Confutare il dogma della produttività

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Confutare il dogma della produttività

 

di Federico Giusti

Politica dei sacrifici, scelte per il bene del paese, austerità sono ormai frasi fatte per imporre scelte economiche improntate a tagli salariali e alle spese sociali.

Ha ragioni da vendere Clara E. Mattei nel sostenere come la crescita economia sia costruita sui bassi salari per imporre regole e ordine del Capitale.

E questo ordine diventando dogma assoluto necessita volta per volta di rivedere le proprie politiche per occultare le contraddizioni intrinseche al modo di produzione capitalistico allontanando al contempo ogni critica radicale allo stesso e soluzioni antagoniste o alternative.

Le politiche di austerità e di contenimento del debito per anni sono state funzionali alla riduzione della spesa pubblica e ai processi di privatizzazione, con l'arrivo della crisi pandemica e poi di quella economica sono stati parzialmente rivisti i parametri economici relativi al rapporto tra Pil e spesa pubblica, il dogma della crescita si è legato ai processi di ristrutturazione da raggiungere con i fondi PNRR. 

L'austerità fiscale non vale comunque per tutti, ad esempio la tassa piatta per gli autonomi rappresenta una scelta politica del Governo Meloni come anche la irrisoria, al cospetto di altri paesi capitalistici, tassazione per le successioni applicata ai grandi patrimoni mentre invece gli sgravi alle imprese e i tagli ai costi del lavoro sono una scelta dei padroni  fatta propria dai sindacati rappresentativi e realizzata dagli ultimi Governi.

L'austerità monetaria si basa sull'aumento dei tassi di interesse che da una parte rafforza il potere finanziario ma dall'altra aumenta il costo del denaro e gli interessi che imprese e famiglie devono pagare dopo avere contratto prestiti.

L'austerità industriale è forse la meno nota ma anche la più diffusa con il disimpegno statale in economia e le politiche di privatizzazione a determinare il progressivo indebolimento dei sindacati e la demonizzazione del conflitto tra capitale e lavoro

La riduzione della spesa pubblica viene oggi sostituita da una ristrutturazione della spesa anche se confrontando i dati reali si evince che le minori spese sono ancora vigenti seppur occultate dietro a cortine fumogene costruite ad arte.

Innalzare i tassi di interesse del denaro, agitare lo spauracchio dei licenziamenti ha anche altre conseguenze, ad esempio, seminare paura e rassegnazione, il timore di non arrivare in fondo al mese o di perdere il posto determina politiche sindacali arretrate o concertative invece di aggredire il capitale con il conflitto.

Negli anni della austerità i salari sono stati spinti verso il basso, le politiche sociali (e quindi gli investimenti per sanità, pensioni e istruzione) hanno subito forti contrazioni, crollato il potere di acquisto e di contrattazione è avvenuta la ridistribuzione degli utili e delle ricchezze a mero beneficio del capitale economico e finanziario, sono cresciute le disuguaglianze allargandosi progressivamente la forbice sociale e salariale.

Il peso del pubblico e dello Stato si è nel tempo affievolito e sono state costruite politiche repressive contro i salariati trasformando ogni rivendicazione sindacale conflittuale in una sorta di minaccia all'ordine pubblico.

Mentre parti consistenti della popolazione si impoverisce o si indebita per arrivare a fine mese, una parte esigua della popolazione mondiale rafforza i propri patrimoni, potremmo fotografare in queste poche parole le conseguenze della globalizzazione e delle politiche di austerità che per altro non sono una novità del nostro secolo essendosi materializzate già nel lungo secolo scorso

E con l'austerità i profitti aumentano in termini esponenziali alimentando il mito della crescita del Pil (per essere chiari non saremo certo noi i cantori della decrescita come soluzione alternativa e percorribile) salvo poi scoprire che in determinati momenti storici questa crescita ha bisogno non di meno Stato ma di più stato, di finanziamenti pubblici oggi invocati a favore delle imprese dal Centro Studi di Confindustria.

Perchè a smentire i cantori neoliberisti fautori dei principi di autoregolamentazione dei mercati arrivano le crescenti richieste padronali di aiuti al settore pubblico, ormai non si invoca meno stato ma la contrazione del welfare trovando alleati anche nel fronte sindacale in evidente conflitto di interessi con la sua natura e funzione storica. Il sostegno del sindacato a previdenza e sanità integrativa, le assicurazioni private per invogliare le iscrizioni ai sindacati rappresentativi (ma anche ad alcuni di base ormai come dimostra la indizione di corsi formativi in vista dei concorsi) sono parte integrante non solo della concertazione ma di quelle politiche di austerità che demonizzano il conflitto.

Per far funzionare queste politiche è indispensabile una narrazione totalizzante e a senso unico atta a costruire da una parte i demoni (i conflittuali) e dall'altra politiche costruttive "per il bene del paese" che poi coincidono con i desiderata delle imprese.

Una battaglia per l'egemonia culturale dovrebbe basarsi sulla confutazione dei dogmi capitalistici   e delle sue presunte regole ferree che vengono ritenute principi assoluti da condividere tout cort ma intanto la stragrande maggioranza del giornalismo degli studiosi e del sindacato sono ormai piegati alla ideologia dominante della produttività.

Veniamo da anni di subalternità culturale e politica, di esaltazione acritica della sacralità della proprietà privata dei mezzi di produzione ( e in questa ottica vanno lette le campagne per il  cosiddetto diritto alla autodifesa che vorrebbe i cittadini armati per proteggere le loro case dai ladri fino alla militarizzazione della società con militare e forze dell'ordine chiamati nelle scuole) e delle ricette economiche di austerità , si va facendo strada a una idea di Governo (non dello Stato) forte in nome della governabilità per contrarre gli spazi di democrazia, libertà e partecipazione collettiva.

E la riduzione del potere di acquisto salariale e del potere contrattuale diventano parti essenziali di questa narrazione da smontare pezzo dopo pezzo per non subire ricette e politiche finalizzate al rafforzamento del grande capitale contro il lavoro, i salariati e il welfare.

Clara E Mattei: L’economia è politica  2023

 

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