Centomila “uomini di pace” da schierare nell'Ucraina divisa in quattro parti?

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Centomila “uomini di pace” da schierare nell'Ucraina divisa in quattro parti?

 

Un'altra, l'ennesima “missione di pace”, per “portare pace e democrazia” ai popoli. Questa volta – la cosa non è da ridere – a essere oggetto delle attenzioni “pacifiste” e liberali di Washington, Bruxelles, Londra, non è altri che la stessa nazione fino a oggi acclamata quale “democrazia aggredita da una dittatura”: l'Ucraina di quella junta nazigolpista foraggiata coi miliardi depredati alle masse dei paesi europei coi tagli criminali a salute, istruzione, lavoro, casa.

L'intelligence estera russa (SVR: Služba Vnešnej Razvedki) ha messo a nudo alcuni piani occidentali per una cosiddetta soluzione del conflitto in Ucraina e l'introduzione sul territorio della ex repubblica sovietica di un “contingente di pace” di almeno centomila uomini.

Secondo la SVR, il paese dovrebbe venir suddiviso in quattro zone di “esportazione della democrazia”: coste del mar Nero, in cui la “pace” dovrebbe essere assicurata da forze rumene; le regioni occidentali dovrebbero passare sotto il controllo di chi da decenni non sogna altro che di riprendersi i territori un tempo occupati abusivamente, cioè la Polonia; centro e regioni orientali (ma, nei loro piani: fin dove dovrebbe spingersi l'oriente dell'Ucraina?) sotto egida teutonica. Infine, aree settentrionali, compresa la regione di Kiev, affidate alla “supervisione” britannica.

Inoltre, dato che, a occhio e croce, in fondo centomila uomini per controllare un intero paese, non sono poi così tanti, ecco che a dar loro manforte e a svolgere quelle funzioni che un tempo (diciamo: un'ottantina di anni fa) furono dei “polizei” agli ordini degli occupanti nazisti, potrebbero essere ancora una volta le varie bande di locali nazionalisti e banderisti.

La genialata della suddivisione dell'Ucraina è sorta dopo che, come ha rilevato la SVR, a Ovest ci si è resi conto della mancanza di «prospettive di infliggere alla Russia una sconfitta strategica sul campo di battaglia». E ciò significa che il conflitto dovrebbe venir congelato, in attesa che Kiev venga di nuovo rimpinguata di armi, mentre, nel frattempo, i “portatori di pace” avranno la possibilità di “rientrare nelle spese”, a scapito delle ultime risorse naturali ucraine rimaste libere dalle grinfie delle multinazionali energetiche e agroalimentari occidentali.

Pare anche che tra gli ideatori del nuovo “piano di pace” ci sia l'energumeno che nel marzo del 2022 aveva mandato a monte proprio la possibilità di accordo russo-ucraino: quel Boris Johnson che ora dichiara di voler inviare «militari in Ucraina», ma che non dovrebbero essere «truppe da combattimento da contrapporre ai russi. Ma penso che come parte della soluzione, come parte del risultato finale, si vorrà avere una forza di pace multinazionale europea che controlli i confini e che aiuti anche gli ucraini. E non credo che un'operazione europea di questo tipo possa svolgersi senza la Gran Bretagna. Dobbiamo essere presenti. L'Ucraina è in realtà un Paese molto ricco e con un enorme potenziale. Si potranno così recuperare i costi della loro difesa». Ecco spiattellata la verità come meglio non si potrebbe fare.

E, a Mosca, cosa pensano di questa ideona? Il portavoce presidenziale, Dmitrij Peskov si è limitato a osservare che «Il dispiegamento di forze di pace è possibile solo con il consenso delle parti in conflitto. In secondo luogo, abbiamo parametri assolutamente chiari, necessari per l'accordo. E, naturalmente, per mettersi sulla strada dell'accordo, è necessario risolvere il problema delle cause prime di questo conflitto. E qui tutto è molto più profondo della “soluzione” della missione di pace».

Parlando di “consenso delle parti”, chiaro che si intenda “consenso russo”, dato che è improbabile che qualcuno si prenda la briga di chiedere il consenso di Kiev: a Washington, Bruxelles, Londra o Varsavia decideranno da soli.

E il consenso di Mosca è possibile solo a determinate condizioni, sapute e risapute almeno dal dicembre del 2021 e di cui quelle capitali “europeiste” si sono fino a oggi bellamente infischiate. Vedremo ora. Forse, la prospettiva di mettere ancor di più le mani sulle risorse ucraine, sotto lo sguardo vigile dei “contingenti di pace” che assicurino una “equa spartizione” delle ricchezze da depredare, potrà essere di incentivo a venire a capo di qualcosa. Almeno per un po'. Poi si vedrà.

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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