Continuare l'attacco imperialistico alla Siria con altri mezzi

Continuare l'attacco imperialistico alla Siria con altri mezzi

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Riceviamo e con grande piacere pubblichiamo

 

di Maurizio Brignoli

 

Per quanto spacciata dalla disinformazione occidentale come “guerra civile” quella che si è sviluppata in Siria dal 2011 è un’aggressione imperialistica, che andrebbe meglio collocata nel contesto di un grande conflitto interimperialistico che in Siria si è combattuto in buona parte per interposta persona fra quello che si può definire un asse occidentale-sunnita (Usa, Ue, Israele e petromonarchie) volto a far cadere Bashar al-Assad alleato di Russia e Iran (e Cina). Un conflitto che si connette col progetto statunitense di mantenere un assetto mondiale unipolare e che prevedeva di ridisegnare le mappe del potere e in alcuni casi anche quelle geografiche del Grande Medioriente rovesciando governi non subordinati per mezzo di aggressioni dirette o per tramite delle formazioni jihadiste o attraverso le cosiddette “primavere arabe” condotte con la complicità dei Fratelli musulmani. Ultimo ma non meno importante la contrapposizione al grande progetto del capitale cinese della Nuova via della seta per fronteggiare il quale la destabilizzazione di questi territori è cruciale.

Il concetto di “guerra civile” perde di significato nel momento stesso in cui ci si trova di fronte a un conflitto progettato anni prima della sua effettiva conflagrazione a opera di paesi esterni e tramite un’aggressione condotta con miliziani in buona parte stranieri. Le origini più dirette dell’Isis risalgono a quando la Nato, con la collaborazione di Israele e petromonarchie, ha finanziato e addestrato queste milizie per rovesciare Gheddafi nel 2011 e che poi, a lavoro fatto, si sono spostate in Siria per abbattere Assad. Il generale Fabio Mini, già capo di stato maggiore del comando Nato del sud Europa, è stato cristallino: «L’Isis è soltanto la bandiera, e sotto ci sono le stesse milizie che prima pagavamo e che ora indossano una tuta nera perché da quelle parti è diventato un marchio vincente»[1].

Anche in Siria, dove il governo aveva introdotto quegli elementi di riforma strutturale dettati dal grande capitale transnazionale che, pur appoggiati dalla borghesia siriana, avevano fatto perdere il consenso dei ceti popolari sui quali in parte ha potuto far presa l’opzione islamista, si cominciava con una pseudo primavera che, con maggiori somiglianze con le vicende libiche, vedeva immediatamente all’opera formazioni armate, con esplicita benedizione degli Usa visto che il 6 luglio 2011 l’ambasciatore Robert Ford passeggiava con l’omologo francese, a beneficio di telecamere mondiali, in compagnia dei ribelli a Hama. Ma già nell’estate del 2012 la battaglia di Damasco mostrava come la popolazione della capitale non stesse con gli insorti, mettendo così in discussione i progetti statunitensi ed europei di “rivoluzione colorata” o “primavera araba” che dir si voglia. Il Consiglio di cooperazione del Golfo cercava di comprare Assad offrendo tre anni di bilancio dello stato siriano e la fine dell’insurrezione in cambio della rescissione dell’alleanza con l’Iran, ma di fronte al rifiuto del presidente siriano entrava in campo l’opzione jihadista[2]. Però la Siria, a differenza della Libia o dell’Iraq, non si è trovata in una situazione di “isolamento” internazionale potendo contare sull’alleanza con Russia e Iran e l’appoggio della Rpc.

Il 21 agosto 2013 vi è la strage di Ghuta di cui viene accusato Assad, quando in realtà i gas sono utilizzati dalle formazioni che cercano di abbattere il governo di Damasco, in particolare Jabhat al-Nusra (Fronte della vittoria del popolo del Levante), cioè al-Qaida[3]. Cia e Mi6 dopo aver svuotato gli arsenali libici hanno portato le armi ai ribelli siriani, jihadisti compresi, tramite la Turchia che puntava a trasformare la Siria in un suo protettorato; operazione guidata dall’allora direttore della Cia David Petraeus e condotta col finanziamento di Arabia Saudita, Qatar e Turchia. Visto che Assad stava vincendo la guerra, non rimaneva altro che inscenare un attacco chimico con al-Nusra per favorire l’intervento statunitense e franco-britannico che sarebbe dovuto scattare il 2 settembre[4]. Al corrente di tutte queste operazioni vi è il segretario di stato Hillary Rodham Clinton[5]. A questo punto il pretesto per un “intervento umanitario” di Usa, Regno Unito, Francia e Turchia, già pronti a bombardare Damasco, sembra fornito, ma, di fronte alla decisa reazione russa, cinese e iraniana, nonché su pressione dello stato maggiore statunitense[6], Barack Obama deve fare marcia indietro e optare per una soluzione alternativa per abbattere Assad, mentre i ribelli dell’Esl, finanziati dalla Cia e spacciati come “moderati” quando in realtà hanno compiuto numerose operazioni a fianco di al-Nusra e fra i tagliagole qaidisti e l’opposizione “moderata” ci sono stretti rapporti con passaggi di uomini da una formazione all’altra[7], senza l’intervento risolutivo delle potenze imperialistiche, iniziano a perdere terreno.

Dopo averlo foraggiato l’Isis va, almeno in apparenza, combattuto e gli Usa danno vita nell’agosto 2014 a una coalizione formata dai finanziatori e complici dell’Isis medesimo che hanno finto di fare la guerra ai jihadisti i quali, di fronte alla forza spiegata, avrebbero dovuto essere sgominati in breve tempo colpendo in campo aperto (il deserto siro-iracheno) le colonne di al-Baghdadi. Invece i bombardamenti sono andati a colpire non tanto l’Isis quanto infrastrutture, edifici pubblici e aree residenziali siriane. A contrastare l’avanzata dell’Isis non vi è certo l’imperialismo occidentale che lo sovvenziona, bensì oltre la Russia, altri islamici come l’esercito siriano, Hizballah, l’Iran. Il tutto con buona pace dello “scontro di civiltà”.

A sostegno di Assad all’inizio c’erano solo dal 2012 le truppe di Hizballah e i pasdaran iraniani. Dal settembre 2015 con l’aiuto di Mosca i rapporti di forza sono andati modificandosi.

Di fronte a questa situazione l’imperialismo occidentale ha cercato di presentare come opposizione “moderata” al-Nusra facendogli cambiare nome e facendolo confluire, con la benedizione di al-Zawahiri, nel Jabhat Fath al-Sham (Fronte per la conquista del Levante) dove ci sono le formazioni “moderate” anti-Assad; uno stratagemma per poter continuare a utilizzare i jihadisti contro Russia e Iran.

Alla fine del 2014 il parlamento di Kiev proponeva di sostenere gli islamisti in Cecenia e Daghestan in funzione antirussa. D’altronde è stato proprio in Cecenia che hanno combattuto molti futuri membri dell’Isis e jihadisti hanno combattuto nel Donbass a fianco dei nazisti ucraini. Si tratta di una serie di collegamenti da tempo sperimentati positivamente dagli Usa e dai loro alleati dato che già nel 1995 i Lupi grigi turchi (formazione di ispirazione fascista sostenitrice di un’opzione panturca, già membro della rete Nato anticomunista Stay behind) avevano organizzato tramite una società turco-statunitense (fra i finanziatori delle campagne elettorali di Hillary Clinton) il reclutamento di 10.000 jihadisti da inviare in Cecenia per destabilizzare la Russia[8].

Parallelamente all’intervento russo si realizzava un’intesa fra Mosca e Ankara che, una volta compreso i jihadisti erano destinati alla sconfitta, si barcamenava con un rischioso piede in due staffe (battitore libero all’interno della Nato e acquirente di armi russe oltre che potenziale hub petrolifero per Mosca).

 

Continuare la guerra con altri mezzi 1: come Usa e alleati impediscono la riunificazione e la liberazione del paese

A settembre 2018 Assad tornava a controllare, dopo sette anni di guerra e almeno mezzo milione di vittime, i due terzi del paese. Le truppe statunitensi con la guerra per finta condotta contro l’Isis hanno installato le loro basi in territorio siriano, in completa violazione del diritto internazionale, visto che, a differenza di russi e iraniani, non sono stati invitati dal legittimo governo a intervenire in Siria. La questione siriana, non essendo una guerra civile ma un conflitto di ben altra portata, si connette anche con le vicende ucraine. A gennaio 2023 William Roebuck, ex vice inviato speciale per la coalizione globale contro l'Isis, ribadiva la necessità che gli Usa mantenessero le loro posizioni in Siria sulla base anche del confronto con la Russia in Ucraina: «la nostra presenza blocca anche il consolidamento russo nella sua missione militare in Siria, minando una delle fonti chiave del prestigio sorprendentemente resiliente di Mosca nella regione e fornendo quindi sostegno ai nostri sforzi politici in Ucraina»[9].

La presenza in Siria permette agli Usa di impedire la riunificazione del paese per tramite dei curdi nella parte nordorientale della Siria affidata dagli Usa alle Forze democratiche siriane-Fds (Ypg curde e fuoriusciti dell’Esl)[10] e i qaidisti a nordest nel governatorato di Idlib.

Nel 2011 Turchia e Francia, approfittando delle relazioni intessute con parte della dirigenza curdo-siriana, iniziano a progettare uno stato curdo nel settentrione della Siria che andrà a inserirsi bene nel progetto statunitense e israeliano di creare un Kurdistan e un Sunnistan a cavallo fra Iraq e Siria capace di frapporsi all’espansione economica cinese. Il territorio occupato dai curdi, denominato Rojava (ovest in curdo, ma in realtà esteso su quasi tutto il nord della Siria e progressivamente allargatosi a est con l’appoggio degli Usa) dove i curdi che costituiscono il 9% della popolazione siriana sono arrivati a occupare quasi un terzo del paese, è fondamentale per i collegamenti della “mezzaluna sciita”, i pozzi di petrolio, le coltivazioni di grano e per i rifornimenti idrici; territorio strategico anche dal punto di vista dei corridoi energetici poiché situato sulla direttrice est-ovest che congiunge il Caucaso al Mediterraneo e lungo la direttrice nord-sud dalla Turchia all’Arabia Saudita. Attualmente gli Usa puntano a garantire l’occupazione dell’area settentrionale della Siria, una sorta di alternativa su scala ridotta del progetto di un Sunnistan e di un Kurdistan al servizio di Washington.

Quando i curdi iracheni del Pdk Partito democratico del Kurdistan (Pdk), filoturco e filoisraeliano ad agosto 2014 si erano ritirati abbandonando ai massacri dell’Isis gli yazidi sono state le formazioni curdo-siriane del Pyd e curdo-turche del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) a contrastare l’avanzata dell’Isis. Quindi il Pyd e il Pkk (organizzazione terroristica secondo Usa e Ue) sono gli unici che, oltre Hizballah (idem) e i pasdaran dell’Iran (“stato canaglia”), abbiano combattuto effettivamente, prima dell’intervento russo, contro Isis e al-Nusra finanziati dai principali terroristi mondiali. Gli aiuti inviati da Usa e alleati e i limitati bombardamenti a danno dei jihadisti erano destinati alla parte nord-occidentale dell’Iraq, dove doveva sorgere una repubblica curda filostatunitense a guida Pdk. Mentre la Turchia era (ed è) preoccupata che il Kurdistan turco potesse saldarsi con quello siriano e iracheno, cosa che comunque, prima delle giravolte di Erdogan, gli Usa non sembravano intenzionati a favorire, stato curdo sì, ma solo a danno di Iraq e Siria e non della Turchia membro della Nato.

Inizialmente nel nord della Siria, dove i curdi hanno realizzato dal 2012 un’esperienza di autogoverno, controllato delle Unità di difesa del popolo (Ypg), braccio armato del Partito dell’unione democratica (Pyd), sembravano poter convivere, sui territori abbandonati dal governo siriano, curdi, arabi, armeni[11]. Ma le cose sono andate diversamente. Resta il rischio nel mondo curdo, anche in quello venato di socialismo, che finisca per prevalere una concezione nazionalistica rispetto a quella classista; c’è il rischio insomma di fare la fine del sionismo socialista che dava assoluta priorità alla nazione[12]. Inoltre i curdi non vivono in territori etnicamente omogenei. Dove le Ypg hanno sconfitto l’Isis si sono verificati casi di distruzione di villaggi a opera delle milizie curde, giustificati dal presunto appoggio offerto dalle popolazioni arabe ivi residenti ai jihadisti, in questo modo si realizza l’annessione di nuovi territori che sconfinano dalle aree dove i curdi stessi risiedono e dove gli Usa ne approfittano per installare basi in territorio siriano[13]. Stessa operazione ai danni delle popolazioni autoctone (yazidi, assiri, turchi) è stata compiuta a Kirkuk da parte dei curdi iracheni.

La storia insegna come i curdi non possano fidarsi troppo delle lusinghe dei vari imperialismi: ricoperti di promesse da russi e inglesi all’alba della contesa imperialistica; utilizzati dagli inglesi nel corso della prima guerra mondiale per poi essere abbandonati al tavolo delle trattative di pace; prima usati per destabilizzare i governi progressisti iracheni negli anni ‘70 per poi essere scaricati dagli Usa che sostenevano Saddam Hussein nella guerra contro l’Iran e lasciavano che i curdi venissero gasati a migliaia; recuperati dagli Usa durante l’invasione dell’Iraq nel 2003, di nuovo mollati quando era più importante mantenere accordi con Ankara e di nuovo ripresi nel 2014 per poterli utilizzare nella partita che si gioca in Siria.

Mosca persegue il non facile compito di mantenere l’integrità dello stato siriano e al contempo buoni rapporti con Ankara, fecondi sul piano economico ed energetico ma inevitabilmente confliggenti con quanto rimane del progetto neottomano di creare una zona nella parte settentrionale della Siria sotto controllo turco, cercando di allontanare sempre più Erdogan da Washington approfittando del fatto che il progetto statunitense che prevedeva un’occupazione parziale della Siria attraverso le Ypg e i jihadisti superstiti ha suscitato la prevedibile ira turca, più per la presenza dei curdi che non per quella jihadista come la storia del conflitto siriano ci ha ampiamente insegnato. Con qualche forma di garanzia verso i turchi di non avere il confine siriano controllato dalle Ypg e spingendo Damasco a cercare una mediazione con i curdi, sembrava delinearsi un non facile compromesso data la divergenza degli interessi di Russia e Turchia in Siria e la predisposizione curda a farsi incantare dalle sirene statunitensi.

L’esito finale è che i curdi, che nella lotta all’Isis hanno versato un grande tributo di sangue e hanno svolto il ruolo di “truppe di terra” per gli Usa, verranno sacrificati nel momento in cui gli Usa riterranno più utile un accordo con Russia e/o Turchia. I curdi pagano il prezzo delle scelte compiute dai loro gruppi dirigenti volte a conquistare quanto più territorio possibile favorendo la disgregazione della Siria (e prima dell’Iraq) fidandosi delle promesse statunitensi e israeliane.

[TGL?] Un esito possibile delle vicende curde è che si mantenga un sistema, più o meno forte, di autonomie regionali con singoli partiti che dominano la scena politica al servizio dei diversi imperialismi più intenzionati a servirsi di una determinata fazione curda, anche in contrapposizione alle altre, per i propri interessi che a perseguire una fittizia unità ben difficile da realizzare. Resta comunque la realtà di un mondo curdo in cui le differenze di classe sono estremamente rigide, con una forte oligarchia che ha l’accesso ai capitali e la gran parte della popolazione che non ha ospedali e pensioni.

Dopo aver liberato il fronte meridionale, chiudendo così le porte all’appoggio di Israele e Giordania al jihadismo, le truppe siriane si stavano preparando alla liberazione del governatorato di Idlib, ben più delicata per la presenza di diverse formazioni, per un numero stimato di 80-100.000 miliziani, confluite per lo più sotto la sigla di Hayat Tahrir al-Sham (Organizzazione per la liberazione del Levante, Hts), uno dei numerosi cambi di nome di al-Qaida che punta a presentarsi in Siria come alternativa “moderata” all’Isis, nel tentativo di meglio spendersi per essere foraggiata dall’imperialismo occidentale[14]. Il processo di sdoganamento e ripulitura di al-Qaida a Idlib è proseguito a opera di Usa e alleati. Il capo di Hts, Abu Muhamad Julani, ha avviato una campagna di pubbliche relazioni da “ribelle moderato” dichiarando: «questa regione non rappresenta una minaccia per la sicurezza dell’Europa e dell’America. Hts è contraria a svolgere operazioni al di fuori della Siria»[15], cioè finché si ammazzano i siriani per l’Occidente va tutto bene, come in buona sostanza confermato da James Jeffrey, rappresentante speciale degli Usa in Siria, quando a marzo 2021 dichiarava che i qaidisti di Hts: «Sono l’opzione meno negativa tra le varie opzioni su Idlib, e Idlib è uno dei luoghi più importanti in Siria, che è uno dei luoghi più importanti in questo momento in Medioriente»[16]. Del resto i finanziamenti statunitensi a formazioni affiliate ad al-Qaida hanno una lunga storia e quando Trump ha provato a interrompere una spesa stimata per la sola Siria fino al 2017 in un miliardo di dollari è stato accusato di connivenza con Putin[17].

Che quasi tre milioni di persone subiscano da anni il regime di terrore qaidista non ha suscitato la minima preoccupazione da parte dell’Occidente più ansioso se mai di salvare la vita dei jihadisti. Nell’imminenza dell’attacco a Idlib Bolton minacciava un bombardamento nel caso dell’uso di armi chimiche al pari di Macron che ribadiva la necessità di rovesciare Assad, mentre la stampa statunitense iniziava una campagna mediatica a sostegno dei jihadisti riqualificati “combattenti dell’opposizione”.

Usa e alleati europei impongono poi che le forniture mediche ed alimentari predisposte dall’Onu siano consegnate alle ong (come i Caschi bianchi) operanti a Idlib in modo da poter in questo modo garantire i rifornimenti anche ai jihadisti al fine di impedire una riconquista del territorio da parte dell'esercito siriano.

A dicembre 2022 si svolgeva un incontro fra i ministri della difesa turco, siriano e russo a Mosca che lasciava intravedere la possibilità di un ritiro turco da Idlib e la rinuncia a continuare ad appoggiare i gruppi ribelli filoturchi a condizione che questi territori non vengano occupati dai curdi. Erdogan ha anche la necessità di alleggerire il peso dei 3 milioni di profughi siriani la cui partenza favorirebbe le sue possibilità alle imminenti elezioni presidenziali e parlamentari. Opzione che irrita ulteriormente Washington che punta invece a mantenere frantumato il più possibile il territorio siriano.

 

Continuare la guerra con altri mezzi 2: sanzioni e guerra economica

Che il più forte esercito al mondo abbia impiegato fino al 2019 per eliminare le poche e ormai isolate forze jihadiste nell’est della Siria la dice lunga sulle reali intenzioni statunitensi. A febbraio 2019 veniva annunciato che gli Usa sarebbero rimasti ancora per un indeterminato periodo di tempo stanziati in parte nella base di al-Tanf in Siria, in modo da impedire la condivisione della frontiera fra Siria e Iraq lungo uno dei due corridoi (Teheran-Baghdad-Damasco, l’altro è quello lungo la direttrice Mosul-Raqqa) che permetterebbero all’Iran di creare un continuum territoriale della Mezzaluna sciita. L’Isis, in Siria sconfitto, è una scusa per impedire al governo siriano di rientrare in possesso dei pozzi petroliferi e per impedire la realizzazione di oleodotti e gasdotti dall’Iran al Mediterraneo attraverso Iraq e Siria. Trump è stato di una chiarezza esemplare: «L’ho sempre detto: vogliamo tenerci il petrolio»[18]. A luglio 2020 Washington ha assegnato per 25 anni i diritti di trivellazione ed esportazione del greggio nell’area di Qamishli e di Deir el-Zor alla neonata Delta Crescent Energy, una società di comodo della Cia[19]. Non si parla di enormi quantità di petrolio, ma fondamentali per la ricostruzione di un paese devastato dato che il petrolio rubato corrisponde all’80% della produzione siriana.

Biden ha proseguito la stessa identica politica semplicemente giustificandola, a differenza di Trump che sanciva expressis verbis che stavano lì per rubare il petrolio siriano, rispolverando il pretesto della lotta al terrorismo e infatti l’Isis è ricomparso al momento opportuno. I siriani denunciano che gli Usa sostengano il jihadismo tramite la base di al-Tanf in una strategia coordinata con le Fds curde che rilasciano a comando i prigionieri dell’Isis dal campo di al-Hol sul confine iracheno favorendo così l’aumento degli attacchi jihadisti contro l’esercito di Damasco e le formazioni alleate[20].

Il battesimo del fuoco di Biden è avvenuto non a caso in Siria il 25 febbraio 2021 con il bombardamento e l’uccisione di una ventina di membri di formazioni sciite, facenti parte delle dall’al-Hashd al-Shaabi (Forze di mobilitazione popolare, Fmp) inquadrate negli organismi di difesa iracheni, accusate di aver attaccato una base statunitense nel Kurdistan iracheno. Inutile dire che ogni attacco alle milizie sciite, che sono state tra i principali oppositori all’avanzata dell’Isis, rafforza le posizioni del jihadismo, il che pone l’amministrazione Biden in continuità con quella di Obama nel favorire l’islamismo, anche nelle sue forme jihadiste, per rovesciare Assad.

Una volta sconfitto l’esercito di terra della Nato (si legga Isis) mantenere una situazione di frammentazione, sia per indebolire il governo siriano che per impedire il consolidamento dei successi russi e iraniani, resta un’alternativa valida al fallito processo di ridisegnare la mappa del Medioriente.

Il tentativo dell’imperialismo occidentale di ridurre la Siria a “stato fallito” non è andato molto lontano dal concretizzarsi. Secondo l’Onu i danni di guerra in Siria ammontano a più di 388 miliardi di dollari[21], ma le stime più pessimistiche arrivano fino a mille miliardi. Per impedire la ricostruzione Usa e Ue mantengono in vigore non solo tutte le sanzioni già in atto, particolarmente gravi nel settore energetico, ma ne hanno approvate di nuove ai danni sia della Siria che dei suoi alleati russi e iraniani e ne minacciano altre contro chiunque risulti coinvolto in un supporto finanziario, materiale o tecnologico, quindi anche contro i propri alleati come le petromonarchie che, una volta accettata la sconfitta, erano disposte a investire nella ricostruzione anche con la speranza di ridurre l’influenza iraniana. Approfittando della difficile situazione agricola (carenza di grano determinata dalla siccità e dagli incendi dolosi a opera dei jihadisti, ma c’è anche chi attribuisce queste operazioni direttamente agli statunitensi)[22] e dello scoppio della pandemia l’imperialismo occidentale ha varato nuove sanzioni che rendono anche più difficile l’approvvigionamento alimentare e quello di medicinali, solo l’intervento cinese ha impedito esiti ancor più devastanti in un paese in cui le strutture mediche hanno patito dieci anni di guerra. Il Caesar Syria Civilian Protection Act, approvato alla fine del 2019 ed entrato in vigore a giugno 2020, prevede nuove sanzioni ai danni di chiunque abbia rapporti economici con il governo siriano nella ricostruzione. L’obiettivo principale, visto che le sanzioni colpiranno la popolazione civile (la legge permette l’invio di aiuti umanitari previo però controllo sugli interventi di Onu e ong per impedire che possano avvantaggiare Assad, rendendo così di fatto subordinata agli Usa qualsiasi decisione in merito), è quello di portare all’esasperazione i siriani tramite la mancanza di cibo e medicinali. A gennaio 2023 Blinken ha ribadito la ferma opposizione degli Usa al processo di ricostruzione della Siria[23].

Per stringere ulteriormente il laccio intorno al collo della Siria il Congresso ha approvato il Captagon act (2022), una legge volta a colpire il traffico di quella droga divenuta nota perché utilizzata dai jihadisti quando compivano massacri in Siria e Iraq, e di cui adesso viene accusata, senza prove convincenti, la Siria della sua produzione. In realtà una scusa per colpire ulteriormente Damasco, in particolare le sue industrie farmaceutiche e sanitarie con ulteriore danno per il popolo siriano.

Subita una sconfitta col terrorismo jihadista l’Occidente ricorre al terrorismo economico con lo scopo di impedire la ricostruzione del paese e alimentare il caos. Le sanzioni e l’embargo sul petrolio non sono altro che la continuazione del terrorismo occidentale con mezzi diversi una volta sconfitti gli ascari jihadisti. In questa situazione, dato che anche gli alleati più stretti come la Russia e l’Iran non possono accollarsi le spese della ricostruzione potrebbero aprirsi le porte a un intervento cinese e al suo progetto economico che vede nella Siria lo snodo di un possibile corridoio dal porto di Latakia sul Mediterraneo fino al Pakistan attraverso Iraq e Iran. Rimangono sempre in gioco le petromonarchie, ma anche qui si dovrà vedere quali margini di autonomia possano avere per non scontentare Washington.

Garantire il mantenimento del caos, se non direttamente con la guerra con gli strumenti economici, resta l’alternativa principale per impedire la realizzazione di una pax russa.

Dalla relazione di Alena Douhan, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle misure coercitive unilaterali e i diritti umani, dopo la sua ispezione in Siria (30 ottobre - 10 novembre 2022) emerge quanto segue: «il 90% della popolazione siriana vive al di sotto della soglia di povertà, con accesso limitato a cibo, acqua, elettricità, riparo, combustibile per cucinare e riscaldare, trasporti e assistenza sanitaria, e ha avvertito che il paese si trova di fronte a un enorme fuga di cervelli dovuto alle crescenti difficoltà economiche. Con più della metà delle infrastrutture vitali completamente distrutte o gravemente danneggiate, l'imposizione di sanzioni unilaterali su settori economici chiave, tra cui petrolio, gas, elettricità, commercio, costruzioni e ingegneria, ha annullato il reddito nazionale e minato gli sforzi per la ripresa economica e ricostruzione ... il blocco dei pagamenti e il rifiuto delle consegne da parte di produttori e banche stranieri, insieme alle limitate riserve di valuta estera indotte dalle sanzioni, hanno causato gravi carenze di medicinali e attrezzature mediche specializzate, in particolare per le malattie croniche e rare. Esorto la comunità internazionale e gli Stati sanzionatori in particolare, a prestare attenzione agli effetti devastanti delle sanzioni»[24], peccato che l’obiettivo delle sanzioni sia esattamente quello di ottenere quanto elencato nella relazione dell’inviato Onu.

 

Continuare la guerra con altri mezzi 3: sfruttare il terremoto

Il devastante terremoto che ha colpito Turchia e Siria il 6 febbraio (41.000 morti alla data del 13 febbraio) ha offerto altre possibilità di colpire la Siria.

Le dichiarazioni del segretario di stato Blinken e quelle di Ned Price, portavoce del dipartimento di stato Usa, non devono lasciare stupiti perché si collocano in perfetta continuità con la storia degli Usa[25]. Sostanzialmente si afferma che gli aiuti inviati dagli Usa non devono passare attraverso il governo siriano bensì tramite le organizzazioni alle quali ha fatto finora riferimento Washington. Organizzazioni come i Caschi bianchi, che in seguito alle sconfitte maturate dal jihadismo può operare attualmente solo nel governatorato di Idlib (fra i più colpiti dal sisma). L’“organizzazione umanitaria” ad-Difa al-Madani as-Suri (Difesa civile siriana) nota come Caschi bianchi è altresì definita “protezione civile di al-Qaida” e “ufficio propaganda del jihadismo” data la sua abilità nel confezionare finti attacchi chimici (o reali ma “sotto falsa bandiera” in modo da attribuirli ad Assad) e relativi video per offrire un pretesto all’intervento militare occidentale. I Caschi bianchi vengono fondati in Turchia nel 2013 da James Le Mesurier, già capo dello spionaggio inglese in Kosovo e successivamente esponente di rilievo della compagnia di mercenari britannica Olive Group confluita poi nella Blackwater/Academy. I Caschi bianchi operano nelle zone controllate dai jihadisti e sono noti per la loro diretta partecipazione alle esecuzioni di prigionieri siriani o per essere riusciti a privare dell’acqua per 42 giorni gli abitanti di Damasco[26]. L’appoggio mediatico di cui hanno goduto rientra nella normale propaganda di guerra, sebbene in questo caso si siano raggiunte punte di eccellenza dato che sono stati candidati al premio Nobel per la pace nel 2016 e siano protagonisti di due documentari: The White Helmets prodotto da Netflix (Oscar nel 2017 per il miglior cortometraggio documentario) e Last Men in Aleppo (premiato al prestigioso Sundance Film Festival nel 2017). Oltre all’appoggio sul campo da parte israeliana, i finanziamenti di cui gode arrivano dai governi europei (Regno Unito in testa)[27] e dal dipartimento di stato statunitense: «Riconosciamo, apprezziamo e siamo molto grati per tutto il lavoro che i Caschi bianchi continuano a fare a nome della gente del loro paese e per conto del governo degli Stati Uniti e di tutte le forze della coalizione. Sono un incredibile gruppo di persone»[28].

Formalmente le sanzioni non colpiscono direttamente gli aiuti umanitari, ma sono fatte in modo da intimidire chiunque si trovi a trattare col governo siriano e pertanto ci si astiene anche dal fornire aiuti perché è perfettamente chiaro il rischio che si corre di sanzioni secondarie da parte di Washington. Dopo che da molteplici parti si sono levate critiche e inviti a sospendere le sanzioni antisiriane e dopo che dal giorno del sisma è stato ostacolato l’arrivo di aiuti, l’ambasciatore siriano all’Onu ha dichiarato che molti aerei e cargo si rifiutano di atterrare negli aeroporti siriani a causa delle sanzioni[29], il 10 febbraio il dipartimento del tesoro statunitense ha approvato una deroga temporanea al Caesar Act[30]. Il fatto che sia stata concessa una deroga smentisce le affermazioni statunitensi sul fatto che le sanzioni non andassero a colpire gli aiuti umanitari. È stato comunque ribadito che verrà rifiutata qualsiasi forma di coordinamento col governo siriano. Del resto l’obiettivo occidentale è di approfittare della situazione per cercare di dare un colpo definitivo al governo nemico che non si è riuscito a sconfiggere per ora né con il jihadismo, né saccheggiando il paese, rendendo sempre più intollerabili le condizioni di vita della popolazione in moda da indurla alla rivolta.

Gli aiuti alla Siria sono venuti solo da Arabia Saudita, Armenia, Algeria, Cina, Egitto, Eau, Giordania, India, Iran, Iraq, Kuwait, Libano, Libia, Oman, Pakistan, Qatar, Russia, Serbia, Tunisia, Venezuela[31]. Usa, Nato e Regno Unito hanno inviato aiuti solo alla Turchia.

L’Ue ha seguito il filo conduttore dettato dagli Usa dicendo che le sanzioni non impediscono l’arrivo in Siria di aiuti e, dopo aver inizialmente offerto un'assistenza minima proprio a causa delle sanzioni, di fronte a una richiesta ufficiale di aiuto da parte siriana, ha aggiustato il tiro dichiarando, per bocca di von Der Leyen, che saranno presto offerti aiuti umanitari a Turchia e Siria. Come al solito bisognerà verificare il valore delle promesse europee. Lo spregevole comportamento europeo si è completato accusando il governo siriano di impedire l’arrivo degli aiuti occidentali[32]. Alla fine l’Ue starebbe pianificando un pacchetto di aiuto pari a tre milioni di euro. Per avere un’idea di quali siano le priorità occidentali basti ricordare che il Regno Unito ha stanziato fino ad ora 2,3 miliardi di sterline per aiuti militari all’Ucraina e 5 milioni per il sisma che ha colpito Turchia e Siria[33].

Ancora meglio ha fatto Israele che attraverso le parole di un suo funzionario anonimo ha dichiarato che non esiterà a bombardare le consegne di aiuti iraniani per la Siria accusando l’Iran, che è uno dei paesi che sta inviando più aiuti in Siria, di approfittare della tragica situazione per inviare armi e attrezzature a Hezbollah[34].

Diversa la situazione per quanto riguarda la Turchia che rimane sempre membro della Nato e che è comunque opportuno cercare di corteggiare onde evitare un definitivo slittamento verso l’asse russo-cinese, in Turchia pertanto gli aiuti affluiranno regolarmente. Diversa, ma non troppo. Non è detto che il terremoto non posso essere sfruttato anche qui per cercare di indebolire il potere di Erdogan, soprattutto in vista delle imminenti elezioni, le cui acrobazie politiche con rapporti troppo stretti con Mosca hanno solamente aumentato l’irritazione occidentale e impedire la realizzazione di quell’accordo della fine del 2022 fra Siria, Turchia e Russia volto a sgomberare la presenza turca dalla Siria in cambio di un controllo di Damasco sui curdi e il rientro in patria di milioni di rifugiati dalla Turchia.

 

 

Maurizio Brìgnoli (Milano, 1966), si è occupato sulla rivista la Contraddizione delle trasformazioni dell’imperialismo e del ruolo storico delle principali religioni. Ha pubblicato Breve storia dell’imperialismo, La Città del Sole, Napoli 2010. Il presente testo trae spunto da un volume ancora inedito intitolato Jihad e imperialismo.

[1] Francesco Grignetti, intervista con Fabio Mini, “Entrare in guerra è facile ma si rischia il pantano”, La Stampa, 17 febbraio 2015.

[2] Cfr. Alberto Negri, Il musulmano errante, Rosenberg & Sellier, Torino 2017, p. 43.

[3] Cfr. Seymour M. Hersh, “Whose Sarin?”, London Review of Books, vol. 35 n. 24, 19 dicembre 2013. Il Massachusetts Institute of Technologies ha dimostrato l’impossibilità che i razzi col sarin fossero lanciati dall’esercito siriano (cfr. Richard Lloyd – Theodore A. Postol, Possible Implications of Faulty US Technical Intelligence in the Damascus Nerve Agent Attack of August 21, 2013, MIT Science, Technology, and Global Security Working Group, Washington, 14 gennaio 2014 e Christopher J. Chivers, “New Study Refines View of Sarin Attack in Syria”, The New York Times, 28 dicembre 2013).

[4] Cfr. Seymour M. Hersh, “The Red Line and the Rat Line”, London Review of Books, vol. 36 n. 8, 17 aprile 2014.

[5] Cfr. Matt Agorist, “S. Hersh, giornalista premio Pulitzer: Hillary Clinton approvò l’invio di gas sarin ai ribelli siriani per incastrare Assad”, Voci dall’estero, 2 maggio 2016 (l’autore è un ex agente della Nsa) e Christof Lehmann, “Top US and Saudi Officials Responsible for Chemical Weapons in Syria”, Nsnbc International, 7 ottobre 2013.

[6] Sulla presenza di una fronda militare alle strategie di Obama-Clinton volte a lasciare strada libera ai jihadisti cfr. Seymour M. Hersh, “Military to Military”, London Review of Books, vol. 38 n. 1, 7 gennaio 2016.

[7] Cfr. Jack Murphy, “US Special Forces Sabotage White House Policy Gone Disastrously Wrong with Covert Ops in Syria”, Sofrep: Special Forces News, 14 settembre 2016. Cfr. anche Isabel Hunter, “‘I Am not Fighting Against al-Qa’ida… It’s not Our Problem’, Says West’s Last Hope in Syria”, The Independent, 2 aprile 2014; Christopher J. Chivers – Eric Schmitt, “Arms Airlift to Syria Rebels Expands, with Aid from C.I.A.”, The New York Times, 24 marzo 2013.

[8] Cfr. Fabrizio Poggi, “Terrorismo ucraino: in Donbass come in Siria”, Contropiano, 12 giugno 2019; Roberto Bongiorni, “Quel cordone ombelicale che unisce Cecenia e Isis”, Il Sole 24 Ore, 4 aprile 2017; Fabrizio Poggi, “Il terrorismo islamista tra Georgia, Turchia e Ucraina”, Contropiano 12 luglio 2016; Thierry Meyssan, “Ecco come la Turchia sostiene i jihadisti”, Rete Voltaire, 22 febbraio 2016.

[9] William Roebuck, “Keep US Troops in Syria”, Defense One, 10 gennaio 2023.

[10] Cfr. Mauro Indelicato, “Cosa sono le Forze democratiche siriane”, Inside Over, 17 ottobre 2019.

[11] Cfr. Francesco Desoli, “I curdi di Siria fabbricano l’indipendenza”, Limes, n. 9/2014; Giovanni Di Fronzo, “Kobane: resistere per esistere. La resistenza curda e lo scontro imperialistico tra potenze”, Contropiano, 18 dicembre 2014.

[12] Cfr. Samir Amin, “La questione curda, ieri e oggi”, Marx XXI, 29 settembre 2016. Sull’evoluzione del Pkk da partito di ispirazione marxista a movimento nazionalista disposto a una collaborazione con l’intervento imperialista visto come occasione per liberare le “forze democratiche” dalle pastoie del nazionalismo arabo cfr. Collettivo Tazebao, “Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan e il confederalismo democratico”, Antitesi, n. 2, luglio 2016; Paolo Spena – Raffaele Timperi – Lorenzo Lang, “Sulla situazione attuale in Siria”, Resistenze.org, n. 727, 3 novembre 2019.

[13] Sull’allontanamento forzato di famiglie arabe al fine di ottenere entità etnicamente omogenee a favore dei curdi col benestare degli Usa cfr. Amnesty International, “Syria: US Ally’s Razing of Villages Amounts to War Crimes”, 13 ottobre 2015.

[14] Cfr. Colin P. Clarke, “The Moderate Face of Al Qaeda”, Foreign Affairs, 24 ottobre 2017.

[15] Priyanka Boghani, “Syrian Militant and Former Al Qaeda Leader Seeks Wider Acceptance in First Interview with U.S. Journalist”, Frontline, 2 aprile 2021.

[16] Ibidem.

[17] Cfr. Mark Mazzetti – Adam Goldman – Michael S. Schmidt, “Behind the Sudden Death of a $1 Billion Secret C.I.A. War in Syria”, The New York Times, 2 agosto 2017.

[18] Conor Finnegan, “‘We’re Keeping the Oil’ in Syria, Trump Says, but It’s Considered a War Crime”, Abc News, 29 ottobre 2019.

[19] Cfr. Thierry Meyssan, “La CIA sfrutta illegalmente il petrolio nel Nordest della Siria”, Rete Voltaire, 4 agosto 2020.

[20] Cfr. “The terrorism pretext: US-ISIS-Kurdish nexus preserves occupation of Syria”, The Cradle, 3 febbraio 2023.

[21] Cfr. Escwa, “Experts Discuss Post-Conflict Reconstruction Policies After Political Agreement in Syria”, 7 agosto 2018.

[22] Cfr. “Gli Stati Uniti e l’Unione Europea tentano di affamare i siriani”, Rete Voltaire, 2 giugno 2020.

[23] “US Says It Opposes Countries Normalizing With Assad After Syria-Turkey Talk”, Antiwar.com, 3 gennaio 2023.

[24] “UN expert calls for lifting of long-lasting unilateral sanctions ‘suffocating’ Syrian people”, United Nations Human Rights, 10 novembre 2022.

[25] Cfr. Francesco Guadagni, “Aiuti umanitari alla Siria? La risposta shock del Dipartimento di Stato Usa”, l’AntiDiplomatico, 7 febbraio 2023.

[26] Cfr. “Una ‘Ong umanitaria’ priva dell’acqua 5,6 milioni di civili”, Rete Voltaire, 7 gennaio 2017.

[27] Cfr. Richard Spencer, “As the West Drops Demand for Assad to Go, Meet the Group the UK Funds to Support His Victims”, The Telegraph, 27 settembre 2015.

[28] Heater Nauert, Department Press Briefing, 19 aprile 2018. Cfr. anche “White Helmets Rescue Group Have US Funding Frozen”, The Telegraph, 4 maggio 2018; Giampaolo Rossi, “Dipartimento di Stato Usa ammette: ‘Gli elmetti bianchi lavorano per noi’”, Gli occhi della guerra, 23 aprile 2018; Roberto Vivaldelli, “Chi sono i Caschi bianchi e cosa fanno in Siria”, Gli occhi della guerra, 20 luglio 2018; Matteo Carnieletto, “Chi sono (davvero) gli elmetti bianchi”, Gli occhi della guerra, 7 ottobre 2016; Fulvio Scaglione, “I Caschi Bianchi siriani al capolinea”, Terrasanta.net, 19 ottobre 2018. Per un’analisi critica si vedano anche i reportage della giornalista indipendente britannica Vanessa Beeley: “Vanessa Beeley Exposes the White Helmets”, YouTube, 7 febbraio 2018.

[29] Cfr. “Syrian ambassador to UN: “Western sanctions block relief”, World Today News, 8 febbraio 2023.

[30] Cfr. “Treasury Issues Syria General License 23 To Aid In Earthquake Disaster Relief Efforts”, U.S. Department of the Treasury, 9 febbraio 2023.

[31] “Turkey-Syria earthquake: The countries that have offered help”, Middle East Eye, 8 febbraio 2023; Sana, 8-9 febbraio 23, https://www.sana.sy/en/

[32] Cfr. “Damasco precisa: Accettiamo aiuto dagli Stati Uniti e dall'UE, ma finora non ne hanno offerti”, l’AntiDiplomatico, 9 febbraio 2023.

[33] Cfr. David Hearst, “Turkey-Syria earthquake: Europe, with billions for war, shows its true heartless face”, Middle East Eye, 10 febbraio 2023.

[34] “Israel ready to bomb Iranian aid deliveries to Syria: Report”, The Cradle, 10 febbraio 2023.

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