Costretto a cancellare un tweet. L'incredibile figuraccia di Saviano su Cuba
Per Roberto Saviano dev’essere sembrata una situazione ghiotta. Attaccare Cuba usando il volto di una donna fiera, armata della propria bandiera, che urla con tutta la rabbia che ha in corpo contro il ‘regime’ tirannico e comunista che governa l’Isola dal 1959. Quell’immagine agli occhi di Saviano, accecati dal più becero anticomunismo di marca liberale, rappresentava il mezzo ideale per inserirsi nella campagna globale contro Cuba pompata dai media mainstream affinché l’opinione pubblica internazionale creda che a Cuba vi sia un regime tirannico che sopravvive solo grazie al pugno di ferro nei confronti di una popolazione vessata e ormai ridotta allo stremo. L’efficace immagine del ‘gulag tropicale’ evocata da Gianni Minà, come fotografia di una realtà parallela che esiste solo nella propaganda occidentale.
Invece succede che Roberto Saviano è costretto a fare retromarcia cancellando il suo vergognoso tweet contro Cuba. Senza nemmeno degnarsi di una rettifica, di scusarsi con i suoi followers in buona fede che nei fatti ha cercato di ingannare.
Infatti nel tweet di Saviano veniva ritratta una donna cubana, Betty Pairol, in piazza armata della propria bandiera cubana. Prima dello scrittore strabico che vede violazioni della democrazia solo tra i paesi non allineati con l’agenda di Washington, già l’agenzia per i diritti umani dell’ONU aveva pubblicato una foto della donna cubana in un post dove veniva attaccato il governo facendo così passare l’idea che Betty Pairol fosse scesa in piazza per protestare contro il governo socialista cubano.
Resasi conto della manipolazione, Betty Pairol, aveva protestato contestando l’utilizzo distorto e manipolatorio della sua immagine. La donna era infatti scesa sì in piazza, ma a sostegno della Rivoluzione oggetto di attacchi.
Per tutta risposta Twitter le aveva bloccato l’account. Confermando ancora una volta che i social network sono un campo tutt’altro che neutro. Ma veri e propri attori politici con una ben determinata ideologia. Che, guarda caso, collima con l’agenda dei democratici in quel di Washington. Proprio come l’agenda che segue pedissequamente Roberto Saviano. Che infatti si guarda bene dal parlare di quel che accade ai manifestanti antiliberisti in Colombia o Cile colpiti da una repressione brutale e feroce, di denunciare quanto accaduto in Bolivia con il golpe contro Evo Morales. Oppure di raccontare l’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi trucidato da sgherri del regime di Riad nel consolato saudita di Istanbul.
Racconta così la sua giornata di protesta contro la turba golpista a Cuba, Betty Pairol: «Tra la plebaglia, la feccia, la volgarità, l'indecenza, l'oscenità, là, tra i disadattati sociali, la piaga, i criminali, i vagabondi abituali, tra il branco aggressivo, pericoloso, violento, portavo con me la voce della mia famiglia, la voce di Cuba (…) Allora mi sono armata del mio stendardo e sono uscita dalla tranquillità della domenica, sapendo che sarei andata a combattere, sarei uscita a difendere la tranquillità delle mie figlie.
Per strada ho trovato la turba fetida, l'ho attraversata al grido di «¡viva Cuba, abajo el bloqueo!», alzando la bandiera con la stella solitaria, quella «que no ha sido jamás merecnaria». Non potevo permettere che mi zittissero, dovevano sapere che sebbene fossi "sola” il mio grido rappresentava la decenza, l'intransigenza di chi si oppone all'annessione, l'arrendersi, sebbene in quel momento fossero la maggioranza, sentivo di avere l'obbligo morale di affrontarli, ero il comandante in capo di me stessa».
Adesso sulla bacheca Twitter di Saviano campeggia un’intervista del Corriere della Sera alla blogger Yoani Sanchez. Altro personaggio davvero poco credibile che per certi versi gli somiglia. Nel 2014, il suo traduttore italiano Gordiano Lupi in una lettera dove spiegava i motivi che lo avevano indotto a non tradurre più i suoi scritti diceva: «Ho creduto in una lotta ideale che non esisteva. In realtà lo scopo di Yoani Sánchez è sempre stato quello di diventare ricca e famosa. Adesso l’ha raggiunto. Adesso stia lontano da me, che ho perduto persino il diritto di rientrare a Cuba, mentre la principessa delle blogger entra ed esce come se fosse un moscone che un po’ ronza all’Avana, un po’ a Miami. La parola farfalla non le si addice. Moscone è il termine più confacente».
Insomma, Roberto Saviano ha probabilmente perso l’ennesima occasione di tacere. Gli consigliamo però maggiore attenzione, se dovesse perdere anche quel residuo di credibilità che ancora gli resta giusto perché in Italia abbiamo una stampa complice e completamente schiacciata sulle posizioni di Washington, ancora di più adesso che alla Casa Bianca sono tornati i Democratici, potrebbe diventare inservibile per la propaganda. Rischia di finire rottamato.