Come vivono i rifugiati ucraini all'estero la prospettiva della fine della guerra
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Quanti sono gli ucraini che oggi vivono fuori dei confini del paese? Difficile fare una stima precisa. A inizio anno, il canale ucraino “24 Zakordon”, su dati del Ministero per l'unità nazionale, parlava di 25-30 milioni di ucraini all'estero, contro i 33 milioni residenti in patria. Tra gli emigrati, sono compresi anche coloro che avevano lasciato il paese prima del febbraio 2022.
Secondo i dati dell'ultima indagine sociologica del Centro ucraino di strategia economica (TsES), riportati lo scorso 26 febbraio da Oboz.ua, meno della metà dei rifugiati ucraini all'estero ha espresso il desiderio di tornare in patria dopo la guerra. La situazione demografica è critica, commenta Oboz.ua; in base alle stime ufficiali, in Ucraina rimangono oggi 31-32 milioni di abitanti e il numero potrebbe ridursi a 28-29 milioni nel prossimo futuro.
Secondo dati ONU, ripresi dalla BBC, a fine settembre 2024 erano oltre sei milioni - di cui 1,2 milioni in Germania e 970.000 in Polonia - gli ucraini che, all'estero, godono dell'assistenza temporanea dei paesi ospitanti.
In ogni caso, stando a The Economist, che a sua volta si basa sui dati della ricerca condotta dal TsES, pare che almeno due terzi dei rifugiati non abbiano alcuna intenzione di tornare a casa: si parla di un 43% di profughi o emigrati che pensano di tornare in Ucraina, contro il 74% di due anni fa.
A oggi, afferma il politologo ucraino Konstantin Bondarenko, lui stesso emigrato, si è in presenza di uno spopolamento catastrofico: se fino a un anno fa il 40% degli ucraini che vivono in Europa diceva che non sarebbe tornato, e il 60% diceva che sarebbe tornato dopo la guerra, ora è il 73% a dire di non voler assolutamente tornare.
Nella ricerca riportata da The Economist, osserva PolitNavigator, viene peraltro sostenuta una tesi piuttosto discutibile, secondo cui per molti rifugiati non sarebbe importante tanto il termine temporale della conclusione della guerra, per decidere sul rientro o meno in patria, quanto il il modo di come il conflitto si concluderà: «La crescente prospettiva di un cessate il fuoco senza che l'Ucraina aderisca a NATO o UE, insieme alla prosecuzione dell'occupazione russa di un quinto del paese, non ispira molta fiducia. Molti ucraini temono che la Russia possa presto attaccare di nuovo», è detto sul giornale.
La critica situazione evidenziata da Bondarenko si esprime forse più concretamente nelle cifre messe nero su bianco da soggetti non certo sospetti di particolari antipatie per Kiev. Secondo The World Factbook della CIA, al 2024 l'Ucraina, con una popolazione stimata in 35,6 milioni di persone, “vantava” il primo posto al mondo per tasso netto di emigrazione, con 36,5 emigrati ogni 1.000 abitanti: quasi il doppio del paese classificato in seconda posizione, cioè il Sudan del Sud, col 19,1 per mille, seguito dal Venezuela col 13,2, le Isole Vergini britanniche col 12,9, le Isole Cayman e la Guinea Equatoriale col 12,1/1000. Queste cifre, messe insieme a quelle sul tasso grezzo di mortalità (di nuovo il primo posto mondiale: seguono Lituania, Serbia, Lettonia, Romania, rispettivamente col 15,2, 14,9, 14,7 e 14,6/1000) pari a 18,6 decessi ogni mille abitanti e sommate a quelle sul tasso di natalità del 6/1000, con l'Ucraina all'ultimo posto (228°), evidenziano abbastanza bene la situazione generale di un paese terrorizzato e ghigliottinato da oltre dieci anni da una junta neonazista che fa di tutto tranne gli interessi dei propri cittadini. Tanto che, per aspettativa di vita alla nascita, l'Ucraina si piazza in 173° posizione, con 70,5 anni, contro i 54,4 di un abitante dell'Afghanistan (227° e ultima posizione) e gli 89,8 anni di un “povero” monegasco, al primo posto, contro la 19° posizione dell'Italia, con 83 anni di aspettativa di vita.
In generale, la maggioranza dei rifugiati ucraini all'estero è costituita da donne e, se un tempo si riteneva che, una volta concluso il conflitto, sarebbero rientrate in patria, oggi, al contrario, si giudica più verosimile che il ritiro della legge marziale porti un maggior numero di uomini – soprattutto quelli in età militare, cui è attualmente vietato espatriare - a lasciare il Paese per ricongiungersi con le famiglie all'estero. In base alla ricerca del TsES, la cosa potrebbe riguardare oltre mezzo milione di persone. Dato però che ciò sarebbe catastrofico «per il mercato del lavoro ucraino e per le sue capacità di difesa, è verosimile che Kiev non abbia fretta di allentare le limitazioni all'espatrio», afferma il deputato della Rada Aleksandr Merežko.
Come che sia, la tendenza registrata dall'indagine del TsES è abbastanza corretta: gli ucraini stanno “mettendo radici” in Europa. Nella stessa Polonia, la percentuale di rifugiati, per lo più donne, che lavorano o cercano attivamente lavoro ha superato il 67% del loro totale. Angelika, osserva The Economist, insegnante di musica di Vinnitsa, lavora come domestica e impacchetta vestiti in un magazzino di Cracovia. Come altri milioni di ucraini in Europa, si trova di fronte a una scelta poco invidiabile: restare in Polonia significherebbe passare più tempo lontano dal marito, che non può lasciare l'Ucraina. Tornare indietro significa rischiare il futuro dei suoi due figli. «Anche se la guerra finisse ora» dice, «ricomincerebbe... in queste condizioni, quale madre vorrebbe riportare il proprio figlio in Ucraina?».
In effetti, pur con le continue giravolte, in un senso o nel suo contrario, riguardo alle intenzioni di “ospitalità” via via manifestate da Varsavia nei confronti dei rifugiati ucraini, pare ora che il governo polacco intenda consentire loro di cambiare la protezione temporanea con un permesso di soggiorno di tre anni. Il numero di coloro che faranno domanda «potrebbe essere di alcune centinaia di migliaia; oppure potrebbero farla anche tutti», dice il vice ministro degli interni polacco Maciej Duszczyk.
Le autorità polacche sono spinte a questi passi da motivi economici, scrive The Economist. Gli ucraini in Polonia non sono affatto degli scrocconi: secondo la società di consulenza Deloitte, nel 2023 la quota dei lavoratori ucraini nel PIL del paese costituiva l'1,1%, così che essi hanno contribuito molto di più all'economia polacca, come lavoratori e contribuenti, di quanto non ricevano in aiuti umanitari dallo Stato polacco.
Nella maggior parte degli altri paesi UE, tuttavia, pare che il quadro sia più fosco. In Germania, a fine 2024, il tasso di occupazione dei rifugiati ucraini era solo del 43% e in Italia e Spagna ancora più basso, anche se quasi ovunque è in crescita e molti osservatori sospettano che tali cifre siano dovute all'alto livello di occupazione sommersa degli ucraini in questi paesi e all'evasione fiscale da parte dei padroni.
Sulla questione degli emigrati ucraini, anche la rivista Focus nota che la fine dello stato di guerra porterà inevitabilmente a una nuova ondata di emigrazione; questo, nonostante che il prossimo cancelliere tedesco Friedrich Merz intenda abolire il cosiddetto “Bürgergeld”, per i rifugiati ucraini. L'obiettivo, si dice, sarebbe non solo quello di spostare l'onere finanziario dell'assistenza dal bilancio statale ai Comuni – la quota concessa è inferiore e varia in base al bilancio della data municipalità, come per tutti gli altri migranti - ma anche quello di incoraggiare i rifugiati ucraini a tornare gradualmente a casa, contrariamente alle intenzioni di molti di loro.
In effetti, però, nota Aleksej Belov sulla russa Fond Strategiceskoj Kul'tury (FSK), la scelta del nuovo governo tedesco, di risparmiare sui sussidi, si inserisce nella volontà di stanziare 500 miliardi di euro per aumentare la produzione del complesso militare-industriale tedesco, parte della quale andrà a sostegno della junta di Kiev. In altre parole, il solito “cannoni invece di burro”: niente soldi per chi fugge dalla guerra, ma miliardi per continuare quella stessa guerra. «Cinismo di prim'ordine!», commenta Belov; anche se, con tale approccio, il nuovo governo tedesco conta di far fronte a un problema reale: quello di forzare i rifugiati ucraini, quantomeno, a darsi da fare più attivamente per cercare lavoro. «Viziati dalle attenzioni e dall'affetto europei» scrive Belov, che, «però, come avevo avvertito, si sono esauriti piuttosto in fretta, gli ucraini, molti dei quali non possono certo essere definiti “poveri”, preferiscono contare sui sussidi, convinti che “tutto sia loro dovuto”».
In ogni caso, osserva Belov, ciò che più stupisce alla lettura dei canali Telegram ucraini, è la constatazione secondo cui il 70% degli ucraini all'estero non desidera che il conflitto in Ucraina finisca. Non lo vogliono per interesse personale, perché temono di perdere i sussidi, gli alloggi sociali, le altre garanzie e gli “accomodamenti” caritatevoli con cui sono stati generosamente nutriti dalle organizzazioni umanitarie. E c'è ancora qualcuno, conclude Belov, che parla di un paese come l'Ucraina che, stando alle statistiche, non sta a cuore nemmeno al 70% dei suoi emigrati.