Che cos’è una Liberazione? Le quattro giornate di Napoli

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Che cos’è una Liberazione? Le quattro giornate di Napoli

 

di Marcello Faletra

Tra il 27 e il 30 settembre del 1943 Napoli insorse contro l’occupazione nazista. E’ stata la più eclatante presa di posizione popolare contro l’occupazione nazista in Italia.

Occorre specificare che si tratta di “rivolte”, non di “insurrezioni”, poiché la natura di questi fenomeni, è la spontaneità. L’insurrezione si pianifica, la rivolta sale dal basso senza un quartier generale. A seguito degli sbarchi degli “alleati” a Taranto e Salerno e la progressiva occupazione della Calabria, Napoli si trovò al centro di una strategia militare dei nazisti per il controllo di tutto il sud. Avere il dominio su Napoli avrebbe significato avere il dominio strategico - marittimo e terrestre - su tutto il meridione.

È in questo scenario che la strategia del terrore messa in atto dai nazisti puntava a stabilire un “ordine”  e la docile collaborazione della popolazione.

Il 12 settembre il colonnello nazista Scholl proclamava lo stato d’assedio e iniziava una serie di feroci rappresaglie, passando per le armi tutti coloro che le spie fasciste indicavano semplicemente come sospette. In quelle ore la delazione per opera dei fascisti - i cui orgogliosi eredi oggi sono al governo - arrivava al culmine. Molti napoletani (civili) furono giustiziati solo per essere stati indicati come sospetti. Tra questi anche 14 carabinieri, che non si piegarono ai dettati nazisti, nove donne e ventisei operai degli stabilimenti di Castellammare e di Torre Annunziata.

Inoltre, l’università sospettata di ospitare “rivoltosi” venne data alle fiamme, e gli stabilimenti industriali del Golfo distrutti. Per i nazi-fascisti era necessario piegare con ogni mezzo la popolazione resistente, distruggendo anche i luoghi di lavoro.

Il 22 settembre (1944) i fascisti (su comando del colonnello Scholl), emanarono un bando, nel quale si obbligava il servizio militare a tutti gli uomini validi dai diciotto ai trentatre anni, per essere poi mandati nei campi di “lavoro” in Germania.

Il bando aveva la durata di tre giorni. Alla sua scadenza solo centocinquanta uomini si presentarono su trentamila previsti dalle informazioni anagrafiche.

Dopo aver accusato il “sabotaggio”, venne fatto un altro bando il 25 settembre, presso il quotidiano “Roma” (notoriamente filo-fascista) per conto dei nazisti e della “Repubblica fascista”. Un passo del bando è significativo, vale la pena riportalo: “Incominciando da domani per mezzo di ronde militari farò fermare gli inadempienti. Coloro che, non presentandosi, hanno contravvenuto agli ordini pubblicati, saranno senza indugio fucilati dalle ronde”. Tuttavia, questa minaccia non scosse il popolo napoletano. La fame era di casa e la paura – come strategia di sottomissione -  dopo tre anni di feroce guerra aveva perso il suo effetto intimidatorio.

Non è facile ricostruire la dinamica della rivolta, per via del fatto che non aveva una organizzazione pianificata.  Ma è noto che ebbe inizio al Vomero, dove nel pomeriggio del 27 settembre furono fucilati per vendetta cinque giovani innocenti, sullo stesso luogo dove erano stati uccisi alcuni occupanti nazisti, mentre circa cinquanta giovani furono presi ostaggio e rinchiusi nel campo sportivo.

La mattina successiva scoppiò la rivolta. Dal Vomero – parte alta della città – la rivolta si propagò di quartiere in quartiere. Tutta Napoli divenne un’eruzione di rabbia.

Dai vicoli, dalle case, da ogni angolo della città, un esercito senza divise e senza capi, con ogni mezzo (sassi, tegole, bottiglie di benzina, occlusioni di strade con ogni oggetto) affrontò la ferocia nazista. A dare l’esempio furono giovani, come Gennaro Capuozzo di dodici anni, o i diciassettenni Pasquale Formisano e Mario Menichini, che affrontarono senza paura con bombe a mano e a viso aperto i carri armati dei nazisti.

Dal Vomero a Mergellina, dall’Immacolatella a Porta Capuana, Napoli fu un sussulto irresistibile di rivolta. Ma il centro di questa rivolta era sempre al Vomero, dove i napoletani (gli insorti) attaccarono il campo sportivo presidiato dai nazisti, fino alla loro resa, costretti ad alzare la bandiera bianca. Gli ostaggi furono liberati.

Le Quattro giornate di Napoli non furono un episodio isolato, poiché si estese in altre aree del sud come a Matera, Capua, Teverola, Teramo...

Le quattro giornate di Napoli hanno un significato storico esemplare: non hanno atteso gli eserciti alleati per la “liberazione”, ma hanno attivato con ogni mezzo il processo immanente, “spontaneo” con le parole di Rosa Luxemburg, contro la violenza nazi-fascista. La liberazione non è un dettato politico-istituzionale, ma una condizione ontologica della resistenza, che investe l’esistenza stessa, la quale non si rivolge per delega a organismi esterni per avere giustizia o libertà.

La resistenza, e la liberazione di conseguenza, trae la sua legittimazione dalla soppressione della libertà e dalla violenza del potere.

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