Caso Soumahoro: cibo per avvoltoi, sciacalli e iene

Caso Soumahoro: cibo per avvoltoi, sciacalli e iene

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Un’occhiatina all’alto numero di parlamentari italiani e loro parenti stretti indagati per truffa, frode, malversazioni e simili costringerebbe a un dignitoso silenzio coloro che dovrebbero fare un serio mea culpa prima di aprir bocca, tanto per sé, se figure istituzionali, tanto per il voto ai propri eletti se a fare i giudici sono semplici cittadini.  Ma inutile illudersi, la corruzione è talmente dilagante che la soglia di tolleranza è salita al punto che solo in qualche caso particolare è percepita come scandalo. Ma non illudiamoci, come italiani, di poter “vantare” una priorità amorale rispetto all’intero mondo, basta guardare agli USA, oggi come ieri, senza eccezioni. Non risulta, ad esempio, che il presidente Biden, solo per parlare del presente, abbia provato qualche imbarazzo per la dovizia di accuse per pedofilia, reati fiscali, droga e altro riguardanti il figlio Hunter. Sempre per restare all’attualità, anche il presidente Macron, protetto dalla sua “grandeur” non sembra imbarazzarsi troppo per le accuse di meschino favoritismo (quello che da noi si chiama clientelismo) e di finanziamento illecito della campagna elettorale con tanto di contratti milionari con l’americana McKinsey. E che dire del super-pluri-indagato per molteplici frodi Benjamin Netanyahu, rieletto e acclamato a furor di popolo nello Stato ebraico dell’apartheid? E si potrebbe continuare, ma per ragioni di spazio ci fermiamo qui.

Però non si dica, come vuole la cosiddetta  saggezza popolare che “tutto il mondo è paese”  rinunciando così al diritto di indignarsi e reagire di fronte agli scandali commessi da chi dovrebbe essere irreprensibile dato il suo ruolo istituzionale. Ma neanche ci si accanisca nel reclamare la gogna solo per qualcuno, soprattutto se già caduto nella polvere sotto i colpi dei primi cecchini mediatici.

Questa è operazione tipica delle iene alle quali, nel nostro umano giudizio, paragoniamo chi si accanisce maramaldescamente su un soggetto ormai abbattuto. Aboubaker Soumahoro, al quale quest’articolo si riferisce in quanto salito tristemente al disonore della cronaca, è moralmente nonché politicamente indifendibile, sebbene giudiziariamente, almeno per il momento, non sia toccato.

La storia ormai è nota e riguarda le indagini sulle coop Karibu e Aid per maltrattamenti  e per veri e propri furti verso gli immigrati oltre che verso gli Enti pubblici che hanno perduto milioni di euro mai andati ai beneficiari ufficiali, ma incamerati da moglie, suocera e cognata (se le indagini saranno confermate) del neo-deputato, già  paladino dei migranti.?Impossibile credere alle sue singhiozzanti e oggettivamente stomachevoli dichiarazioni di estraneità alle attività delle cooperative gestite da suocera, moglie e cognata la cui sede coincide con quella del sindacato da lui costituito dopo aver abbandonato l’USB (Unione Sindacale di Base) in seguito alle richieste di chiarimenti circa la scomparsa di centinaia di migliaia di euro raccolti per migliorare le condizioni degli immigrati.

L’ex sindacalista USB respinge sdegnato la definizione di “cooperative della famiglia di Soumahoro”, ma la moglie e la suocera non fanno forse parte della sua famiglia? Il suo diniego equivarrebbe a respingere il legame coniugale e di affinità parentale rispettivamente esistenti con moglie, suocera e cognata, quindi è un povero stratagemma per tentare di far credere che si vuole gettare fango mediatico su di lui. In realtà la suocera è indagata per truffa aggravata.

I circa 400 mila euro di stipendi mai pagati non sono fantasie ma dati accertati, così com’è accertata la recente vincita di altri due bandi per oltre mezzo milione di euro per accoglienza ai profughi ucraini nonostante il non pagamento degli stipendi a varie decine di braccianti da circa 18 mesi. Più si vanno a cercare prove a sua discolpa, precisando che parliamo di discolpa esclusivamente politica e  morale, più la sua figura si riempie di ombre. Come accettare infatti la dichiarazione di sua moglie che a difesa di Aboubaker afferma che in casa non si parlava mai delle coop e dei migranti?

Anche senza pretendere che valga per tutti un principio affermato dal femminismo per cui il personale è politico, come si può accettare che in una famiglia che si occupa come attività primaria del problema e dei diritti degli immigrati, di questo non si parli? O come accettare che di fronte al lusso e alle mises sfrontatamente costose ostentate pubblicamente dalla moglie, mentre ai braccianti mancava anche il cibo, Aboubaker risponda che lui riconosce il diritto all’eleganza e alla moda e quindi  non vede contraddizione tra il lusso di sua moglie e la fame dei braccianti per i quali si ottenevano finanziamenti?

Aboubaker Soumahoro è indifendibile, soprattutto se è vero che alle cooperative gestite dalle “sue familiari” sono arrivati realmente 62 milioni di euro che non sembrerebbero essere finiti ai legittimi beneficiari e, come afferma lo scrittore maliano Diawara Soumaila, “qui c'è di mezzo la credibilità di tutta la comunità africana, oltre alle persone che lavorano onestamente in questo ambito e non si possono permettere nemmeno una vacanza…

Chi difende Abou e la sua famiglia in quanto neri è deficiente” e rivolgendosi alla sinistra, o almeno a chi si riconosce nei valori della sinistra dice “cerchiamo di essere coerenti tra noi, altrimenti non avremo nulla da dire alla destra, saremo uguali”. Il giudizio di Soumaila è netto e negativo ma non è strumentale, al contrario dei numerosi giudizi emessi dalla  destra-destra  e dai suoi imitatori. Il garantismo invocato per i propri amici, stavolta sparisce e soccombe all’appetito di sciacalli e iene. Intanto gli avvoltoi volteggiano sulle cadute di Soumahoro allargando il loro banchettare all’intera sinistra, facendo dire al Giornale di Feltri, con l’acquolina alla bocca “qui muore la sinistra dell’accoglienza”. No, signor Feltri, nonostante tutto e senza fare nessuno sconto né a Soumahoro, né a Fratoianni e Bonelli che sono stati a dir poco incauti nel candidarlo per raccogliere voti tra chi credeva alla sua immagine mediatica in base al suo passato, qui “non muore la sinistra dell’accoglienza”,  ma grazie a questa brutta esperienza che mostra quanto gli umani siano umani nel bene e nel male a prescindere dalla loro pelle, qui DEVE nascere una vera sinistra dell’accoglienza, dove accoglienza non può e non deve significare far business sulla disperazione dei migranti e, trasversalmente, sulle condizioni di vita di lavoratori e disoccupati italiani.

Per discrezione verso chi legge non cito le parole di un altro campione della destra quale Sallusti, anche lui banchettante con i suoi simili ma, parafrasando le parole dello stesso Soumahoro che con uno sciocco espediente linguistico a difesa del lusso ostentato da sua moglie afferma che “la moda non è né bianca né nera, è umana” concludo dicendo che anche l’onestà verso chi è in situazione di bisogno non è né bianca né nera, ma è un obbligo morale che dovrebbe appartenere a ogni umano, soprattutto a chi si pone come difensore dei deboli. E anche i giudizi critici non sono né bianchi né neri ma sono umani, solo che per qualcuno sono solo volgarmente strumentali così come lo è, purtroppo, la gogna mediatica in cui trovano spazio avvoltoi, sciacalli e iene.

 
 
 

Patrizia  Cecconi

Patrizia Cecconi

Romana di nascita, milanese di ultima adozione. Laureata in Sociologia presso la Sapienza Roma ove tiene per alcuni anni dei seminari sulla comunicazione deviante. Successivamente vince la cattedra in Discipline economiche ed insegna per circa 25 anni negli Istituti commerciali e nei Licei sperimentali. Interessata all'ambiente, alle questioni di genere e ai diritti umani ha pubblicato e curato diversi libri su tali argomenti ed uno in particolare sulla Palestina esaminata sia dal punto di vista ambientale che storico-politico. Ha presieduto per due mandati l'associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese di cui ora è presidente onoraria e, al momento, presiede l'associazione di volontariato Oltre il Mare. Da oltre 12 anni trascorre diversi mesi l'anno in Palestina, sia West Bank che Striscia di Gaza, occupandosi di progetti e testimonianze dirette della situazione. Collabora con diverse testate on line sia di quotidiani che di riviste pubblicando articoli e racconti. 

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