Con l'omologazione e la paura non c'è libertà (e nulla da festeggiare)
Da sempre, l’umanità avverte l’esigenza di interrompere il quotidiano con momenti di festa, fatti di ritualità codificate e ripetute nel tempo, in cui gongolare alla ricerca di un senso di appartenenza e sicurezza.
In questo clima in cui, come scrisse Freud, “l’eccesso è permesso”, e in cui l’aspettativa implicita sembra quella di essere felici, il mio pensiero va non a chi celebra, ma a chi, spesso solo, resiste.
Ai giornalisti, che pagano con la detenzione il prezzo di un’informazione indipendente; ai dissidenti, che sopportano le violenze di sistemi liberticidi; ai rifugiati, che fuggono da guerre; ai lavoratori, che lottano per un’occupazione all’insegna della dignità e non di un algoritmo.
Il mio pensiero va a anche a chi un lavoro non ce l’ha, a chi prova sdegno per ingiustizie e sfruttamento, a chi si batte per una sanità che guardi all’individuo, a chi crede nella scienza, ma non alla scienza del profitto.
Il mio pensiero va a chi studia, si informa, fa ricerca, a chi crea, a chi lotta, a chi si oppone all’industria culturale e all’omologazione delle idee; a chi critica e non si rassegna, a chi resiste alle semplificazioni, a chi non rinuncia al confronto ma, soprattutto, a chi non teme la tirannia di chi ci vorrebbe conformi, ma divisi.
Con l’omologazione e la paura, non potrà mai esserci nessuna libertà.
Né, alcunché da festeggiare.
Buone feste, dunque, a chi resiste.