglia”, unitisi in una individualità chiamata Europa, e gli Usa. Questa pseudo individualità contiene la sua negazione [1] (ovvero la contraddizione reale, ostacolo alla realizzazione dell’intento razionale con cui si sarebbe dovuta compiere), si è cioè creata un’antitesi nella realtà, nella forma sociale della produzione che ha generato l’euro come antagonista e nemico del dollaro. La particolarità degli Stati, la loro separata sovranità come principio del reciproco relazionarsi, non si è però mai saldata in una universalità come potere loro sovrastante (reale, operativa unità politica comune), e permane così inefficace nell’accidentalità degli interessi singoli, impotenti a trasformarsi in interessi collettivi. Di questa approfitta ora drasticamente il sistema a patti bilaterali che la moneta statunitense è in procinto di imporre con dazi differenziati da definire, in funzione ulteriormente disgregatrice della mancata unità economico-politica e della moneta europea, invisa e combattuta sin dal suo nascere nel 2002.
Le istituzioni internazionali sorte in Europa, come l’Onu, hanno rivestito il ruolo di imbrigliamento di un consenso generale dei popoli per mistificare un assetto proprietario a garanzia dell’arbitrio del più forte, legittimato però nella tutela della pace come loro resa definitiva. Il progetto imperialista del costituirsi di quella che fu l’Ueo (Unione Europea Occidentale, sorta nel 1954 per la sicurezza militare e cooperazione politica, estinta nel 2011) nasceva sul riconoscimento della esigua dimensione delle nazioni europee di fronte all’enorme espansione del mercato mondiale, sul tentativo di evitare il protezionismo che aveva caratterizzato il periodo interbellico, sul contenimento del comunismo dall’Urss ai Paesi satelliti (come venivano chiamati). A ciò contribuì prontamente il concorso Usa con il Piano Marshall, finalizzato all’impiego finalmente dei loro capitali inutilizzati per la ricostruzione europea, da rendere anche un bastione anti-comunista nel periodo della cosiddetta guerra fredda e corsa agli armamenti nucleari.
Oggi risulta ancora più chiaro che l’obiettivo di distruggere l’Urss e il suo relativo espansionismo sbandierato con manipolati motivi ideologici e politici, nascondeva in realtà il timore di sottrazione da parte del Comecon di una parte consistente del mercato mondiale da sempre considerato di esclusiva appartenenza occidentale. L’Ueo, quale pilastro europeo della Nato, avrebbe ricostituito così la difesa dell’imperialismo occidentale, in primo luogo degli Usa, prevedendo anche la formazione di un esercito europeo in quota Nato, con un ministro della difesa e un Consiglio europeo dei ministri autoctono, comando unificato e bilancio e armamenti comuni. Svaniti quegli obiettivi nella loro realizzazione, non sono però mutate le pretese egemoniche statunitensi sul necessario assoggettamento dell’Europa. A maggior ragione tale subalternità “alleata” doveva mantenersi dopo la caduta del Muro di Berlino, essendosi concluso il ruolo di cordone sanitario “anticomunista”, che da Hitler in poi, anche in ordine sparso cioè, l’Europa era tenuta a versare come tributo all’“amico” amerikano. L’alleanza così iniqua doveva rafforzarsi con le guerre irachene e la destabilizzazione jugoslava per il controllo dei corridoi energetici e dei territori strategici, oltre che per impedire all’euro di essere alla pari con il dollaro come moneta di riserva internazionale.
Un minimo schema di questo recente passato mostra allora questo “Nuovo Ordine” attuale che conserva e potenzia il vecchio. Il perno Nato ancora offre prospettive di presidio politico Usa in Europa e Medio Oriente – oltre tutte le inamovibili basi militari, 170 circa nel mondo e 100.000 militari (per difetto) solo in Europa – richiedendo in termini di ultimatum pagamenti maggiori per un assetto difensivo che altrimenti verrà meno. Le altre sigle sovrastatuali (Ceca, Euratom, Ced, Ueo, ecc.) sono invece scomparse perché superate nella loro funzione imperialistica di secondo e terzo piano. Superate anche le guerre passate come “interventi umanitari” e di “mantenimento della pace”, forse ancora utile invece la denominazione di “peacekeeping”, mentre sul terreno rimane irrisolto tuttora il problema della difesa comune europea, che data, come “richiesta immediata di un esercito europeo posto sotto l’autorità dei ministri europei della difesa”, addirittura dall’agosto 1950 da parte di Winston Churchill! Basta capire difesa di che da parte di chi. I popoli da distruggere in tutte le guerre hanno visto abbassare i costi del cosiddetto welfare e annullare il patto sociale stipulato per produrre valore e profitti finché avesse tirato il mercato, ma alla sua saturazione e recessione economica indotta dalla crisi, nuove uniformi dovranno difendere i monopoli più forti dai loro “fratelli nemici”. Ma “chi ha conosciuto la sua condizione, come lo si potrà fermare?”
28.02.2025
Carla Filosa
[1] Da G.W.F. Hegel, Lezioni sulla filosofia del diritto, 1817