Come vedono i Nativi Americani la situazione a Gaza: un percorso parallelo?

Come vedono i Nativi Americani la situazione a Gaza: un percorso parallelo?

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Le analogie, in primis legate al colonialismo e al concetto di identità e territorio, sembrano scontate. Ma riportare una opinione uniforme sulla questione più dibattuta, in particolare dallo scorso 7 ottobre, è difficile: molti supportano i Palestinesi, alcuni sono dalla parte di Israele, altri non si pronunciano. Come vedremo alla fine di questo articolo, sono sempre i Sioux-Lakota i più battaglieri.

Elezioni imminenti

Il mood generale è fermare quello che è stato denunciato come genocidio, di cui del resto sono stati vittime anche i Nativi; ma le incombenti elezioni americane inviterebbero alla prudenza nell’esprimersi su un tema tanto delicato, in particolare negli Stati Uniti. I Nativi Americani mancano ancora di una posizione politica forte, pur se hanno Deb Haaland, membro tribale dei Pueblo, come Segretario degli Interni nella amministrazione Biden. Il suo ruolo – supportato da una comunità nativa (e dai suoi voti) che conta oltre 9.700.000 persone, in base al censimento 2020 – è rimasto in ombra durante il mandato Biden, come del resto quello di Kamala Harris che solo di fronte alla recente candidatura democratica è “resuscitata” a una posizione di rilievo e a tanti elogi. Del resto, se la candidata dem appoggia Israele – pur lamentando l’alto numero di vittime palestinesi, nelle sue recenti dichiarazioni – il suo partito ha dato spazio a esponenti Nativi Americani tra le figure politiche. Dall’altra parte una possibile – e non certo da escludere – elezione di Trump alla Casa Bianca potrebbe significare problemi per la comunità nativa americana nonchè per le sue lotte ambientaliste. Ascoltiamo alcune voci di Nativi Americani.

Le proteste dei Nativi Americani

Molti nella comunità indigena considerano ciò che è accaduto più di 500 anni fa nelle Americhe come un “percorso parallelo” a quello che i palestinesi stanno affrontando negli ultimi 75 anni. Come abbiamo visto nei precedenti articoli di questa rubrica, si stima che fino a 56 milioni di indigeni americani siano stati uccisi nei primi 100 anni di colonizzazione europea delle Americhe. Oggi, le tribù di Nativi Americani rimaste sono costrette a vivere su appena il due per cento della terra degli Stati Uniti.

Dall'inizio del bombardamento israeliano su Gaza, in ottobre, gruppi come NDN Collective e The Red Nation hanno rilasciato dichiarazioni scritte per chiedere la fine del “colonialismo” e del genocidio, aggiungendo che “i diritti dei palestinesi sono diritti indigeni su quelle terre e noi siamo sulla terra indigena qui negli Stati Uniti”.

Tara Houska, avvocato tribale della Couchiching First Nation ed ex consulente per gli Indian Affairs di Bernie Sanders (2016), parlando a TRT World, ha detto di aver assistito agli “sforzi per allontanare i Palestinesi dalla Palestina” per decenni, ma che l'occupazione israeliana è ora “diventata apertamente genocida nella sua portata e nelle sue azioni”. Ha proseguito: “I miei antenati sono stati quasi sterminati con un genocidio. Siamo stati disumanizzati, degradati e non abbiamo avuto diritti sulle nostre terre d'origine. Siamo stati trasferiti in piccole porzioni della terra che abbiamo chiamato casa per generazioni. Vedo che molte di queste stesse tattiche vengono messe in atto nei confronti del popolo palestinese”. L'attivismo della Houska ha incluso l'incatenamento a un escavatore in ottobre presso il Mountain Valley Pipeline (MVP) a Pembroke, in Virginia. L'oleodotto di gas fracking, lungo più di 300 miglia, è stato preso di mira come luogo di protesta, poiché si ritiene che il petrolio proveniente dall'oleodotto serva Elbit Systems a Roanoke, in Virginia. L'azienda produce armi israeliane che sono state utilizzate contro i Palestinesi. Ha aggiunto la Houska: “La diplomazia internazionale deve avere luogo con la Palestina al tavolo come parte uguale e autodeterminata – fino ad allora, Wiikwaji'ikog Baneshtiinanaang Palestine!”, che significa “Liberate il popolo della Palestina” nella lingua nativa Ojibwe di Houska.

Il sostegno dei Nativi Americani alla Palestina risale ad almeno mezzo secolo fa: il Native American Movement e la Palestine Liberation Organisation (PLO) si erano già sostenuti a vicenda negli anni '70. Più recentemente, nel 2016, Nativi Americani, vestiti con kefiah palestinesi, si sono schierati a fianco degli attivisti del Palestinian Youth Movement per protestare contro la costruzione di oleodotti che avrebbero distrutto i siti religiosi e culturali indigeni della tribù Sioux-Lakota a Standing Rock, nel Nord Dakota, oltre a contaminare le loro riserve d'acqua. James Zogby, presidente dell'Arab-American Institute con sede a Washington, ha affermato che gli indigeni nativi americani e i palestinesi “condividono la stessa narrazione”. Ha aggiunto: “I coloni sionisti che arrivarono in Palestina negli anni '20 lo riconobbero. A volte si riferivano agli arabi palestinesi che incontravano come ‘pellerossa’ – selvaggi da sconfiggere, ostacoli alle loro ambizioni che dovevano essere rimossi”.

La solidarietà indigena non si è limitata alle proteste di strada e ai post sui social media. A novembre, la MV Cape Orlando, una nave militare statunitense che si ritiene trasportasse armi dirette in Israele, è stata bloccata da una canoa tradizionale della Tribù Puyallup, nativa di Tacoma nello Stato di Washington. L'attivista Patricia Gonzalez ha dichiarato all'epoca: “Abbiamo capito che dovevamo fare la cosa più potente della nostra cultura che sappiamo fare. Salire in acqua e difendere la nostra posizione”.

La NAISA, Native American and Indigenous Studies Association, ha rilasciato una dichiarazione lo scorso aprile, che riporto qui:  

Noi dell'Associazione di Studi Nativi Americani e Indigeni condanniamo con la massima fermezza il genocidio israeliano a Gaza e l'eliminazione coloniale in corso contro i palestinesi. In conformità con il diritto internazionale, chiediamo un cessate il fuoco immediato, l'accesso immediato agli aiuti umanitari, un'indagine imparziale su tutte le atrocità commesse, la fine dell'occupazione illegale delle terre palestinesi e il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi. Chiediamo anche la fine di tutti gli aiuti militari stranieri a Israele. Estendiamo la nostra più profonda solidarietà ai palestinesi di Gaza, della Cisgiordania, dei Territori occupati e a quelli che vivono nella diaspora, mentre cercano di sopravvivere a questo assalto genocida con tutti i mezzi necessari. Il colonialismo e il genocidio dovrebbero essere le forme più riconoscibili di oppressione, il che dovrebbe anche renderli crimini facili da prevenire e punire. Non è così. Il genocidio israeliano in corso contro i palestinesi è forse il primo genocidio della storia ad essere trasmesso in tempo reale. Eppure, i leader e le istituzioni globali non sembrano disposti a fermarlo, nonostante l'opposizione diffusa. I popoli indigeni capiscono meglio cosa significa essere soggetti di Stati colonizzatori che negano, nascondono o cercano di cancellare la propria complicità nel genocidio e nel colonialismo. Ecco perché abbiamo formato comunità intellettuali e organizzazioni professionali come la Native American and Indigenous Studies Association (NAISA) – per studiare e resistere al colonialismo, in tutte le sue manifestazioni, e per mettere al centro l'abbondanza intellettuale e le diverse esperienze dei popoli indigeni. Sappiamo che i singoli membri del Consiglio e molti membri della comunità NAISA si sono organizzati per la solidarietà con la Palestina nell'ambito delle loro capacità istituzionali e comunitarie e sono stati oggetto di campagne diffamatorie volte a mettere a tacere la libertà accademica, l'attivismo indigeno e gli studiosi palestinesi. Sosteniamo i principi della libertà accademica e il diritto di resistere al colonialismo in tutte le sue forme. Siamo solidali con tutti i docenti e gli studenti che sono stati minacciati, sospesi o licenziati per la loro opposizione al genocidio palestinese in corso. Condanniamo fermamente l'uso della violenza e delle minacce di violenza da parte degli amministratori universitari nei confronti di studenti, docenti e personale che esprimono posizioni pro-palestinesi. Mentre i politici e gli amministratori universitari hanno criminalizzato le proteste anti-genocidio non violente e guidate dagli studenti nei campus universitari – definendole "non sicure", Israele ha distrutto, in tutto o in parte, ogni università di Gaza, rendendo nessuno spazio sicuro per l'istruzione. Gli esperti di diritti umani hanno considerato l'annientamento del sistema educativo di Gaza un “scolasticidio”. Dal 7 ottobre 2023, l'esercito israeliano ha ucciso più di 5.479 studenti, 261 insegnanti e 95 professori universitari a Gaza, e più di 7.819 studenti e 756 insegnanti sono stati feriti. Siamo solidali con tutti gli educatori, gli studenti e gli operatori dell'istruzione palestinesi e piangiamo la perdita di coloro che sono stati uccisi e feriti da questa campagna genocida. Rifiutiamo l'inquadramento di questa conflagrazione come un 'conflitto' iniziato il 7 ottobre 2023.  “Il genocidio di Israele contro i Palestinesi a Gaza è una fase di escalation di un processo coloniale di colonizzazione di lunga data di cancellazione [della vita palestinese]", conclude un recente rapporto delle Nazioni Unite che valuta la situazione. La Nakba palestinese si sta svolgendo da oltre sette decenni. Israele ha soffocato tutti gli aspetti della vita culturale, economica e politica palestinese nel tentativo di espropriare e controllare le terre e le risorse palestinesi. Il genocidio è intrinseco al colonialismo dei colonizzatori come processo che tenta di eliminare e sostituire i popoli nativi. Per questo motivo, la NAISA è stata una delle prime sostenitrici del boicottaggio accademico delle istituzioni israeliane ed è rimasta un'alleata impegnata della libertà accademica palestinese di fronte alla repressione israeliana”. 

La Oglala Sioux Tribe  ha approvato una risoluzione a sostegno dei palestinesi di Gaza

Il Consiglio tribale della Tribù Oglala Sioux ha approvato alla fine di marzo una risoluzione a sostegno dei Palestinesi di Gaza. La risoluzione fa riferimento ai parallelismi tra ciò che è accaduto negli Stati Uniti ai Nativi Americani e ciò che sta accadendo attualmente ai Palestinesi di Gaza. Dichiara il Consiglio Tribale: “Nel corso della storia degli Stati Uniti, i popoli indigeni sono stati soggetti a decenni di genocidio guidato dallo sforzo del governo federale di sradicare e assimilare con la forza i Nativi Americani. Lunedì 25 marzo, in un rapporto pubblicato dalle Nazioni Unite, il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sui Territori Palestinesi Occupati, Francesca Albanese, ha dichiarato che ci sono chiare indicazioni che Israele ha violato tre dei cinque atti elencati nella Convenzione sul Genocidio delle Nazioni Unite”. La organizzazione Honor the Earth ha dichiarato in un comunicato stampa che gli Oglala Lakota sono noti per aver combattuto contro il colonialismo, e citando la storia tra i popoli palestinese e Lakota, compreso il momento in cui i palestinesi si sono schierati con i Nativi Americani in solidarietà a Standing Rock e Wounded Knee (come abbiamo visto prima). “Proprio come i palestinesi si sono mostrati per noi alle Nazioni Unite, a Wounded Knee e a Standing Rock, si mostreranno di nuovo per noi quando li chiameremo. Questa è l'essenza dell'essere un buon familiare nella società dei guerrieri”, ha dichiarato nel comunicato stampa Krystal Two Bulls (Oglala Lakota/Northern Cheyenne), Direttore esecutivo di Honor the Earth. “Ecco perché noi, come Oglala, dobbiamo manifestare per loro ora!”.

Concludendo, sono in molti i Nativi Americani a sostenere la causa palestinese. Ma come abbiamo visto finora, la sostanza non cambia. Non trovo modo migliore per concludere questo articolo che con le parole di Chase Iron Eyes direttore di The Lakota People’s Law Project, nella sua dichiarazione del 26 luglio.

“È stata una settimana pazzesca per la politica statunitense. Domenica scorsa, il Presidente Joe Biden si è ritirato dalla corsa per la rielezione, appoggiando subito il Vicepresidente Kamala Harris per prendere il suo posto al vertice della lista democratica. Poi, un'ondata di consensi da parte di altri semocratici di spicco – compresi praticamente tutti i suoi aspiranti sfidanti – ha contribuito a rendere Harris la candidata democratica. E tutto questo è avvenuto sullo sfondo di una visita mercoledì al Congresso del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, secondo quanto riferito, boicottata da quasi la metà dei legislatori democratici. Nel frattempo, prima di quel discorso, molti sono scesi in piazza per protestare a nome degli innocenti palestinesi che stanno soffrendo una crisi umanitaria mortale per mano del governo aggressivamente sionista di Netanyahu. E quasi troppo prevedibilmente qui nella Indian Country, coloro che hanno tentato di esprimere liberamente questo punto di vista sono stati minacciati sotto la minaccia delle armi. La rappresentante legale Lakota Rashida Tlaib (D-MI) ha partecipato al discorso di mercoledì di Netanyahu a una riunione congiunta del Congresso – per protestare contro la sua presenza. Dobbiamo riconoscere e affrontare tutte le forme di violenza politica – dalle questioni sistemiche alla radice fino a ritenere responsabili gli autori. Questi giovani membri del Capitolo Oglala Lakota del Consiglio Internazionale della Gioventù Indigena dovrebbero essere applauditi per aver preso posizione a favore dell'umanità, e non essere costretti a temere per le loro vite. L'ho detto e ripetuto più volte: Il genocidio delle famiglie palestinesi per mano del regime di Netanyahu non è più accettabile dell'uccisione di israeliani innocenti da parte dei razzi di Hamas, dei tentativi storici di sterminio degli ebrei o del tentativo di eliminazione dei nativi da parte del governo statunitense. Siamo solidali con tutti i popoli indigeni e con chiunque soffra, sanguini o muoia quando coloro che bramano e si aggrappano al potere perseguono i loro programmi distruttivi. È ora di fermare le uccisioni. È ora di fermare la violenza. I fornitori di guerra (che vendono munizioni e prestano denaro a tutte le parti in conflitto) devono essere neutralizzati, ed è ora di agire con tutto ciò che abbiamo per opporci all'autoritarismo. Wopila tanka - grazie per esserti schierato a favore della pace”.

 

Raffaella Milandri

Raffaella Milandri

 

Scrittrice e giornalista, attivista per i diritti umani dei Popoli Indigeni, è esperta studiosa dei Nativi Americani e laureata in Antropologia.
Membro onorario della Four Winds Cherokee Tribe in Louisiana e della tribù Crow in Montana. Ha pubblicato oltre dieci libri, tutti sui Nativi Americani e sui Popoli Indigeni, con particolare attenzione ai diritti umani, in un contesto sia storico che contemporaneo. Si occupa della divulgazione della cultura e letteratura nativa americana in Italia e attualmente si sta dedicando alla cura e traduzione di opere di autori nativi. Attualmente conduce un programma radiofonico sulla musica nativa americana, "Nativi Americani ieri e oggi" e cura la riubrica "Nativi" su L'AntiDiplomatico.

 

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