Dall’austerity alla miseria: 15 mesi di caduta libera nell’era Milei in Argentina
Lavoratori in ginocchio, prezzi alle stelle: il circolo vizioso di un’economia progettata per arricchire i creditori, non i cittadini
L’economia argentina naviga in acque tempestose sotto la presidenza di Javier Milei, diventando un caso di studio emblematico degli effetti distruttivi di un neoliberismo dogmatico e slegato dalla realtà. I dati sul consumo interno, riportati dal quotidiano Pagina|12, dipingono un quadro drammatico: 15 mesi consecutivi di caduta libera delle vendite, con un calo del 5,4% su base annua a marzo 2024. Un tracollo senza precedenti, persino peggiore dei periodi più duri del governo Macri, che segna il totale fallimento delle politiche economiche di Milei.
Il crollo dei consumi, misurato da Scentia su dati aggiornati a ticket di vendita, riflette l’impoverimento accelerato della popolazione. Ipermercati (-7,1%) e piccoli negozi di quartiere (-3,7%) sono deserti: la gente non ha più liquidità per acquisti essenziali. Settori come le bevande alcoliche (-18%) o la pulizia della casa (-2%) rivelano una società costretta a rinunciare ai beni non strettamente necessari. La retorica della “libertà economica” si scontra con una realtà in cui i salari, negoziati al ribasso su pressione governativa, non coprono più i prezzi dei generi alimentari, già schizzati dopo la svalutazione del 2023 imposta dal Fondo Monetario Internazionale.
Milei ha cercato di mascherare il disastro con una mossa degna di un manuale di manipolazione statistica: modificare la formula di calcolo dell’inflazione, riducendo artificiosamente il peso degli alimenti (in picchiata al rialzo) a favore dei servizi (meno dinamici). Una truffa politica, non una soluzione economica.
Il governo ha festeggiato la rimozione del “cepo cambiario” (controllo cambiario), condizione posta dal FMI per accedere a prestiti miliardari. Ma a quale prezzo? Le riserve della Banca Centrale argentina, gonfiate artificialmente da un +50% grazie ai primi fondi FMI, nascondono una trappola: l’accordo vincola il Paese fino al 2029, con ulteriori tranche di debito (3.000 milioni nel 2024 e 5.000 milioni fino al 2029) subordinati al rispetto di tagli fiscali suicidi. Intanto, settori chiave come l’edilizia e l’automotive registrano aumenti di prezzi a doppia cifra, mentre il potere d’acquisto dei cittadini evapora.
L'ex presidente Cristina Fernández de Kirchner ha colto nel segno definendo queste politiche una “estafa” (truffa): un déjà-vu dei fallimenti storici, dal “blindaje” di De la Rúa (2001) alle ricette del FMI che hanno sempre aggravato le crisi. Milei ripropone lo stesso copione: svalutazione, inflazione importata, contrazione della domanda interna e dipendenza da creditori esteri. Un circolo vizioso che trasforma il debito in una camicia di forza, strangolando qualsiasi prospettiva di crescita.
Ay Milei!.. Disculpame que te escupa el asado en la previa de Semana Santa…
— Cristina Kirchner (@CFKArgentina) April 16, 2025
¿Pero ME QUERÉS DECIR QUE FESTEJABAS VOS Y EL TOTO CAPUTO sacándose fotos y saltando como chicos en cumpleaños?
PORQUE SI ES POR EL PRÉSTAMO DEL FONDO, junto al del Banco Mundial y el BID, te quiero…
La narrativa di Milei, centrata sull’equilibrio fiscale a scapito del benessere sociale - proprio come accade in Europa - ignora volutamente che la recessione autoinflitta è il vero motore del deficit. Senza consumi, senza produzione, senza domanda, l’economia si contrae, riducendo il gettito fiscale e rendendo insostenibile qualsiasi aggiustamento contabile. Il risultato? Un Paese in cui i poveri superano il 50% della popolazione, l’industria locale soffoca e l’unico “successo” è l’approvazione di istituzioni finanziarie internazionali complici della devastazione.
Il neoliberismo fuori tempo massimo di Milei non è solo fallimentare: è criminale. Prometteva libertà e ha consegnato povertà; vantava stabilità e ha scatenato caos inflazionistico; celebrava il libero mercato mentre svendeva il Paese al FMI. L’Argentina, ancora una volta, dimostra che il fanatismo neoliberista - con il suo odio per lo Stato, il suo culto dell’austerity e la sua subordinazione alla finanza globale - non è una politica economica, ma un atto di violenza sociale.