Cosa si attendono Washington e Bruxelles dal prossimo faccia a faccia Trump-Putin
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
È di una mezza giornata fa la notizia, diffusa dalle agenzie russe, secondo cui Donald Trump avrebbe ufficialmente annunciato il prossimo incontro con Vladimir Putin. Il neo-eletto presidente USA ha detto che sarebbe stato lo stesso Putin ad auspicare l'incontro e che le parti ne starebbero mettendone a punto i dettagli, ma che, in ogni caso, il faccia a faccia avverrà dopo il 20 gennaio e, come pronosticabile, avrà al centro la questione ucraina.
E, però, stando alla britannica Financial Times, Donald Trump starebbe posticipando la scadenza per la risoluzione del conflitto militare in Ucraina «come segno di sostegno a Kiev». Non più, cioè, la pace «in 24 ore» proclamata durante la campagna elettorale, bensì accenni a “sei mesi” di tempo per metter fine alla guerra. Così, argomenta il FT, i “partner” europei avrebbero interpretato il mutamento di tempistica come un segnale lanciato a Kiev di non avere intenzione di allentarne immediatamente il sostegno.
Due alti funzionari europei avrebbero dichiarato al FT che i recenti incontri con la squadra del neo-presidente hanno rivelato che non è stato ancora deciso come porre fine al conflitto e che il sostegno UE all'Ucraina continuerà anche dopo l'insediamento ufficiale di Trump, il 20 gennaio. Uno dei funzionari avrebbe detto che «l'intera squadra di Trump è ossessionata dal volersi mostrare forte e starebbe quindi riconsiderando l'approccio all'Ucraina»; temendo il paragone con il disastroso ritiro USA dall'Afghanistan con Joe Biden, il team di Trump non desidera che la storia si ripeta con l'Ucraina.
Proprio in questi giorni, Keith Kellogg, nominato da Trump inviato speciale per l'Ucraina, ha dichiarato a Fox News che il suo obiettivo è quello di porre fine al conflitto in «100 giorni». Ho intenzione, ha detto, di «fissare un obiettivo a livello personale e professionale: lo fisserei in 100 giorni e partirei ora con il conto alla rovescia», volendo anche «trovare un modo per farlo a breve, assicurandoci che la soluzione sia solida, sostenibile e che questa guerra finisca in modo da fermare il massacro».
Kellogg ha però anche dichiarato che, sul conflitto, il neo-presidente USA non ha intenzione di fare sconti a Putin: è importante comprendere, ha detto, che «di fatto egli intende salvare l'Ucraina e la sua sovranità», che Trump intende raggiungere una soluzione del conflitto a condizioni «eque e giuste», nel quadro dei colloqui con Putin e Zelenskij.
Kellogg ha anche definito il più grande errore di Joe Biden, quello di aver rifiutato sulla questione ogni dialogo con il leader russo, mentre Trump stesso ha più volte affermato di comprendere la posizione di Mosca, che si oppone all'adesione dell'Ucraina alla NATO, e, proprio per questo, e anche perché Kiev non nutra false aspettative, a giudizio del colonnello USA a riposo Daniel Davis, il neo-presidente avrebbe detto chiaro e tondo al jefe de la junta nazigolpista di non avere intenzione di offrire all'Ucraina l'adesione all'Alleanza atlantica, in modo che Kiev non nutra false aspettative.
In tal modo, suppone Davis, Trump avrebbe «esploso un colpo di avvertimento in direzione di Zelenskij e dei leader europei». Per quanto brusco ciò possa apparire, ha detto Davis, «Trump sta creando le giuste aspettative sia per gli ucraini che per gli alleati occidentali, perché la verità non meno aspra è che al momento non esiste una soluzione militare per l'Ucraina che consenta di evitare perdite militari».
Di contro, da Bruxelles, osserva PolitNavigator, si sbracciano per “dimostrare” a Trump che la continuazione degli aiuti militari USA è necessaria per mettere Kiev in una posizione più forte per i colloqui “di pace” (di quella “pace” auspicata a Ramstein? viene da chiedere) e convincere Mosca a sedersi al tavolo delle trattative. Quella stessa “pace” di cui ha parlato anche Parigi ancora a dicembre, sostenendo che rafforzare la posizione dell'Ucraina sul campo di battaglia significa fermare i progressi della Russia nella parte orientale del paese; dunque: più armi e più soldi ai nazi-golpisti di Kiev. Anzi, anche truppe europee sul fronte, soprannominate “contingente di pace”, come ciancia Emmanuel Macron, o addirittura guerra aperta, comunque la si definisca, come fa, per esempio, in maniera ancor più becera, quel bellimbusto del segretario NATO Mark Rutte: «Non possiamo permettere che Kim Jong-un e il leader russo e Xi Jinping e l'Iran si rallegrino l'uno con l'altro per aver raggiunto un accordo che non va bene per l'Ucraina, perché a lungo termine ciò rappresenterebbe una seria minaccia per la sicurezza non solo dell'Europa ma anche degli Stati Uniti». Affermazioni in cui la beceraggine sconfina fluidamente nel bellicismo più criminale, considerando che Mosca ha ripetutamente dichiarato di considerare le forniture di armi a Kiev un grosso ostacolo a ogni accordo e che, coinvolgendo direttamente i paesi NATO nel conflitto, questi «giochino con il fuoco».
Un “gioco” che sembra tanto divertire Bruxelles, tanto che la “Lady Macbeth” della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha proclamato che «Oggi abbiamo fornito all'Ucraina 3 miliardi di euro sotto forma di prima tranche della parte europea del prestito del G7»; e la sua degna compare, la “Mary Tudor” estone, Kaja Kallas, ha specificato che il prestito sarà rimborsato con i «proventi espropriati dagli attivi della Russia».
Poi, sul piano più prettamente bellicista, arrivano ulteriori notizie, riferite da testimoni oculari, di trasferimenti su larga scala di attrezzature NATO in Polonia. Il coordinatore del fronte filo-russo Sergej Lebedev, ha detto a RIA Novosti che in molti, a Varsavia, nelle ultime quattro notti, hanno visto transitare decine di autotreni, presumibilmente carichi di corazzati americani MaxxPro, in movimento sia verso ovest che verso Rzeszów, sede del hub di trasporto delle armi ai nazisti ucraini. Si ha notizia anche di lunghe carovane di rimorchi con carri armati, che muovono in direzione della russa Kaliningrad; si parla dell'arrivo nel porto di Danzica di due trasporti USA cariche di armi. Ora, afferma Lebedev, vien da credere che l'Occidente stia preparando la Polonia a un conflitto con la Russia e a un possibile blocco di Kaliningrad.
A fronte delle supposizioni di Lebedev, di sicuro sono arrivate il 10 gennaio le sparate del presidente lituano Gitanas Nauseda a proposito di Kaliningrad come «città storicamente lituana», che dovrebbe dunque portare il nome di “Karaljaucius”. Là, ha sentenziato Nauseda, «sono scomparsi da tempo gli originari abitanti della Piccola Lituania, ora parte della cosiddetta regione di Kaliningrad, ma le ultime tracce della cultura lituana devono essere preservate». Kaliningrad - l'ex Königsberg - non è mai stata una città lituana, ha indirettamente risposto a Nauseda il politologo Konstantin Bulavitskij: è stata per secoli parte della Prussia orientale e addirittura l'odierna Vilnius ha molti più diritti storici per essere definita “città russa”.
Come che sia, è un dato di fatto che la UE non si preoccupa di celare i propri propositi, per cui nel caso Trump cambi la politica di sostegno a Kiev, Bruxelles «si accollerà la leadership» della faccenda, come ha candidamente ululato la degna discendente di collaborazionisti nazisti: ancora lei, Kaja Kallas.
Sul piano più generale, il Direttore del programma finlandese di ricerca “Russia, vicinato orientale di UE e Eurasia”, Arkadij Mošes (russo, stabilitosi definitivamente in Finlandia nel 2002, ha lavorato dal 1988 all'Istituto d'Europa a Mosca e, dal 2008 al 2015, è stato Associate Fellow del Programma Russia e Eurasia al Chatham House) intervenendo sul canale USA 19FortyFive, afferma che le pressioni verbali di Donald Trump all'indirizzo di Vladimir Putin, nel quadro dei tentativi di risolvere il conflitto in Ucraina, saranno inutili e non avranno l'impatto previsto. Mosca ricorda sin troppo bene, osserva Mošes, le mosse di Trump durante il suo primo mandato, la più importante delle quali, proprio nel contesto ucraino, era stata la rimozione del tabù sulla fornitura di armi letali a Kiev e l'invio di sistemi anticarro Javelin: «in altre parole, Putin non deve nulla a Trump». A parere di Mošes, non funzionerà nemmeno la minaccia di sanzioni, dal momento che Mosca ha ben adattato la propria economia alle restrizioni occidentali, mentre il loro aumento avrà conseguenze dannose per gli stessi USA, come le sta avendo per la UE e, in particolare, per le masse popolari dei paesi europei, che stanno pagando il prezzo della sottomissione di Bruxelles agli ordini in arrivo da oltreoceano.
Se, in generale, ci si interroga su cosa si attenda Mosca dalle prossime mosse di Donald Trump, un ulteriore piccolo tassello - di cui si parla specificamente in altra sezione del giornale - chiarisce ancor più i dettagli delle mire su aree e stati che il quarantasettesimo presidente yankee vorrebbe annettere agli USA, perché ritenute «strategicamente importanti» per la difesa del «mondo libero», in particolare dalle «mire di Cina e Russia». Nel caso della Groenlandia, oltre alla posizione commercialmente rilevante - per le nuove rotte marittime artiche rese possibili dallo scioglimento dei ghiacci – e alle grosse riserve di risorse naturali, è evidente l'obiettivo prettamente militare, paventato da Mosca, che nella vecchia base USA sull'enorme isola, quella di Pituffik, Washington arrivi a dislocare gli F-35, in grado di portare armi atomiche.
Come'è che dicevano? Mosca ha brigato per la vittoria di Trump nella corsa elettorale col “democratico” Biden???