Cosa resta della “democrazia” europeista dei cantori della guerra?

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Cosa resta della “democrazia” europeista dei cantori della guerra?


di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Democrazia e dittatura; liberali e autocrati; despoti e fautori di pace.... Ascoltare in questi giorni le giaculatorie di esponenti dei governi più che mai oggi apertamente votati al ruolo di «comitati d'affari della borghesia» (e, sulla scena attuale, espressione diretta del capitale militare-industriale), oppure leggere i salmi composti da tutti quei mercenari della carta stampata megafono degli esponenti di cui sopra, costituisce un vero e proprio esercizio di resistenza fisica e mentale.

Non scomodiamo qui il genio di Vladimir Lenin sulla questione della democrazia e della dittatura e del suo contenuto storico e di classe: vorrebbe dire riservare un onore immeritato a quei cialtroni che quotidianamente si riempiono la bocca invocando “valori liberali” e “democrazia pura”. Quando si fanno e si propagandano gli interessi della classe borghese e si giura su immutabilità e eternità del regime capitalista, genuflettendosi di fronte alla sacralità del profitto (da cui discendono, tra le altre cose, anche quelle sue porzioni che vanno a riempire i portafogli di politici e loro cantori) si dimostra con ciò stesso proprio il contrario di quanto si proclama: si palesa il carattere di classe di ogni omelia sulla lotta tra il «dispotismo più aggressivo e crudele» e i «valori dell'Europa».

Nella società divisa in classi, democrazia e dittatura hanno sempre una sostanza di classe e ogni discorso su “liberalità”, “autocrazia”, “dittatura”, senza che si specifichi “democrazia per quale classe” o “dittatura su quale classe”, costituisce soltanto un esercizio di retorica, applicato alla volontà non dichiarata di fuorviare l'ascoltatore o il lettore dal contenuto concreto delle questioni.

Quando quei gaglioffi si vedono costretti, loro malgrado, a esporre i contenuti concreti dei loro obiettivi, ecco che gettano la maschera e, come accaduto lo scorso fine settimana a Monaco, uno asserisce - il ministro tedesco della guerra Boris Pistorius – che «la democrazia non significa che una minoranza urlante abbia automaticamente ragione. Non può decidere quale sia la verità. Non significa che chiunque possa dire qualsiasi cosa. La democrazia deve essere in grado di difendersi dagli estremisti che cercano di distruggerla». La democrazia è qui appannaggio di chi detiene il potere nel dato momento e lo usa al servizio della classe che esercita la propria dittatura: certo, con “forme” che i liberali santificano come espressione della “volontà popolare”. Un'altra espressione di “democrazia” è quella raccontata dal nazigolpista-capo Vladimir Zelenskij, che giudica l'Europa, di per se stessa, «il mondo più tollerante del mondo» e «la società più democratica» e, applicando quella “tolleranza” alla “democrazia in lotta contro una dittatura”, cioè all'Ucraina majdanista, non si fa scrupoli a dire ai suoi concittadini che, se proprio vogliono elezioni democratiche, che rinuncino pure alla cittadinanza ucraina. Per arrivare al ministro degli esteri belga Maxime Prévost, citato da De Standaard: «Penso che in Europa ci siano problemi più seri della libertà di parola».

La democrazia è una categoria che i pennivendoli europeisti invocano ogni volta che vedano messe sotto accusa le proprie menzogne. Ad esempio, la signora Nathalie Tocci, su La Stampa del 17 febbraio, a proposito di alcune parole del vice presidente USA Vance, scrive che «di tutti i problemi che abbiamo in Europa, la presunta limitazione della libertà di espressione non è certo in cima alla lista» e, casomai, quelle parole sono piuttosto da interpretarsi «come un'ingerenza esplicita nelle elezioni tedesche, così come in quelle prossime in Romania». Già, proprio la Romania: se il discorso del reazionario Vance è un'ingerenza nella politica tedesca, come definirebbe, la signora Tocci, il passo “europeista” con cui lo scorso dicembre era stato annullato il voto rumeno, dopo che le preferenze erano andate al candidato, anch'egli reazionario, alla pari di Vance e dei signori della commissione europea, colpevole però di non nascondere il proprio reazionarismo, come invece si usa fare nelle melliflue stanze di Bruxelles?

Sotto quale categoria di “democrazia geopolitca” possiamo classificare il summit “europeista” che lunedì scorso, a Parigi, a scorno della volontà dei popoli europei e nell'intento di ribadire il sostegno economico-militare alla junta nazigolpista, ha riunito Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna, Olanda e Danimarca, oltre alla Gran Bretagna, al segretario della NATO e ai vertici europei, lasciando a casa i rappresentanti degli altri paesi UE? Forse: “democrazia per pochi eletti”?

Una democrazia, come sentenziava il 16 febbraio sul Corriere della Sera il signor Ernesto Galli della Loggia, rinata dopo il 1945 solo grazie agli «Stati Uniti — il Paese vincitore del Terzo Reich, liberatore dell’Europa dal dominio hitleriano» (che ingenui che siamo, ancora convinti che il 75% delle armate naziste fossero state distrutte dall'Esercito Rosso sovietico e che gli anglo-americani fossero entrati in Europa solo quando si concretizzava il “rischio” che l'Unione Sovietica, da sola, liquidasse completamente il nazismo) e che poi «per decenni sostenne lo scontro per fortuna incruento e per fortuna vittorioso con la Russia comunista e che invece oggi, col suo vice presidente, viene «a legittimare Vladimir Putin, l’erede politico di quella Russia da tempo riconsegnata al suo triste destino di Paese campione dappertutto del dispotismo più aggressivo e crudele». Perché, si sa, è “destino” della Russia essere “dispotica”, indipendentemente dai regimi politici e dagli ordinamenti sociali che vi abbiano dominato. Mentre è “destino” dell'America quello di vantare «un passato che molti tra noi Europei, però, ci ostiniamo, nonostante tutto, a considerare glorioso». Addirittura «Un faro di libertà nel mondo» e «un modello per la nostra prosperità», come scriveva il 16 febbraio, sempre sul Corriere, il signor Antonio Polito. E anche da prendere a esempio, vorremmo suggerire al signor Galli della Loggia. Perché, cos'altro significano, ad esempio, le parole, di nuovo, della signora Tocci, a proposito di un'Europa «attaccata su due fronti, in questo caso Russia e Usa», che hanno l'obiettivo di rintuzzare «il progetto di integrazione europea» e la sua aspirazione ad avere «maggior peso... sullo scacchiere globale», se non l'ambizione dei capitali europei a partecipare alla spartizione di finanze e ricchezze nelle più diverse aree del globo, puntando per questo a dotarsi di una forza militare che serva all'occorrenza a garantire quelle spartizioni? Un’Europa «forte, unita e belligerante capace di fermare e respingere il neo imperialismo russo» (Polito). Orsù dunque: è l'ora delle decisioni imperative! Armiamoci apriamo nuovi fronti di “missioni umanitarie”: naturalmente, a uso dei capitali europei.

E non vengano a fingere lacrimevole disperazione perché un aperto reazionario yankee arriva a Monaco a «sostenere l'ascesa delle destre estreme in Europa»: i fascisti di casa nostra, non sono forse già “ascesi” al governo, e da tempo? Oppure, si vuol dare a intendere che i fascisti d'Italia siano pura espressione dei “valori” di quella nazione, gli Stati Uniti, «che per decenni ha regalato e insegnato democrazia», esportandola a suon di bombe, colpi di stato, assassini e invasioni? I fascisti italiani sono forse più degni delle lodi dei giornalacci di regime, perché più di altri devoti a quella politica della continuazione della “guerra fino all'ultimo ucraino”, come ha dichiarato il generale Keith Kellogg, e non si associano a quella che viene definita “destra estrema” europea, bensì, saldi sui “valori europeisti”, vogliono aumentare le spese di guerra?

Eh già, perché, a ben guardare, come ci insegna, ancora sul Corriere, il signor Angelo Panebianco, «il pericolo più grave che corriamo è che le opinioni pubbliche di diversi importanti Paesi europei... cerchino di nascondere la testa sotto la sabbia, si rifiutino di guardare in faccia la realtà. Naturalmente non può essere il caso (per riferirci solo a Paesi dell’unione europea) delle opinioni pubbliche di Polonia, Finlandia, Svezia, Baltici, che, per collocazione geografica, potrebbero essere, dopo l’Ucraina, le prossime vittime di Putin». E che diamine: qualcuno pensa davvero che una Russia “autocratica” e “imperiale” intenda fermarsi a ingoiare solamente la “democratica” Ucraina? Che ingenui. Ma no; sono «le opinioni pubbliche di altri Paesi europei (Italia compresa) il problema. Il pericolo maggiore, nonostante le apparenze, non è rappresentato dai rumorosi avversari del sostegno occidentale all’Ucraina», siano essi «antioccidentali (filorussi e, tradizionalmente, antiamericani)», oppure i «Peter Pan, quelli che credono che basti dichiarare che non vogliamo nemici perché i nemici scompaiano di colpo». Gli uni e gli altri urleranno quando si dovranno «aumentare massicciamente le spese militari».

Eccoci ancora una volta al dunque e con parole chiare e inequivocabili: i corifei dell'industria di guerra e dell'aumento delle spese militari, magari fino al 5% del PIL, non la mandano a dir dietro e proclamano che, però, le due categorie di cui sopra non sono il «vero pericolo». No, il «vero pericolo è rappresentato» da chi non ha «mai pensato che un giorno avrebbe potuto rischiare di doversi assoggettare ai voleri di una potenza autoritaria, a sua volta assoggettata a un tiranno». Indovinate di chi si parla? Non certo degli italici fascisti di governo, per carità! Autoritarismi e tirannie transitano solo a certe iperboree latitudini; mentre invece, al di sotto di quelle, si librano lievi e gioiosi gli aurei “valori” delle «nostre democrazie» che, però, «avendo perduto l’ancoraggio internazionale degli ultimi ottanta anni, si troveranno a navigare in acque sempre più turbolente», col pericolo mortale «di cadere nell’area di influenza russa» e, per definizione, sotto il dispotismo zarista, fluidamente transitato, nei decenni, per la “dittatura comunista” e poi per “l'autocrazia imperiale” degli anni 2000.

Un pericolo la cui alternativa è solo quella di essere favorevoli «a dirottare i fondi del Pnrr non ancora investiti per rafforzare la difesa missilistica del Paese». Guerra, guerra, guerra!

«Odimi, Aida. Nel fiero anelito di nuova guerra», intonano in coro i nuovi Radames delle armi europeiste, mentre invocano la passata grandezza di un'America che, dicono, è forte solo se non viene a patti con la Russia “autocratica” e tien saldi tutti quei “valori liberali” e interclassisti, cari alla borghesia, al di fuori dei quali c'è solo dittatura, autocrazia e dispotismo: davvero una sana democrazia, quella osannata dai signori europeisti.

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