Da Kursk (sottomarino) alla Kursk liberata: la Russia è tornata potenza globale

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Da Kursk (sottomarino) alla Kursk liberata: la Russia è tornata potenza globale

 

 
di Davide Malacaria - Piccole Note

 

Proseguono le manovre per aprire un processo di pace in Ucraina. Di questi giorni la visita del Segretario generale della Nato Mark Rutte a Washington nella quale questi ha dichiarato con certa solennità che l’Ucraina non sarà ammessa nell’alleanza militare e, in parallelo, il ritiro degli Stati Uniti dall’International Center for the Prosecution of the Crime of Aggression against Ukraine, che dovrebbe indagare sul crimine connesso all’aggressione dell’Ucraina e sugli altri conseguenti.

Dall'affondamento del Kursk alla riconquista di Kursk

Le condizioni per il negoziato

La non adesione dell’Ucraina alla Nato era una condicio sine qua non posta da Mosca per concordare una pace duratura, mentre Kiev aveva posto tra le condizioni per la pace quella di perseguire i crimini di guerra russi. Le iniziative degli Stati Uniti, quindi, non sono solo mosse distensive nei confronti di Mosca, ma hanno anche un peso sui negoziati.

Domani è prevista la telefonata tra Putin e Trump che dovrebbe dare il “la” ai negoziati per ora in embrione. In attesa, si può rilevare come la riconquista di Kursk da parte di Mosca tolga a Kiev un’altra carta che intendeva di calare sul tavolo delle trattative per evitare cessioni territoriali.

Se i negoziati si fossero aperti con la regione di Kursk ancora in mano agli ucraini, Kiev avrebbe chiesto uno scambio con i territori del Donbass. Probabile che il ritardo dell’inizio delle trattative tra Washington e Mosca era un modo per dar tempo alla Russia di portare a compimento la controffensiva, così da far cadere un’altra delle condizioni massimaliste, quanto irrealistiche, di Zelensky, quella di preservare l’integrità territoriale.

In attesa della conversazione telefonica tra i due presidenti, si può rilevare come sia importante, anche da un punto di vista simbolico, la riconquista di Kursk per i russi e in particolare per Putin.

L’affondamento del Kursk

Era il 12 agosto del 2000 quando, presso la base navale di Severomorsk, iniziavano le esercitazioni navali più imponenti dal crollo dell’impero sovietico. Putin era appena diventato presidente della Federazione russa (maggio 2000) e aveva ordinato quelle esercitazioni per dimostrare al mondo che, nonostante gli anni di disfacimento successivi alla fine dell’URSS, il suo Paese era ancora una grande potenza.

Fiore all’occhiello dell’esercitazione il sottomarino nucleare K-141 Kursk, che doveva esibirsi nel lancio di missili di nuova generazione in grado di montare testate atomiche. Alle 11.28, subito dopo il lancio della prima salva di siluri, un’esplosione ne scuote lo scafo seguita da un’altra, più potente, che lo fa affondare.

Il resto della storia è noto. Nonostante le acque relativamente basse, le ripetute spedizioni di soccorso russe che potevano forse salvare i pochi sopravvissuti falliscono. Finché, alla fine, Mosca dà il placet a una spedizione di soccorso britannico-norvegese che riesce, ma trova solo cadaveri.

Inutile dire che Putin sperava di salvare il salvabile: portare in salvo i sopravvissuti, nonostante il disastro, avrebbe dato un’immagine di resilienza che gli fu negata. Una tragedia navale, ma anche geopolitica: insieme al Kursk affondavano anche le speranze di rilanciare le sorti della sua nazione.

Sulle cause del disastro tre tesi. La prima è un incidente dovuto all’esplosione dei missili del sommergibile. La seconda narra di un disastro provocato da un incidente con due sottomarini americani che sorvegliavano l’esercitazione. Il più piccolo, il Toledo, che pedinava da presso il Kursk, lo avrebbe colpito inavvertitamente, ma senza provocare danni.

Il secondo, il Memphis, avrebbe coperto il natante amico lanciando i suoi siluri contro il Kursk prima che questi colpisse il Toledo, individuato come natante ostile. I siluri del Toledo avrebbero colpito un punto dove erano stipati i missili del Kursk innescando una reazione a catena. La terza opzione è l’affondamento volontario da parte degli americani.

L’unica ipotesi che spiega quanto rilevato dal recupero del sommergibile è la terza, dal momento che la sua fiancata mostra un foro circolare i cui bordi sono rivolti verso l’interno. Ma Putin era debole allora, il suo esercito ancora pesantemente corrotto dall’era Eltsin, prono all’Occidente. E si voleva evitare la terza guerra mondiale. Da qui la decisione, concordata con gli antagonisti globali, di chiudere tutto con la pietra tombale dell’incidente.

Un incidente, però, che ebbe conseguenze nefaste e di lunga durata sulla presidenza Putin, che non solo vide affondare i suoi sogni di gloria, ma venne inseguito dalle accuse di incompetenza a motivo dei ripetuti insuccessi delle spedizioni di soccorso e per la morte dei marinai.

L’invasione di Kursk

Così veniamo al presente e a un’altra Kursk, stavolta non sottomarino, ma regione russa. L’invasione ucraina fu un duro colpo per lo zar: mediatico, certo, date le criticità che poneva all’esercito di Kiev, dal momento che privava di forze il fronte del Donbass, sia in termini quantitativi che qualitativi, avendo usato per l’offensiva in territorio russo i mezzi più efficaci e le truppe più esperte, sottratte altrove.

Ma ciò non toglie che fu un vulnus per lo zar, dal momento che era il primo presidente russo a subire un’invasione straniera dai tempi della seconda guerra mondiale. Peraltro, un’invasione causata da una sua decisione, quella di invadere l’Ucraina.

L’offensiva avrebbe così potuto appannare l’immagine dello zar, suscitare malcontento diffuso in Russia, far deragliare le sorti di una guerra che fino a quel momento sembravano arridere a Mosca.

Poteva anche, come speravano i suoi nemici, alienargli alleati, che avrebbero potuto abbandonare la nave che stava apparentemente affondando. Si poteva cioè ripetere, in altra forma, quanto avvenne per l’affondamento del Kursk, almeno agli occhi degli strateghi occidentali, il cui distacco dalla realtà è comprovato.

Buon incassatore, Putin è riuscito a gestire il malcontento interno e a rendere inefficaci le narrazioni esterne. E la controffensiva che ha riportato alla Russia quasi tutto il territorio di Kursk gli ha consegnato una vittoria duplice, sul campo e nello spazio mediatico, quest’ultimo normalmente appannaggio dei suoi antagonisti.

Non si vuole esaltare lo zar, solo evidenziare l’eterogenesi dei fini dell’offensiva Nato-ucraina di Kursk: pensata come mossa per rovesciare le sorti della guerra, ha sortito l’effetto opposto. Simbolicamente, la controffensiva russa di Kursk, che potrebbe peraltro chiudere la guerra, riscatta l’affondamento del sottomarino. Il rilancio della potenza globale russa, allora non possibile, è ora nei fatti.

 Piccole Note

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