Cosa c'è dietro il suprematismo europeo di Vecchioni e Benigni
di Clara Statello per l'AntiDiplomatico
Il suprematismo europeista ha rotto! Scusate la brutalità, ma qualcuno doveva pur dirlo. Non se ne può più dello spettacolo patetico che sta dando l’intellighenzia del ceto medio semikolto. Serrano i ranghi i vecchi guru della sinistra imperiale per fabbricare un sogno che non c’è, non c’è mai stato e che non sarà: l’Europa dei popoli.
Con i fiori di una nuova ideologia calata dall’alto adornano le gelide sbarre della gabbia europea fabbricata a colpi di austerità, le catene del vincolo di bilancio e dei parametri di Maastricht. Per mobilitare gli spiriti, per accettare sacrifici, la guerra o il cappio del debito per le prossime generazioni, è necessario farci sentire un soggetto della storia a cui è assegnato un grande fine. Sulla nuova identità militarista dell’Europa è necessario costruire una nuova identità europea: suprematista.
Il nuovo suprematismo è maschio, bianco, eterosessuale e anziano. Ha il volto rassicurante di Roberto Benigni, Roberto Vecchioni, Corrado Augias o Jovanotti. Dietro l’apparato ideologico composto dai pifferai magici della civiltà europea, ci sta il partito trasversale della guerra. E sono sempre loro, quelli che nel ‘900 hanno portato l’Italia alla distruzione, ma come gatti son riusciti sempre a cadere in piedi. Indenni e al loro posto.
Nel 1980 posero fine a decenni di lotte operaie e al progresso sociale con la marcia dei 40.000. Adesso con 30.000 persone in piazza del Popolo vogliono porre fine alla nostra democrazia costituzionale e trascinarci in un’economia di guerra. Parola d’ordine: riconversione industriale.
I cantori della nuova Europa dovranno convincerci a vivere nella miseria, rinunciare alla pace e ai nostri valori costituzionali per difendere i “valori europei”, dietro cui si celano gli interessi dei soliti gruppi industriali e finanziari. Avremo meno automobili, meno autobus e treni, ma più carri armati Ariete e VCC Dardo, che rispettivamente montano motori Fiat e Iveco. E forse non è un caso che nella convocazione della piazza di sabato scorso sia coinvolto il gruppo GEDI, controllato da Exor, esattamente come Stellantis. La riconversione sarà un grande affare per le solite famiglie di industriali, un grande affare sulle nostre spalle e sulle spalle delle prossime generazioni di italiani.
Ma ciò che più atterrisce non è tanto la normalizzazione del militarismo e della guerra, quanto il suprematismo di Vecchioni che sale sul palco di Piazza del Popolo affermando candidamente che siamo tutti indoeuropei. La vergognosa macchia che ha portato al peggiore genocidio della storia dell’umanità non è stata dunque estirpata. Gli Arya siedono ancora sul nido degli avvoltoi. E dobbiamo avere paura del loro ritorno.
L’orgoglio bianco indoeuropeo di Vecchioni si disperde in una sequela di provincialismo e ignoranza, quando parla della nostra cultura che secondo lui sarebbe la Cultura. Il giardino europeo ha Shakespear, ha Marx (che però non era indoeuropeo), ha Leopardi e Pirandello. La jungla ha solo i selvaggi che menano le mani sui tamburi ululando attorno ad un fuoco, secondo gli europeisti?
La dimensione eurocentrica è asfissiante e cieca, incompatibile con la molteplicità di popoli e culture e quindi con qualsiasi forma di umanesimo. È superata dalla storia. Non siamo più il centro del mondo e forse non lo siamo mai stati. L’idea che la cultura sia solo nostra viola semplicemente le leggi della fisica. Gli eurocentrici devono farsene una ragione: siamo una menomissima parte dell’umanità e l’umanità se ne fotte di noi. Anzi, forse ci odia. E ha più di un motivo.
È vero che abbiamo inventato la democrazia, ma l’abbiamo utilizzata per colonizzare gli altri continenti, sottomettere o sterminare gli altri popoli in nome della libertà, dell’uguaglianza e della fratellanza. Il colonialismo lo abbiamo inventato noi europei, l’imperialismo lo abbiamo inventato noi, la schiavitù, l’oppressione dell’uomo sull’uomo all’interno delle fabbriche, alla catena di montaggio. I genocidi li abbiamo inventati noi. E li abbiamo perpetrati in nome di Grandi Ideali e Grandi Principi che appartenevano solo a noi, per civilizzare il resto dell’umanità. Il fardello dell’uomo bianco. Lo facciamo tutt’ora, utilizzando le Ong per destabilizzare governi ostili all’Occidente, in nome di diritti civili e libertà colorate. Lo abbiamo fatto anche in Ucraina.
E ancora una volta cadiamo nello stesso errore. In un format dal titolo “Sogno” Roberto Benigni diventa il cantore dell’Unione Europea. Gli antichi greci avevano Omero, i romani Virgilio, l’Italia delle signorie aveva Dante, l’Inghilterra aveva Shakespeare, l’Unione Sovietica aveva Eistenstein. L’europeismo italiano ha Benigni.
“L’Unione Europea è la più grande costruzione istituzionale, politica, sociale, economica, degli ultimi 5000 anni realizzata dall’essere umano sul pianeta terra”, proclama nel suo one man show.
Questa frase è una sonora stupidaggine, ma non serve confutarla aggettivo per aggettivo. Il punto è che ci viene proposta un’ideologia preconfezionata in prima serata, sul principale canale RAI. Benigni stesso si proclama un europeista estremista, presentando l’Europa come un’”utopia ragionevole”.
Secondo Benigni, l’Unione Europea è il momento supremo dell’evoluzione della civiltà umana. Affermando se stessa come soggetto storico-politico conformerà a sé il resto dell’umanità. Conformandosi all’UE il resto dell’umanità diventerà una comunità pienamente democratica e raggiungerà il suo obiettivo ultimo: la pace. Siamo l’avanguardia dell’umanità, i “pionieri del futuro”, la “silicon Valley della politica”. Torna di nuovo il topos suprematista del “fardello dell’uomo bianco”: abbiamo una responsabilità, ci ammonisce Benigni. Se falliremo nell’intento di costruire la casa comune europea, toglieremo una speranza all’umanità. Guai a cadere al richiamo delle sirene degli euroscettici, che distruggendo il sogno europeo distruggeranno l’ultima speranza di pace. Unione Europea o barbarie.
Dopo trent’anni e più di postmodernismo, Benigni ci propina un’ideologia europeista fondata su una teoria della storia dal sapore hegeliano, escatologica e teleologica: l’UE diventa il destino dell’umanità e quindi la fine (ed il fine) della storia. Visto che il resto dell’umanità ha trovato tranquillamente la sua strada senza bisogno di noi, il soliloquio dell’attore fiorentino risulta involontariamente comico.
Basta contestualizzare per avvertire anche una stridente e inquietante ironia: la TV di stato ci propone questa narrazione proprio mentre l’Unione Europea (quella vera, non quella che esiste nell’immaginazione di Benigni e del ceto medio semikolto europeista) ha deciso di costruire la propria identità sulla difesa e sugli investimenti nel comparto bellico industriale. Ottocento miliardi per diventare un porcospino militare, altro che regno della pace e della libertà!
Dopo la morte delle ideologie e delle grandi narrazioni, Benigni ci offre un sogno suprematista per mobilitarci, per convincerci a fare sacrifici e persino morire o mandare a morire i nostri figli per l’idea di Europa. L’utopia ragionevole europeista si chiama guerra.
L’ideologia europeista si rivela l’ennesima polpetta avvelenata: ci parla di pace per fare la guerra, ci parla di fratellanza quando presuppone un suprematismo, ci parla di democrazia ma la democrazia e la libertà vengono schiacciate dai meccanismi europei. Ci parla valori e libertà quando le uniche libertà che l’UE riconosce sono le libertà delle merci, di mercato e dei capitali. L’Europa non si è unita per i popoli o per la pace. L’Europa si è unita per costituire un mercato unico e adesso vuole fare il salto di qualità: unificare i mercati finanziari per raccogliere i nostri risparmi e consegnarli all’industria delle armi e alle società di gestione dei fondi.
L’Europa riparta dai diritti sociali e dalle libertà degli uomini e delle donne, dai beni comuni, dalla sanità e dalla scuola, non dalla difesa e dalla guerra.
L’Europa riparta dagli altri popoli, riparta dal mediterraneo, dalla solidarietà, dalla diplomazia, riparta dai BRICS. Che vengano costruiti ponti, non scudi antimissile. I nemici dell’Europa non sono né i russi, né gli euroscettici ma questa classe dirigente che dopo averci fatto perdere la guerra con la Russia adesso vuole trascinarci nella bolla dell’industria militare, i suoi vati e i cantori di un ideale suprematista che non ha più alcun posto nella storia. Mandiamoli tutti a casa!