Cosa si nasconde dietro la legge italiana sulla Space Economy
di Federico Giusti e Emiliano Gentili
Il contesto
Con un fatturato globale che si aggira attorno ai 500 miliardi di $ e un volume di investimenti privati in società del settore «pari a circa 272 miliardi di dollari tra il 2014 e il 2023», la filiera della space economy sembra collocarsi a pieno titolo tra quelle che garantiscono il miglior ritorno degli investimenti e pertanto sono fondamentali per la stabilità e il successo di un’economia capitalistica matura.
L’Europa sconta notevoli ritardi nello sviluppo di una propria filiera aerospaziale: negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno attratto il 46% degli investimenti globali, mentre l’Ue solo l’8,7%[1]. Dopo le leggi emanate nei primi anni 2000 in diversi paesi europei[2], che rappresentavano il primo tentativo di fornire un quadro di sviluppo adeguato e un ecosistema favorevole agli investimenti, lo sviluppo della space economy europea si è parzialmente arenato. Probabilmente hanno pesato le difficoltà del settore delle telecomunicazioni (con il ridimensionamento di Nokia e degli altri ex-colossi nord-europei), che al pari delle tecnologie aerospaziali utilizza componenti semiconduttori per la trasmissione dati. A ciò aggiungiamo l’esistenza di un mercato europeo poco disponibile allo sviluppo di tecnologie innovative e, soprattutto, alla loro commercializzazione su larga scala.
Per quanto riguarda le tecnologie sviluppate nell’ambito della space economy, dobbiamo citare in primis quelle relative alla connettività: satelliti che volano a un’orbita relativamente bassa possono garantire tempi di latenza minori e, inoltre, durante una guerra sono più difficili da abbattere rispetto alle classiche infrastrutture terrestri, garantendo così una miglior resilienza della connessione. Nel testo di legge, in un’ottica di sostanziale occultamento della natura bellica di molte di queste nuove tecnologie, la parola “guerra” è sostituita più volte da «rischi di origine antropica», ma all’art. 25, cc. 1 e 2, v’è maggiore chiarezza:
Il Ministero delle imprese e del made in Italy provvede alla costituzione di una riserva di capacità trasmissiva nazionale attraverso comunicazioni satellitari (…). La riserva di capacità trasmissiva nazionale attraverso comunicazioni satellitari è finalizzata a garantire, in situazioni critiche o di indisponibilità delle principali dorsali di interconnessione delle reti terrestri, un instradamento alternativo e con velocità di trasmissione adeguata alle comunicazioni tra nodi di rete strategici per applicazioni di natura governativa o di interesse nazionale[3].
Infine, nell’analisi tecnico-normativa che accompagna il testo di legge si parla esplicitamente dello «sviluppo di costellazioni di satelliti in orbita bassa e bassa latenza funzionali alla tutela degli interessi nazionali in materia di sicurezza, difesa e politica estera, utile all’adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dai trattati internazionali»[4].
Ci sono poi i droni (che siano per la comunicazione, la sorveglianza, la navigazione o la ricognizione militare; che impieghino l’Intelligenza Artificiale oppure no), i servizi specifici per la prevenzione degli eventi climatici avversi, le tecnologie per il turismo e via dicendo. Per quanto riguarda gli ambiti della connettività e della sorveglianza, è evidente quanto lo sviluppo della stragrande maggioranza delle nuove tecnologie sia improntato a un utilizzo “duale”, civile e militare allo stesso tempo, che produce e produrrà effetti dispotici e repressivi anche sulla popolazione civile. Spesso sono proprio i paesi che sulle tecnologie duali hanno investito maggiori risorse a trovarsi in posizioni di forza nelle controversie internazionali (Israele, Corea del Sud e Turchia, per fare degli esempi).
La condotta del Governo e gli equilibri “geopolitici”
Lo sviluppo di una matura filiera aerospaziale europea è un obiettivo a lungo termine e non facile da raggiungere: rispetto ai principali concorrenti asiatici e nordamericani, la Ue non è solamente indietro nello sviluppo tecnologico e produttivo ma sconta anche i limiti di un ecosistema economico (fatto di leggi e regolamenti sia nazionali che europei, delle caratteristiche del sistema imprenditoriale e del mercato comunitari, di determinati livelli di efficacia degli investimenti e di disponibilità a investire da parte dei privati, ecc.) meno propenso agli investimenti e all’innovazione.
Dallo studio dei documenti relativi ai principali progetti di sviluppo messi in atto dall’Unione Europea (Rrf, i vari Ipcei, i progetti transfrontalieri) si evince come l’Italia abbia un ruolo secondario o periferico in tutte le principali filiere produttive del futuro: dai semiconduttori alle filiere energetiche fino alla digitalizzazione industriale. Nonostante per la Space Economy l’Italia disponga di infrastrutture migliori che in altri campi, nonostante l’esistenza di un sistema di aziende attive da lungo tempo nel settore[5], il nostro paese è ben lungi dal raggiungere posizioni avanzate e prodotti all’avanguardia. Mancano capacità di innovazione e investimenti privati (in aggiunta allo scarso peso del settore pubblico), e nel 2021 il settore ha raggiunto appena il valore di 2,9 miliardi di euro[6].
Detto ciò, le aperture del Governo Meloni a Musk per un investimento corposo da parte della società Starlink[7] potrebbero anche essere lette come tentativo di scavalcare la gerarchia interna ai paesi membri Ue e recuperare, così, capacità di attrarre investimenti, efficienza economica e maturità tecnologica per accedere a posizioni migliori e in questo modo avere sempre più aziende italiane attive nei settori dove si ottengono maggiori proventi (in genere ricerca e sviluppo, commercializzazione, ecc.). Del resto i normali tentativi di attrarre investimenti agendo sull’ordinamento economico vengono praticati da tutti i paesi: «Recentemente, con il cambio di paradigma nel contesto di operatività dello spazio, le società spaziali sono state incoraggiate dai Governi a realizzare innovazioni incrementali di processo, prodotto e organizzative orientate alla riduzione dei costi, stimolando l’ingresso di capitali privati nel settore spaziale»[8]. Di conseguenza è plausibile che il Governo italiano stia cercando una via “laterale” per risalire la china. Dopotutto, anche se è vero che negli ultimi anni l’Italia ha stanziato 7,3 miliardi di €, il nostro paese rimane molto indietro: ricordiamoci che quando, nel 2020, il nostro Pnrr destinava meno di un miliardo e mezzo all’aerospazio, quello francese già prevedeva una somma di ben 15 miliardi.
Le caratteristiche della legge
Il Disegno di Legge 2026, contenente “Disposizioni in materia di economia dello spazio”, fa parte di un progetto di sviluppo orientato a battere la concorrenza degli altri paesi sul mercato globale della space economy. «Si tratta di una legge che era diventata non solo urgente, come ha sempre detto Urso, ma anche fondamentale visto la forte accelerazione impressa su questo campo da parte di Cina e Stati Uniti»[9]. Il DdL è concepito all’interno del quadro dello sviluppo di una filiera su base europea – non nazionale –[10], anche se al contempo tenta di favorire gli investimenti in Italia con norme specifiche, ad esempio in favore delle start-up (che spesso producono innovazione) e delle Piccole e Medie Imprese[11].
Posto che per avere informazioni precise riguardo la produzione e l’utilizzo dei dati provenienti dalle attrezzature aerospaziali (e i relativi eventuali[12] divieti o limitazioni posti alle aziende) dovremo attendere un prossimo decreto interministeriale[13], è utile sottolineare alcuni aspetti economici che già il Disegno di Legge mette in luce.
L’orientamento strategico del testo è chiaro: sviluppare «la ricerca, la produzione e il commercio in orbita terrestre bassa»[14] attraendo nuovi capitali privati e favorendo le soluzioni di partnership pubblico-privato[15], sulla base di uno stimolo iniziale fornito dalle finanze pubbliche. Tale “stimolo” è quantificabile in poche centinaia di milioni, che principalmente provengono dai fondi per la crescita sostenibile e per il sostegno alle piccole e medie imprese[16].
Dal punto di vista della strategia di alleanze, il Ddl vincola l’Italia a stipulare accordi commerciali con i soli stati del “blocco occidentale” (e relativi alleati regionali), escludendo tutti quelli che «non si conformano ai princìpi di democrazia o dello Stato di diritto o minacciano la pace e la sicurezza internazionali o sostengono organizzazioni criminali o terroristiche o soggetti ad esse comunque collegati»[17].
Oggetto di dibattito in seno al Parlamento è invece il controverso art. 25, che contiene un endorsement nei confronti delle imprese nordamericane – e forse nello specifico di Starlink di Musk – laddove si specifica che la futura costellazione italiana di satelliti per la comunicazione in orbita bassa potrà essere gestita «esclusivamente da soggetti appartenenti all’Unione europea o all’Alleanza atlantica»[18].
Per conseguire gli obiettivi strategici il Governo ha predisposto l’impalcatura normativa per la redazione di un Piano di sviluppo della Space Economy, con durata quinquennale e sottoposto ad aggiornamenti biennali. Il “Piano nazionale per l’economia dello spazio” verrà elaborato da un Comitato Interministeriale, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana, e conterrà disposizioni importanti riguardo la normativa, i flussi di finanziamento, l’allocazione delle risorse, il monitoraggio e, soprattutto, «l’analisi, la valutazione e la quantificazione dei fabbisogni di innovazione e di incremento delle capacità produttive funzionali allo sviluppo dell’economia nazionale dello spazio»[19].
Piani di questo tipo – di cui esistono esempi più o meno simili in documenti quali i Pnrr, gli Ipcei, il Rapporto Draghi –, essendo riferiti a un ecosistema economico liberista e votato all’iniziativa privata come quello europeo sembrano talvolta assomigliare più a dei business plan aziendali che ai vecchi piani industriali novecenteschi (il Governo, nel tentativo di trovare una formulazione intermedia, lo ha chiamato «disegno di politica industriale»[20]). Tuttavia, assegnano comunque un certo peso decisionale agli Stati per via dell’importanza degli investimenti pubblici e del ruolo di coordinamento dello sviluppo economico, naturalmente in capo alle istituzioni, marcando in questo una differenza con l’ultra-liberismo dei decenni precedenti. Dal momento che, da «fornitori di beni e servizi» quali erano, gli imprenditori privati possono assurgere a «operatori indipendenti»[21], ad attori economici in grado di gestire quasi liberamente segmenti dello sviluppo della società umana, si è resa necessaria l’istituzione di un quadro normativo più complesso e di un piano di orientamento all’investimento: finanziare questo o quel settore, agevolare questo o quel tipo di investimento… fornire i giusti input affinché le nostre economie tornino a crescere, tentando di mettere le redini a un cavallo (il mercato) che, però, non può essere domato…………………………..………….
Rimane da analizzare la questione delle autorizzazioni a investire nello spazio satellitare nazionale. Nei Paesi europei «La cessione dell’autorizzazione è generalmente consentita (…) ma è sempre soggetta a un’autorizzazione preventiva da parte dell’organo preposto al suo rilascio», e l’Itaila non fa eccezione. Da noi esiste un’Autorità[22] deputata al rilascio delle autorizzazioni, sulla base degli accertamenti tecnici eseguiti dall’Agenzia Spaziale e del parere del Comitato Interministeriale[23]. La disciplina autorizzativa (che comprende l’assicurazione obbligatoria per gli imprenditori) regola «una serie di aspetti rilevanti che concernono il regime autorizzatorio cui le attività spaziali private sono sottoposte, la definizione dei requisiti di capacità tecnica e professionale, la valutazione preventiva del rischio connesso all’attività autorizzata, l’introduzione di un regime di assicurazione obbligatorio e la materia della responsabilità per danni causati dalle attività spaziali»[24]. L’unica cosa che conta veramente, però, è che l’attività privata sia «generalmente consentita».
L’opposizione di centro-sinistra
Le critiche provenienti dal centro-sinistra hanno preso di mira esclusivamente la questione dell’apertura alle imprese di Paesi appartenenti «all’Alleanza atlantica», sancita – come detto sopra – dall’art. 25 del DdL. I parlamentari del Pd, di Avs, dei 5Stelle, di Iv e di Azione si sono scagliati contro la legge definendola «un regalo» e parlando di «ricatto» di Musk all’Italia. Così facendo hanno potuto tacere sugli aspetti più preoccupanti del testo, come il vincolo a commerciare con i soli Paesi del “blocco atlantico” – pur essendo, questo, un elemento estremamente connesso a quello dell’art. 25 – o la facilità con cui verranno concesse le autorizzazioni ai privati.
Il centro-sinistra, incapace di proporre una propria visione strategica alternativa, cerca di differenziarsi sul piano dell’europeismo radicale ma perseguendo gli stessi obiettivi della destra: partecipare alla nuova spartizione imperialista del mondo, con tutte le risorse (e le armi) necessarie.
Non per caso, dunque, il centro-sinistra si è eretto a nume tutelare dell’esercito europeo, nonostante sappia bene che occorreranno anni prima di realizzarlo e ammesso – ma non concesso – che questo sia alla fine il vero obiettivo comune dei paesi membri della Ue. Negli anni, il centro-sinistra ha posizionato suoi esponenti di punta a capo di fondazioni legate a imprese di armi (emblematico il caso di Leonardo) e nei Cda di varie aziende pubbliche e private, seguendo quel costume tipicamente statunitense per il quale esponenti politici diventano leaders di imprese (o viceversa). E questi esponenti si sono mossi a tutela degli interessi capitalistici di alcuni blocchi economici e finanziari dominanti.
Da anni ormai la Ue si trova in una situazione di crisi economica e politica: non riesce a salvaguardare il proprio welfare, non ha politiche attive in materia di lavoro comuni e in campo fiscale presenta modelli assai diversi. E in questo scenario al centro-sinistra non resta che ergersi a paladino dell’Europa del riarmo, avallando l’acquisto di prodotti energetici a cinque volte tanto quelli per anni arrivati dalla Russia e la riconversione industriale a fini di guerra.
[1] DdL 2026 “Disposizioni in materia di economia dello spazio”, 10 Settembre 2024, p. 7.
[2] Per l’Italia segnaliamo il D. Lgs. 128/2003, che fra l’altro istituisce l’Agenzia Spaziale Italiana.
[3] DdL 2026, art.25, cc. 1 e 2, 10 Settembre 2024, p. 80.
[4] DdL 2026 “Disposizioni in materia di economia dello spazio”, 10 Settembre 2024, p. 34.
[5] Conta molto anche il buon livello tecnologico della filiera aeronautica italiana, a cui appartiene il 46% delle aziende italiane attive nel settore dell’aerospazio. Ad ogni modo, complessivamente l’Italia può vantare 415 aziende (per oltre 2 mld di fatturato), decine di centri ricerca, una filiera produttiva completa sul territorio nazionale (anche se non omogeneamente sviluppata) e alcuni distretti tecnologici (fatti di imprese attive in condizioni di prossimità territoriale e/o commerciale).
[6] Fonte: Aiko, 2021.
[7] Cfr. E. Gentili, F. Giusti, Accordo Starlink. Giù la MUSKera, 18 Gennaio 2025, https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-accordo_starlink_gi_la_muskera/42819_58720/. Preoccupano non poco, inoltre, le aperture del Ministro Crosetto sull’utilizzo dei missili di Musk. Le sue dichiarazioni sono state ritenute pericolose per la sicurezza nazionale, dal momento che prefiguravano di affidare un nodo nevralgico della sicurezza nazionale a un’azienda privata con a capo un ministro di un altro paese.
[8] DdL 2026 “Disposizioni in materia di economia dello spazio”, 10 Settembre 2024, pp. 6 e 7.
[9] V. Caccioppoli, Approvato DDL sullo spazio, Italia batte tutti sul tempo, https://scenarieconomici.it/approvato-ddl-sullo-spazio-italia-batte-tutti-sul-tempo/.
[10] Cfr. DdL 2026, art. 22, c. 3: «Il Piano (…) contiene disposizioni programmatiche riferite a un periodo temporale tale da garantire un’efficace integrazione e sincronia con i cicli di programmazione previsti in sede europea e con i tempi di realizzazione delle missioni satellitari di interesse nazionale».
[11] DdL 2026, art. 21, c. 2, e art. 27, c. 1, lett. “a” e “b”.
[12] DdL 2026, art. 13, c. 1, lett. “i”.
[13] DdL 2026, art. 13.
[14] DdL 2026, art. 24, c. 1.
[15] DdL 2026, art. 24, c. 3.
[16] DdL 2026, art. 23, cc. 1, 2 e 5, e art. 26, c. 3.
[17] DdL 2026, art. 7, c. 7.
[18] DdL 2026, art. 25, c. 1.
[19] DdL 2026, art. 22, c. 4, lett. ”a”.
[20] DdL 2026 “Disposizioni in materia di economia dello spazio”, 10 Settembre 2024, p. 8.
[21] Ivi, p. 41.
[22] L’Autorità svolge in delega le funzioni del Presidente del Consiglio e, secondo quanto stabilito dalla L. 124/2007 all’art. 3, può essere un Ministro senza portafoglio o un Sottosegretario di Stato.
[23] DdL 2026, art. 7.
[24] DdL 2026 “Disposizioni in materia di economia dello spazio”, 10 Settembre 2024, pp. 8 e 9.