Da qui incomincia la novella Storia

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Da qui incomincia la novella Storia


Riceviamo e con grande piacere ripubblichiamo


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di Marco Bonsanto*

Senza superare ciò che ossimoricamente viene definita “cultura dell’Informazione”, a base di immagini, slogan comunicativi, pillole news, consigli per gli acquisti e fact-checking, non si può comprendere ciò che il giuramento di Donald Trump a 47° Presidente degli Stati Uniti rappresenta per chi, invece, si sforza di leggere in maniera storica gli eventi del nostro tempo. Il 20 gennaio 2025 sarà ricordato infatti come la fine del globalismo, vale a dire del più vasto e profondo tentativo di colonizzazione del mondo, intrapreso da alcune grandi corporation atlantiche sotto il manto ideologico dell’interconnessione dei popoli.

Alla prima, rapinosa forzatura del quadro geopolitico postsovietico, operata dagli ambienti neoconservatori americani con la cd. “guerra al terrorismo islamico”, si è andata infatti affiancando e sostituendo la più lenta ma organizzata presa del potere dei progressisti hightech riuniti nel World Economic Forum di Davos. Quest’ultimo ha nei Democratici americani e nei partiti europeisti nostrani i suoi diretti referenti politici, e nel Deep State americano il suo pandant operativo. Conosciamo tutti i principali nomi di questi “filantropi”: Gates, Bezos, Zuckerberg, Page, Musk, i CEO della Farmaceutica, dell’Alimentare, dell’ingegneria genetica, e i finanzieri che tengono le redini delle dieci banche che contano nel mondo.

Si tratta di un consesso di aziende (transnazionali, ma con baricentro nella Silicon Valley) portatrici di una nuova forma di capitalismo, altamente tecnologico, non più produttivo ma estrattivo, che fa della vita umana, del suo stato biologico e di salute, del suo ambiente, della sua alimentazione, della sua comunicazione e organizzazione, la fonte primaria del proprio profitto. Un capitalismo che si accompagna ad una nuova visione ideologica dell’umanità, il transumanismo divulgato da Harari, il cui manifesto politico è costituito dal Grande Reset di Klaus Schwab e la cui traduzione operativa per i governi locali è l’Agenda 2030. Fanno parte di questa articolata proposta (non è una cospirazione: è alla luce del sole) le ideologie green, transgender, woke, la transizione digitale, la medicina preventiva (non solo vaccinista), l’ibridazione uomo-macchina, la tecnologizzazione dell’alimentazione, la necrocultura dei trapianti, dei suicidi assistiti, della confusione sessuale, dell’infertilità, del riutilizzo dei feti, della psichiatrizzazione dell’infanzia, e tutte le altre “conquiste” democratiche sponsorizzate dai grandi Fondi d’investimento dei benefattori Soros, Rockfeller e Fink.

Nella cornice della deregolamentazione neoliberista dei mercati internazionali, queste aziende si sono rese protagoniste in pochi lustri della creazione di uno stabile blocco oligarchico a trazione tecnocapitalista, divenuto egemonico grazie al controllo del sistema dell’Informazione occidentale, delle istituzioni sovranazionali d’indirizzo (FMI, ONU, OMS, UE), e dei governi delle democrazie atlantiste – referenti operativi ultimi delle loro politiche. L’inedita scala del loro potere corruttivo, accompagnata ad una continua propaganda catastrofista, e a forme di governance emergenziale e illiberale, ha permesso infatti a queste corporation di imporre i propri brevetti d’avanguardia alle agende di molti paesi, sbandierando nello stesso tempo la fede nella “open society”, nel superiore diritto dei “competenti”, e nella democratica unità di tutti i popoli.

Oltre a comportare una profonda alterazione delle economie dei vari continenti e il crescente discredito degli organismi internazionali presso l’opinione pubblica mondiale, questa egemonia ha  avuto anche profonde ripercussioni interne ai vari Stati, pur potenti come gli Usa, le cui istituzioni sono state infiltrate e distorte, e i cui interessi nazionali sono stati piegati a vantaggio di queste nuove compagnie di ventura. Le conseguenze per i cittadini sono state le stesse provocate dal colonialismo occidentale novecentesco sul Terzo mondo: vertiginoso impoverimento, estrema precarizzazione lavorativa, crollo demografico, contrazione dei diritti e delle libertà costituzionali, attacco allo Stato di diritto.

Ma anche il vecchio capitalismo di produzione – demonizzato per anni come obsoleto e nocivo –  ha subito gravissimi danni dai globalisti. Esso costituisce infatti il loro principale concorrente interno nell’accaparramento delle risorse nazionali e statali. Fin dagli esordi del suo impegno politico, Trump si è caratterizzato come il rappresentante di questo tipo di impresa più tradizionale (energetica, manufatturiera, dello spettacolo, ecc.), i cui interessi, pur intrecciati a livello internazionale, insistono da sempre prevalentemente sul territorio nazionale. Non si comprende la sua figura e il successo politico ottenuto, se lo si relega allo stereotipo dell’outsider populista, o più grottescamente del folle totalitario dipinto dai media di sistema. Egli rappresenta invece un compatto blocco di potere economico trasversale ai vari paesi, ai partiti politici, e persino alle classi sociali, che ne ha finanziato generosamente e sostenuto ideologicamente per due volte la corsa al potere, perché gravemente leso nei propri interessi dallo strapotere conseguito dai globalisti.

Falsificata dal monopolio dei brevetti hightech, dalla conclamata inadeguatezza giuridica degli accordi internazionali, dalla corruzione degli organismi sovranazionali – la competizione globalista si è trasformata rapidamente in una vera e propria guerra economica contro il resto del mondo, che ha portato molti paesi a riunirsi in un contro-ideale di cooperazione mondiale (i Brics). È in questo quadro che vanno intesi gli accordi strategici di resistenza tra partiti, aziende private e singoli gruppi di potere, di differenti paesi, che in questi ultimi anni sono stati demonizzati dai media di regime con lo spregiativo di “sovranismo”; oppure i pochi tentativi squisitamente politici di riaffermazione del mandato popolare contro i nuovi oligarchi, denigrati col nome di “populismo”, di cui il Movimento 5 Stelle è stato il miglior esempio, prima che venisse sconfitto e comprato dai propri nemici.

Lo sforzo intrapreso dalle Bigtech nella competizione globale con gli omologhi asiatici, pur col vantaggio che si è detto, non è stato però senza danno; perché il sistema economico da esse creato, ad un certo punto ha rischiato di affogare nella voragine dell’enorme indebitamento col quale l’hanno dovuto alimentare, e nel quale hanno trascinato se stesse e le nazioni occidentali, soprattutto europee. È stato allora, alla fine del 2019, che si è resa indispensabile la resa dei conti con i concorrenti interni, cioè col vecchio capitalismo rappresentato dalla cordata Trump, la cui presenza sul mercato non era più conciliabile con l’interesse dei globalisti provato dalla competizione al vertice.

La Pandemia da Covid non è stata altro che un’operazione politico-militare interna ai paesi NATO (un Colpo di Stato, si sarebbe detto una volta), la cui finalità ultima era il Grande Reset annunciato da Schwab a Davos nel 2020. Cioè una militarizzazione soft del mondo occidentale che permettesse, insieme al crollo dell’economia produttiva e al recupero delle risorse pubbliche impegnate per sostenerla, la transizione veloce e senza resistenze ad un’altra forma di governance politica, meno democratica e più funzionale al globalismo finanziario digitale, le cui ricette tecnologiche sono state prontamente implementate negli Stati. In Europa, questa “Nuova normalità”, cui hanno alacremente collaborato capi di Stato e di governo, papi, partiti politici, istituzioni nazionali ed europee, è stata fatta pagare col cosiddetto PNRR agli stessi cittadini defraudati della sovranità repubblicana!

I cinque anni di delirio di potenza seguiti all’annuncio della Pandemia, sono stati i peggiori che i diritti e le libertà occidentali abbiano mai conosciuto dal 1945 in poi. Politiche folli e insindacabili relative alla proprietà e all’uso delle case, delle auto, del proprio corpo, del cibo, dell’acqua, delle fonti energetiche, del proprio sesso, dei propri figli, sono state imposte attraverso diktat europei emanazioni di questa nuova oligarchia. Il tutto condito da una propaganda continua, coordinata e concentrica, che ha raggiunto vertici ineguagliati dai più feroci totalitarismi del Novecento, tesa a convincere i popoli che non potevano desiderare di meglio che identificare i propri interessi legittimi con quelli, illegittimi, dei loro nuovi padroni. I soprusi subiti in questi anni dai cittadini dissenzienti hanno superato spesso ogni Stato di diritto, con il silenzio complice della magistratura e la compiacenza criminale dei vertici politici.

Si trattò dell’azzardo piratesco di chi scommette il tutto per tutto per conseguire il massimo vantaggio. Ma qualcosa andò storto. La controparte resistette e si riorganizzò. Nei singoli paesi il consenso nazionale alle istituzioni si spaccò, molti cittadini protestarono e sabotarono le restrizioni Covid; alcuni partiti politici, vecchi e nuovi, si intestarono queste proteste creando alleanze con i loro omologhi stranieri; tra le poche aziende tradizionali sopravvissute allo tsunami, le maggiori intensificarono i legami transnazionali per non soccombere, sfruttando in ciò la stessa globalizzazione che le minacciava; i paesi Brics aumentarono di numero, ampliarono e accelerarono i loro patti cooperativi fino a costituirsi in contro-altare dell’ONU, ormai screditata; stritolata tra Usa, UE e una Cina tentata in un primo momento di sganciarsi e approfittare, alla Russia non restò altra strada che trasformare la guerra sporca batteriologica della NATO in guerra tradizionale sul campo.

Fu soprattutto quest’ultima carta a scompaginare e arrestare il gioco avversario. Il terrore della Pandemia venne subitaneamente archiviato; l’UE gettò definitivamente la maschera dei suoi ideali mostrandosi per quello che è, una gabbia tecnocratica al servizio degli interessi globalisti; il Deep State americano a trazione Dem guidò l’offensiva atlantista nel vecchio sogno di spaccare la Federazione Russa per approfittare delle sue riserve energetiche. Il merito di aver fermato e fatto fallire l’iniziativa globalista va riconosciuto per la sua gran parte soltanto al genio politico, strategico e diplomatico di Putin. Egli non si è limitato al rischio militare di sostenere da solo una guerra contro l’intero Occidente, ma grazie alla propria leadership ha saputo coordinare e rendere coesi gli interessi dei paesi Brics, elaborando una cornice ideologica alternativa al globalismo, il multipolarismo. La resistenza non senza sacrificio e umane tragedie, della Russia, ha sgretolato le velleità dei governi occidentali precipitatisi sventatamente in una guerra per procura senza motivazione e senza il supporto dei propri cittadini. Ciò ha ridato fiato e progressivamente rafforzato nei paesi occidentali la parte minacciata ma non soccombente, che negli Usa è guidata da Trump.

Se non si recupera un minimo di senso storico intorno a queste vicende, non si può comprendere quello che oggi accade sotto i nostri occhi con l’insediamento del Tycoon alla Casa Bianca: il crollo in diretta di un vero e proprio regime totalitario di stampo orwelliano, perché maliziosamente eretto sul capovolgimento del senso comune rispetto alla percezione della vita. Anche Trump ha pagato direttamente e duramente la propria opposizione a Davos e alle sue folli ideologie durante il suo primo mandato presidenziale, con processi-farsa imbastiti dall’FBI, ridicoli impeachment intentatigli dai Dem, pubbliche censure dai social, la costante demonizzazione sui media. È anche per questi motivi che Trump, come Putin, costituisce una personalità in grado di polarizzare l’opinione pubblica mondiale, e di farsi portatore di speranze che oltrepassano i confini del suo proprio interesse personale e di quello della sua stessa nazione. A ciò si aggiungano la sua personale grinta e la sanguigna comunicativa, che certamente spiccano in un mondo occidentale da anni narcotizzato dagli asettici discorsi simil-scientifici senza contraddittorio dei diafani guru del futuro tecnologico. La retorica elettorale della “Nuova guerra civile americana”, non è poi tanto pretestuosa come potrebbe apparire di primo acchito al cittadino europeo medio, che in questi anni si è disinformato unicamente al sistema dei media finanziato dai propri governi e dalla Commissione europea.

Che la battaglia di Trump sia autentica ce lo dimostra non solo il rischio mortale che egli ha corso in campagna elettorale con gli attentati subiti, ma alcuni inequivocabili fatti seguiti già alla sua sola elezione. Per le profonde ripercussioni politiche ed economiche che avranno, essi non possono essere intesi come mere operazioni di facciata dei suoi avversari, ma costituiscono vere e proprie capitolazioni e riposizionamenti strategici.

Anzitutto, va registrata l’immediata caduta di quei governi che sono stati tra i più fedeli e obbedienti esecutori dell’agenda di Davos nel sistema occidentale: tedesco, francese, canadese, austriaco e sudcoreano. Governi che hanno profuso tutte le loro energie nel drenare denaro pubblico e privato a vantaggio dei “filantropi” e delle loro aziende, e che per poco non hanno trascinato il mondo nella Terza e ultima guerra mondiale. Si aggiunga, a questo risultato, il forte indebolimento del governo europeo della von der Leyen, il più bellicista e disinvoltamente antidemocratico che l’UE abbia mai esibito. Direttamente dal suo pulpito di Davos, quasi ci fosse bisogno di specificare a nome di chi ella parla e opera, oggi la presidente della Commissione europea ha chiesto a Trump di “negoziare”. Segno che la “montagna incantata” sta avendo in queste ore un brusco risveglio al principio di realtà...

In secondo luogo, la pubblica e clamorosa ammenda dei colossi social (come Meta) per l’impegno profuso a favore dell’Agenda Davos, nel controllo, nella censura (fact-checking) e nella manipolazione dell’opinione pubblica in questi ultimi anni. È il ripristino di un minimo di libertà di parola dopo anni di feroce censura del dissenso. Qui va dato merito a Elon Musk di aver costituito la chiave di volta nella battaglia di Trump contro i suoi avversari. Comprando Twitter, denunciandone il precedente asservimento al governo Biden, ridando voce pubblica a Trump, Musk ha spezzato il fronte ostile dei media di sistema. Ciò ha fatto definitivamente crollare la credibilità della cosiddetta “cultura della competenza”, giornalistica o politica che sia, permettendo a Trump di vincere la competizione elettorale nonostante la disparità evidente dei mezzi di comunicazione in campo. Da qui il posto di rilievo ottenuto da Musk nel governo, che ovviamente è funzionale agli interessi delle sue aziende.

In terzo luogo, l’annuncio del ritiro dal Green Deal da parte dei colossi finanziari d’indirizzo (BlackRock e altri). Vale a dire la smobilitazione della farsa ideologica sul cambiamento climatico, messa in piedi negli anni per operare la sostituzione di tecnologie inquinanti con altre ugualmente inquinanti ma di proprietà semi-monopolistica. Si spera così che anche Greta Thumberg vada in pensione anticipata.

In quarto luogo, l’annuncio dell’abbandono delle ideologie dell’inclusione (woke e transgender) da parte dei colossi dell’intrattenimento (Disney, Amazon, McDonald) e non solo (Ford, Harley-Davidson). È la fine di un’aberrazione che era andata ogni oltre limite del politicamente corretto, con programmi (anche scolastici) miranti a confondere i giovani, facendo perdere loro la percezione del proprio sesso e rendendoli vittime delle tecnologie per cambiarlo. Una “cultura” che ha preteso gli assorbenti nei bagni degli uomini, la riscrittura dei classici della letteratura e del cinema, ridicole perifrasi come “persone che partoriscono” per le madri negli ospedali e in altri luoghi pubblici.

In quinto luogo, il crollo in borsa dei colossi farmaceutici che si sono distinti come i diretti beneficiari economici della più grande farsa sanitaria di sempre, la Pandemia da Covid; in realtà una PSYOP a sfondo batteriologico, studiata a tavolino nel solco della collaudata “strategia della tensione” a marchio NATO. Lo scempio giuridico della “grazia preventiva” di Biden a Antony Fauci, dice tutto.

Basterebbero solo questi risultati per fare della seconda presidenza Trump qualcosa di già memorabile. E invece, contro ogni aspettativa, visti i suoi precedenti legami col mondo israeliano, a lui si deve anche il brusco ridimensionamento dei deliri criminali di Netanyahu e l’imposizione della tregua a Gaza. È un risultato di eccezionale valore umanitario conseguito in una sola settimana, che Biden è stato invece incapace di ottenere in oltre un anno, ammesso e non concesso che l’abbia effettivamente cercato con i continui invii di armi e denaro al governo israeliano. Si spera ora che Trump metta fine alla guerra in Ucraina, dando alla Russia le garanzie di cui è stata defraudata dai precedenti governi statunitensi.

Trump ha promesso molte cose in campagna elettorale. Tra le altre, l’uscita da una OMS ormai privatizzata, l’uscita dagli accordi sul Climate Change, lo smantellamento del Deep State americano (affidato a Musk), la restaurazione della Giustizia, il ripristino della libertà di parola tramite ridimensionamento delle aziende social e l’abolizione dei finanziamenti pubblicitari farmaceutici ai media, la bonifica dell’FDA dagli interessi delle lobby farmaceutiche e alimentari, la pubblicazione dei dossier sui Kennedy e King. Ce n’è abbastanza per un altro attentato!

Ma è chiaro che la prova del nove sarà nei rapporti che deciderà di avere con Davos e l’ormai screditata UE. Non ci meraviglieremmo se Trump a nemico che fugge facesse ponti d’oro. Del resto, le nuove tecnologie servono anche al vecchio capitalismo, specie quella che ne è ormai il punto di fuga irrinunciabile, l’AI.

In ogni caso, da questo drastico riequilibrio del potere tra giganti non potrà che conseguire – per mera convenienza reciproca, ovviamente, e non per bontà intrinseca o etica premura – un rallentamento dell’involuzione illiberale dei regimi occidentali, stabilmente posizionati ormai oltre la democrazia. Sembrerà poco ma è un risultato fino a ieri semplicemente insperato, che ai cittadini non rassegnati a farsi sudditi offre l’occasione unica di rimettere in moto l’elaborazione delle idee politiche. Forse l’ultima. Ma qui il piano degli interessi contingenti e della Storia deve arrestarsi per cedere il campo a quello del pensiero e della Filosofia.

*Insegnante di Storia e Filosofia

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