Carter, Trump e il simbolismo di un mondo che sta cambiando (nuovamente)
di Loretta Napoleoni per l'AntiDiplomatico
A poche settimane dall’inaugurazione della seconda presidenza di Donald Trump, un evento che tutti anticipano come lo spartiacque del ruolo che l’America ha giocato negli ultimi quarant’anni nel commercio internazionale, muore Jimmy Carter che a differenza del primo ha chiuso con la sua presidenza la prima, turbolenta fase della Guerra Fredda. L’America è una nazione che si rigenera continuamente, forse perche’ e’ una superpotenza o forse perche nel suo DNA c’e’ codificato lo stesso spirito di ribellione dei padri fondatori che la costringe a reinventarsi per stare al passo con la modernità.
Il simbolismo di questi due eventi e’ forte e forse ci aiuta a capire quanto il nostro mondo stia cambiando e quanto sia gia’ cambiato dal 1977 anno in cui Carter divenne presidente.
Carter e’ stato spesso criticato, in fondo e’ uno dei pochi presidenti a non essere stato rieletto, ma per la maggior parte degli americani, di destra e di sinistra, l’uomo Jimmy Carter e’ considerato un paladino del bene e della giustizia. Iconiche le sue foto mentre con i chiodi in bocca ed il martello in mano partecipa alla costruzione di abitazioni per i poveri dell’iniziativa Habitat for Humanity (un'organizzazione fondata nella vicina Americus, Georgia, da un amico di lunga data di Carter). Incessante la sua ricerca per la pace in Medio Oriente che portò Anwar Sadat e Menachem Begin a Camp David. Un evento che contribuì a fargli vincere il Nobel per la pace nel 2002, l’anno dopo l’11 settembre. Pungente la critica delle diseguaglianze: quando gli fu chiesto quale fosse la sfida più grande che il mondo doveva affrontare rispose "ho deciso che il problema più serio e universale è il crescente abisso tra le persone più ricche e quelle più povere […] Nel mondo industrializzato c'è una terribile assenza di comprensione o preoccupazione per coloro che stanno sopportando vite di disperazione e disperazione. Non ci siamo ancora impegnati a condividere con gli altri una parte apprezzabile della nostra eccessiva ricchezza [...]".
Parole profetiche che oggi pero’ sembrano cadere nel vuoto.
Carter ascese alla Casa Bianca quando il mondo si leccava ancora le ferite della prima crisi energetica e si trovò a doverne gestire la seconda, a combattere un’inflazione a doppia cifra e lottare contro i tentacoli della stagflazione. Il tutto sullo sfondo dell’acuirsi delle tensioni della Guerra Fredda e della tragedia degli ostaggi americani in Iran. Uno scenario apocalittico in occidente, il primo del dopoguerra.
Lontanissimo dall’euforia della vittoria del mondo libero sul nazismo ma ben consapevole delle atrocità delle guerre per procura, Carter cercò di far leva sui valori universali dell’America, quei valori che lo avevano forgiato. Il suo fu un fallimento, a riprova la sconfitta per mano di Ronald Reagan, paladino del neo-liberismo e del capitalismo rampante.
Con Reagan inizia la fase espansionista americana che vedrà Wall Street penetrare i mercati europei, anche grazie all’apertura neo-liberista della signora Thatcher, e quelli mondiali con precisione scientifica. Inizia anche la fase di opposizione serrata nei confronti dell’URSS e del blocco sovietico, una tenaglia che porterà in meno di dieci anni al crollo del muro di Berlino ed all’avvento dell’Economia canaglia.
L’America che emerge dalla sconfitta elettorale di Carter e’ una nazione sempre piu’ tesa verso l’accumulazione della ricchezza e sempre meno consapevole del ruolo sociale che la nazione piu’ ricca e potente del mondo deve rivestire. Un obbligo che oggi ignora.
L’America che Carter passa a Reagan e’ pronta per sviluppare indifferenza nei confronti di chi e’ meno fortunato, ed ad ignorare il male che le politiche imperialiste di Washington producono fuori dei confini nazionali, il tutto in nome del benessere economico, la ripresa dopo le crisi energetiche, il superamento dell’impennata dei tassi d’interesse - a loro volta causa della recessione degli anni Ottanta. In politica estera questa America inevitabilmente pianta i semi della destabilizzazione attuale in centro America e nel Medio Oriente. In un susseguirsi di guerre e conflitti periferici, il terrorismo diventa un attributo del mondo libero. In altre parole l’America di Reagan sacrifica la responsabilita’ politica, il ruolo di guida, che Carter aveva attribuito alla nazione, in nome del Dio denaro.
Questa scelta continua e si acuisce con Bill Clinton che facilita il grande capitale americano con la deregolarizzazione dei mercati finanziari fino alla formulazione della filosofia del New American Century di Dick Cheney, vicepresidente di George W. Bush, all’inizio del secolo. Da allora fino a Trump, Washington lavora alacremente a ristabilire il ruolo incontrastato ed egemonico degli Stati Uniti nel mondo.
Questa seconda fase, con molta probabilità, si chiuderà a gennaio, quando Trump ridisegnerà la mappa commerciale mondiale e porrà fine ai principi del libero mercato come li abbiamo conosciuti fino ad oggi. Un nazionalismo economico imbevuto di protezionismo il cui obiettivo e’ sancire la superiorità americana in tutti i campi nella palese indifferenza per il resto del mondo. Un trionfo per quelle diseguaglianze contro le quali Jimmy Carter ammoniva quasi mezzo secolo fa’.