Cresce la violenza politica negli Stati Uniti: un problema anche per noi?

Cresce la violenza politica negli Stati Uniti: un problema anche per noi?

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di Paolo Arigotti

L’attentato dello scorso 13 luglio contro il candidato repubblicano in pectore alla Casa Bianca Donald Trump - la ratifica ufficiale dovrebbe arrivare in occasione della Convention repubblicana di Milwaukee, prevista nei prossimi giorni - avvenuto a Butler, cittadina delle Pennsylvania che conta 13mila abitanti, rischia di enfatizzare un clima di odio e contrapposizione tra opposte fazioni, causato in gran parte dalle ben note “faglie”[1] che attraversano gli Stati Uniti.

Inoltre, come ricordava in un recente intervento[2] Lucio Caracciolo, direttore di Limes, il fatto che le due parti politiche non si riconoscano reciprocamente non aiuta a stemperare il clima, per quanto il presidente Joe Biden si sia affrettato a chiamare il rivale, per esprimere solidarietà e condannare il gesto che, a suo dire, non appartiene all’America.

Il problema, evidentemente, investe il clima di contrapposizione sociale e politica sempre più avvelenato che si respira negli Stati Uniti, pure a prescindere dall’appuntamento elettorale di novembre e dall’identità dell’attentatore, che per la cronaca è stato rapidamente individuato e ucciso dai cecchini: si trattava del ventenne Thomas Matthew Crooks, abitante di Bethel Park, Pennsylvania, che ha fatto fuoco dal tetto di un piccolo edificio, distante appena 150 metri dal palco dal quale Trump stava tenendo il suo discorso. Il magnate, portato via di peso dagli addetti alla sicurezza, ha avuto il tempo di gridare, col volto insanguinato, una parola ai suoi sostenitori: “Fight!”, evocando una volontà di lotta e resistenza. Visitato dai medici, Trump non ha riportato feriti lievi, tranne una piccola lesione all’orecchio destro.

Non staremo qui a parlarvi delle teorie che si rincorrono, fin dai primi minuti, sulla dinamica dei fatti e circa i possibili scenari che si potrebbero celare dietro l’attentato, non ultime le polemiche sull’efficienza dei servizi di sicurezza. La sola certezza che possiamo avere è che se il colpo fosse andato a segno, e parliamo di pochi millimetri, sarebbe stato mortale.

Ci sembra presto per fare qualunque congettura, che pure non è mancata, sui riflessi dell’episodio sulla campagna elettorale: attendersi delle strumentalizzazioni è più che ovvio, ma non è il momento di parlarne, così come eviteremo ogni digressione circa presunte interferenze straniere, che pure sono state proposte, e che sono tutte da dimostrare; personalmente, però, propenderemmo per ragioni interne, che si legano a doppio filo col clima di contrapposizione cui accennavamo.

Cominciamo col dire che episodi di sangue non sono stati infrequenti nella storia degli Stati Uniti, e hanno riguardato sia presidenti in carica che canditati alla Casa Bianca, assieme ad altri personaggi che hanno goduto di ampia visibilità per le loro battaglie politiche. Solo per fare qualche esempio, ricorderemo la tragica scomparsa dei fratelli Kennedy, uno dei quali (JFK) presidente in carica, l’assassinio di Martin Luther King e di Malcolm X, nei quali è possibile individuare un tratto comune: il clima di tensione che si respirava negli anni Sessanta, dovuto al Vietnam o alla questione razziale e della parità dei diritti. E pure spostandoci in altre epoche storiche non sono mancati episodi analoghi: pensiamo ai falliti attentati contro due presidenti in carica, Harry Truman e Ronald Reagan, o al 6 settembre 1901, quando Theodore Roosevelt, in qualità di vice, divenne presidente a causa dell’uccisione di William McKinley.

Un discorso non dissimile potrebbe farsi per Abraham Lincoln, assassinato all’indomani della fine della guerra civile, in un clima fortemente polarizzato di odio e divisioni, senza dimenticare che furono alcune voci su presunti brogli sull’elezione dello stesso Lincoln ad avvelenare ulteriormente gli animi, contribuendo a scatenare quel sanguinoso conflitto interno, che vide nella questione schiavistica più la miccia, che la ragione effettiva della deflagrazione.

Pur senza scendere in improbabili (e forse azzardati) paragoni storici, è impossibile non osservare che nella storia americana all’origine di scontri e violenze ci sono sempre state fratture sociali e politiche interne[3]: le campagne elettorali, pure quando erano imminenti o in corso di svolgimento, hanno rappresentato al più un’occasione per ufficializzare le tensioni; o, per usare un eufemismo di tipo medico, sono state l’occasione per il manifestarsi della malattia conclamata, della quale sintomi e avvisaglie erano già evidenti da tempo.

Gli statunitensi non sembrano vivere bene la situazione. Secondo un importante centro di studi d’Oltreoceano[4], circa i ¾ dell’elettorato sarebbe preoccupato per la tenuta degli assetti democratici; il campione preso in esame valuta sotto questo aspetto Trump più pericoloso di Biden (52 contro 33), ma tra gli elettori dei cosiddetti swing state  - gli Stati in bilico, quelli che tradizionalmente fanno la differenza nella scelta del Presidente, come Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Georgia, Arizona e Nevada - il tycoon viene considerato maggiormente in grado di proteggere la democrazia interna.

Un altro fattore di destabilizzazione interna proviene dal possesso delle armi da parte della cittadinanza comune. Forti del secondo emendamento alla Costituzione federale (datato 1791), negli USA tutti hanno il diritto di possedere un’arma, tanto che nel giugno del 2022[5] si stimava che nel paese si registrassero 393,3 milioni di armi a fronte di 330 milioni di abitanti (altre analisi ipotizzano un dato ancora superiore, 500 milioni[6]). Non ci vuole molto per fare le proporzioni, sottolineando che negli ultimi venti anni si è registrata una crescita esponenziale del fenomeno[7], al quale si accompagna il dilagare di gruppi e milizie private, moltiplicatesi a partire dagli anni Novanta[8].

L’Università di Chicago ha di recente rilevato che non solo il 10 per cento degli americani sarebbe favorevole all’uso della forza per impedire a Trump di tornare alla Casa Bianca (parliamo di circa 40 milioni di persone), ma anche che non sono pochi[9] coloro che pensano che il ricorso alla violenza politica non possa essere escluso.

Gli stessi fatti di Capitol Hill del gennaio 2021 – circa i quali circolano diverse, se non opposte, versioni[10] [11]– testimonia che l’operato e/o la strumentalizzazione di gruppi armati e/o di facinorosi non è escluso nelle fasi critiche, e tende ad acuirsi a fronte di tensioni sociali e politiche sempre più marcate[12]. Il semplice fatto che l’uscita nelle sale della pellicola Civil War abbia destato una certa inquietudine non dovrebbe essere trascurato.

Diciamo che se o fin quando la minaccia viene individuata dall’esterno – pensiamo solo al terrorismo – la deterrenza rappresentata da discutibili approcci preventivi, assai difficili da condividere, può aver cementato, almeno per un certo periodo, l’opinione pubblica interna. Ma qui il problema è che si parla di tensioni interne agli Stati Uniti, che la presenza di milioni di cittadini armati potrebbe contribuire a far deflagrare in un clima di violenza difficilmente controllabile.

La “buona notizia” è che tra i vari gruppi non esiste un coordinamento nazionale, il che per il momento farebbe escludere l’ipotesi di un’insurrezione diffusa e generalizzata, ma resta il fatto che – stando alle analisi di Jacob Ware, ricercatore presso il Council on Foreign Relations (CFR) – gruppi che rivendicano interessi o istanza di tipo locale spesso sono affiliate a un “… terrorismo di estrema destra negli Stati Uniti può essere suddiviso in due grandi categorie: una è legata all’ideologia della supremazia bianca, l’altra alle teorie antigovernative. Entrambe si sono sviluppate nel corso di diversi decenni, se non secoli, ma si sono consolidate negli ultimi 15 anni e sono emerse dopo l’elezione di Barack Obama nel 2008.”[13]. E va detto che non mancano punti in comune tra i diversi gruppi, che un domani potrebbe preludere a una sorta di strategia comune.

Sappiamo benissimo che esistono moltissime teorie attorno a certi fatti – dicevamo di Capitol Hill, ma pensiamo anche ai presunti brogli elettorali del 2020 – ma qui non si tratta tanto di affermarne la fondatezza o meno, quanto di ragionare sul fatto che moltissime persone (parliamo di milioni di individui) sono fermamente convinte di questo. E non è dato sapere cosa sarebbe accaduto dinanzi alla morte di Trump e/o in caso di nuova sconfitta elettorale del tycoon che, piaccia o meno anche al diretto interessato, vedono in lui il proprio riferimento politico. Se poi consideriamo che oggi meno di 4 americani su dieci hanno piena fiducia nel governo federale e che molti di loro giudicano le elezioni una farsa abbiamo definito il quadro [14].

La verità è che la contrapposizione tra i fautori del fronte globalista e internazionalista – polarizzato sulla coste e che vede nel partito democratico il punto di riferimento – premendo per un maggior ruolo internazionale e per la preservazione del ruolo di “poliziotto del mondo”, si distanzia sempre di più dal fronte conservatore, concentrato geograficamente nelle aree interne, che vede nello slogan caro a Trump “America first” e nella parte del partito repubblicano che a lui si ricollega il naturale referente.

E se fin qui abbiamo parlato solo di questioni storiche o di ipotesi astratte, non dimentichiamo che nell’agosto del 2017, a Charlottesville (Virginia), si verificarono pesanti scontri tra i suprematisti bianchi e i contro manifestanti antirazzisti, che provocarono un morto e diversi feriti[15]. E il fatto stesso che simili episodi non provengano, come dicevamo, da un’unica organizzazione e/o da una sola regia induce a dubitare che certe dinamiche siano sempre controllabili o arginabili da qualcuno, Trump compreso; il tycoon, riferendosi all’episodio del 2017, adottò una sorta di linea mediana, senza prendere le parti di nessuna delle parti coinvolte, alimentando così la percezione – specie tra i suoi avversari – che egli ponesse sullo stesso piano suprematisti e gruppi antagonisti.

In altre parole, il fuoco, una volta dilagato, è difficile da contenere, per cui sarebbe auspicabile un abbassamento dei toni ed evitare qualunque strumentalizzazione di episodi critici, come quello del 13 luglio.

Come scrissero a suo tempo nel loro American Violence[16] (1970) Michael Wallace e Richard Hofstadter “in tale violenza non c’è niente di nuovo, a parte la nostra improvvisa, rinnovata consapevolezza”, violenza che i due storici consideravano un’eredità del decennio appena concluso. Uno studio che potrebbe (e dovrebbe) aiutare a comprendere che la violenza non è, purtroppo, una novità, e che nei periodi di crisi – come quello che il Paese sta indubbiamente vivendo – torna a fare capolino.

In tal senso, speriamo che di non trovarci a dare ragione un giovanissimo Abraham Lincoln, quando nel 1838 affermò che “se la distruzione è il nostro destino, saremo noi ad autoinfliggercela. Come nazione di uomini liberi, vivremo per sempre o moriremo suicidi.”[17]

Tenuto conto che manco Lincoln ha fatto una bella fine, come da poco osservava[18] Ian Bremmer, presidente di Eurasia Group, il pericolo di un ricorso alla violenza potrebbe essere perfino più elevato rispetto al 1968 (l’anno dell’omicidio di Martin Luther King Jr. e Robert Kennedy) o addirittura dai tempi della guerra civile. Se pure il vicino Canada ha da poco espresso le sue preoccupazioni per un rischio guerra civile negli USA[19], rischio paventato anche da più di un americano su quattro per il prossimo quinquennio[20], qualcosa vorrà pur dire.

Quello che si prospetterebbe non sarebbe uno scenario da secessione stile anni Sessanta dell’800, circa il quale mancherebbero tutti i presupposti, a cominciare dall’esistenza movimenti indipendentisti di peso. Si potrebbero profilare, casomai, scontri istituzionali tra centro e periferia - pensiamo al caso del Texas sulla questione migranti – che non condurrebbero alla dissoluzione degli Stati Uniti, ma che potrebbero enfatizzare le fratture interne; tradizionalmente gli USA sono stati in grado di superarle solo nella coesione contro un nemico esterno, che oggi però si fa sempre fatica a trovare, nonostante i tentativi, come ben sappiamo, non siano mancati.

E per coloro che gioissero dei problemi statunitensi, ci permettiamo di ricordare che si tratta pur sempre di una nazione alla quale, ci piaccia o meno, il nostro Paese resta fortemente legato, ragion per cui una eventuale crisi finirebbe per riverberare i suoi effetti anche su di noi.

Il che non implica affatto, si badi bene, un persistente ruolo subordinato e acritico da parte nostra: quello è frutto di volontà politica, e non appartiene a un destino scritto e immodificabile, come qualcuno vorrebbe farci credere.

FONTI

www.rainews.it/maratona/2024/07/attentato-a-trump-gli-aggiornamenti-in-diretta-e293b0aa-1d4b-49ee-907e-fe0ed32344cc.html

www.limesonline.com/articoli/5-letture-violenza-politica-milizie-stati-uniti-16458911/?ref=LHTP-BH-I0-P1-S1-T1

it.insideover.com/media-e-potere/forti-rumori-al-comizio-cosi-la-stampa-usa-faziosa-regala-a-trump-la-consacrazione.html

www.limesonline.com/rivista/fiamme-sulla-collina-l-america-in-crisi-assedia-se-stessa-14641394/

it.insideover.com/politica/donald-trump-e-la-violenza-della-politica-usa.html

www.limesonline.com/rivista/de-bello-americano-14637271/

“Attentato a Trump - diretta con Lucio Caracciolo, Federico Petroni e Alfonso Desiderio” - link Canale YouTube Limes - www.youtube.com/watch?v=NRQPxOsi1dg

www.ilsussidiario.net/news/attentato-a-trump-un-nuovo-caso-kennedy-che-spazza-via-biden-e-spacca-di-piu-lamerica/2731051/

www.limesonline.com/rivista/la-violenza-politica-dilaga-senza-resistenza-15536842/

it.insideover.com/politica/lattentato-a-donald-trump-lincubo-guerra-civile-non-e-piu-solo-un-film.html

[1] podcasts.apple.com/sa/podcast/le-tante-faglie-che-attraversano-gli-stati-uniti-damerichttps:/

[2] www.youtube.com/watch?v=Zobsd0aoJQA

[3] www.sinistrainrete.info/politica/28007-paolo-arigotti-le-tante-faglie-che-attraversano-gli-stati-uniti-d-america.html

[4] www.prri.org/research/threats-to-american-democracy-ahead-of-an-unprecedented-presidential-election/

[5] www.econopoly.ilsole24ore.com/2022/06/03/usa-armi-sparatorie/a/id1537596607?i=1000656144386

[6] www.limesonline.com/articoli/5-letture-violenza-politica-milizie-stati-uniti-16458911/?ref=LHTP-BH-I0-P1-S1-T1

[7] www.limesonline.com/rubriche/fiamme-americane/trump-attentato-stati-uniti-crisi-interna-violenze-civili-gruppi-estremisti-reazioni-16455349/?ref=LHTP-BH-I0-P1-S2-T1

[8] www.limesonline.com/rivista/delle-milizie-il-catalogo-e-questo-14637286/

[9] www.limesonline.com/articoli/5-letture-violenza-politica-milizie-stati-uniti-16458911/?ref=LHTP-BH-I0-P1-S1-T1

[10] www.collettiva.it/copertine/internazionale/q-anon-la-fonte-di-ogni-complotto-gyu0vact

[11] www.limesonline.com/rivista/il-mistero-qanon-america-profonda-contro-stato-profondo-14636799/

[12] www.limesonline.com/rivista/de-bello-americano-14637271/

[13] www.limesonline.com/rivista/la-violenza-politica-dilaga-senza-resistenza-15536842/

[14] www.limesonline.com/rivista/fiamme-sulla-collina-l-america-in-crisi-assedia-se-stessa-14641394/

[15] www.vox.com/2017/8/12/16138246/charlottesville-nazi-rally-right-uva

[16] R. Hofstadter, M. Wallace, American Violence, New York 1970, Knopf.

[17]  A. Lincoln, «The Perpetuation of Our Political Institutions», discorso al Young Men’s Lyceum di Springfield (Illinois), 27/1/1838

[18] it.insideover.com/politica/lattentato-a-donald-trump-lincubo-guerra-civile-non-e-piu-solo-un-film.html

[19] www.politico.com/news/magazine/2024/06/11/canada-us-civil-war-00162521

[20] www.rasmussenreports.com/public_content/politics/biden_administration/civil_war_2_many_voters_think_it_s_likely

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