Dall’Umiltà Cosmica alla Ricchezza del Niente
PUBBLICHIAMO L'INTRODUZIONE DI GIULIA BERTOTTO AL TESTO "LOGICA DIALETTICA E L'ESSERE DEL NULLA" (DISPONIBILE IN VERSIONE EBOOK QUI)
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Di Giulia Bertotto
Dall’Umiltà Cosmica alla Ricchezza del Niente
Ama la vita più della sua logica, solo allora ne capirai il senso
Dostoevskij
“Logica dialettica e l’essere del nulla” di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli è un piccolo libricino immenso, un opuscolo di apparenti paradossi al limite del pensiero umano: un breve trattato di fisica spirituale e di logica poetica che attraversa con disinvoltura le ere. Ma superiamo subito la catastrofe dell’ossigeno, apocalisse anaerobica che fece la fortuna del bipede ingrato -come Dostoevskij chiama l’umano[1]- e veniamo a noi.
IL PRINCIPIO DELL’IDENTITÀ: SOLO UNA DELLE VERITÀ
L’ultimo progresso della ragione è di riconoscere che c’è un’infinità di cose che la sorpassano; essa non è che debole cosa, se non giunge fino a conoscere questo. Ma, se le cose naturali la sorpassano, che dire di quelle naturali?
Pascal
I tre autori osservano il principio aristotelico dell’identità “A=A” ed esso, come fanno le particelle subatomiche alla presenza di un guardone della fisica nucleare, cosa fa? Si sdoppia[2]. Diventa vero e falso allo stesso tempo.
Lo osservano, ma non per demolirlo, piuttosto per ridimensionarlo: esso è infatti funzionale alla vita pratica, necessario ad accordare un appuntamento e ad avere relazioni nella dimensione non subatomica, ma la convergenza tra scoperte scientifiche della fisica dei quanti e insegnamenti di sapienze antiche non ci permettono più di usare questo principio se non come una convenzione, allo stesso modo in cui ci riferiamo all’orologio per stabilire un orario ma senza pensare che le lancette siano il tempo.
Del genio di Aristotele i tre cosmonauti ereditano la Meraviglia[3] e in un rimando continuo tra reale e potenziale, ente e possibilità, materia ordinaria e materia ed energia oscura, il trio ci rimbalza tra atomi e galassie: ogni quark cambia continuamente restando se stesso, nessuno sulla Terra che gira si trova mai allo stesso posto anche se si trova sempre sullo stesso divano, la neuroplasticità -quindi il continuo modificarsi delle sinapsi e del cervello ad ogni nuova esperienza-dimostra che anche l’universo dei nostri modelli condivisi muta senza interruzioni. Il polmone si contrae e distende ad ogni respiro, i neuroni del verme Caenorhabditis elegans si attivano allo stimolo di sostanze chimiche, radiazioni termiche sbuffano dai buchi neri, nei nostri intestini proliferano colonie batteriche da trilioni di creaturine che aiutano la nostra digestione in una convivenza sotto il segno di un mutuo scambio; sono uno o siamo tanti?
E quelle foreste popolate da milioni di alberi i quali sono però figli genetici di un unico DNA? La più grande si chiama Pando, nota anche come Trembling Giant, «gigante tremulo», un bosco negli Stati Uniti d'America, costituito da un unico genet maschile di pioppo tremulo americano. Il molteplice è nell’unità, e l’unità è lo spirito del molteplice.
Il processo di fotosintesi svolto incessantemente dalle piante è il respiro della Terra, che costantemente la rende la stessa, che costantemente la rende diversa. Foresta come particella, particella come foresta. “Come sopra così sotto”, se la spiritualità intravede, se la magia indovina, se la scienza permette. Ciascuno poi è anche anche uguale e diverso dai propri genitori. Un figlio è sempre simile e dissimile a coloro che lo hanno dato al mondo; lo è nel codice genetico, nella morfologia del corpo, nella fisiologia dell'organismo, nella memoria emotiva. Ognuno ha i propri unici nodi psichici ma li coniuga ereditando anche quelli della madre e del padre. La dialettica delle generazioni la vediamo così agire anche nei traumi; gli stessi e diversi.
Cosa diceva Eraclito proprio del corso d’acqua dei fenomeni? Che non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume. Oggi sappiamo che quel fiume è un fiume e al contempo non è un fiume. Un fiume particella e un fiume onda, un fiume in consistenza ontologica, un fiume in dissolvenza ontologica.
Il tempo è relativo anche alle altitudini, lo spazio è una tela vellutata che si plasma con i corpi, l’inconscio stesso non lo dominiamo, certo a farci i conti fa spavento.
Il principio dell’identità è dunque falso? No, ma non coglie che una faccia del vero. Lo rendiamo falso se ne facciamo un vitello d’oro, un falso idolo, se lo eleviamo a categoria cognitiva assoluta, a dogma della comprensione dell’esistente.
Ogni particella subatomica ha natura ondulatoria e corpuscolare, la rotazione terrestre fa sì che ognuno di noi sia al contempo qui e altrove; il cosmo stesso è un ente reale e un ente probabilistico senza che fra le due affermazioni vi sia alcuna contraddizione[4]: “Cos’è dunque il reale, in senso filosofico e sotto questo profilo? Un ente generale sdoppiato, scisso e diviso dialetticamente in due grandi diversi sottoinsiemi, separati e distinti, seppur collegati tra loro e capaci di trasformarsi l’uno nell’altro: il reale e il possibile” scrivono i nostri tre moschettieri dell’universo. L’archetipo del Cristo, al contempo corpo nella storia ed eterno fuori dal secolo, non incarna questo Mistero? Dio è Uno e Trino, è Uno fuori dalla catena di causa ed effetto del samsara ed è Uno, nel distacco inaccessibile del Nirvana, senza che vi sia alcuno scandalo[5].
Mentre io scrivo e tu leggi, l’universo diventa sempre più grande, si espande e si disordina: istante dopo istante[6] ogni cosiddetto organico e inorganico, dal più piccolo al più grande, è se stesso e altro da se stesso. Tutto obbedisce alla logica dialettica di A=A e simultaneamente A= NON A. È la poesia del mondo, è l’ironia del cosmo.
A proposito, siamo certi di quel confine tra organico e inorganico? Il mio cadavere verrà mangiato da insetti che lo trasformeranno (anche) in sali minerali, i quali andranno a densificarsi in rocce inorganiche ma anche a nutrire il prato che verrà mangiato da un cervo. Solve et coagula recita il principio principe dell’antica alchimia.
Non ci sono confini ontologici tra ciò che è grande e ciò che è piccolo, tra ciò che è ieri e ciò che è domani, tra ciò che è vivente e non vivente: un cosmo morto non si sarebbe mai manifestato. Un’unica essenza ontologica, la Vita, anima i sedicenti inanimati e animati. Le scoperte della scienza ci riconducono ad un nuovo animismo, ontologico, non superstizioso. La via della conoscenza e la via del mistero sono anch’esse due facce della logica dialettica.
IL REALE È DUALE, LA REALTA’ È UNA
“La logica della continuità-trasformazione simultanea, che in embrione venne individuata già durante la prima fase di sviluppo del taoismo cinese, si rivela dunque simultaneamente sia una logica di cristallizzazione (A = A) che una logica di fluidificazione di identità, proprio perché A è anche non-A, è simultaneamente anche non-A. Quindi la logica dialettica sintetizza, a un livello più alto, sia la plurimillenaria logica aristotelica dell’A = A che l’opposta e ipernichilista logica di una parte del buddismo, enucleata e sviluppata in modo particolare da Nagarjuna, monaco e filosofo indiano del terzo secolo d.C.: quest’ultimo sostenne infatti, in base alla dottrina della sunj?t?, che l’ente non è alcunché e si rivela vuoto, ossia una vacuità universale su cui non si può dire e rivelare niente. Come fece del resto, due secoli prima, il filosofo siceliota Gorgia, secondo cui “nulla è” e, “se anche fosse, non sarebbe conoscibile”.
Il reale è cristallizzato in particella e fluido in onda, è duale; il pensiero non può che essere dialettico, l’esistenza è un turbine schizofrenico. Ma perfino tale dualità è illusoria, apparenza della Maya, L?l? in sanscrito, simulazione e gioco del divino. Nell’iconografia del pantheon induista il dio Ganesa viene rappresentato da un elefante con una sola zanna poiché ha superato ogni dualismo.
I dualismi -ontologici, gnoseologici, morali- sono la faccia catafatica dell’esistenza, nel linguaggio teologico occidentale; il volto apofatico è Uno.
Anche il Simbolo è Onda e Particella
Mosè avverte che chi vedrà il suo volto morirà[7]; non è un’austera minaccia, ma una metafora dell’inconoscibilità del Divino. Solo scavalcando la dimensione del corpo, delle illusioni dei sensi, possiamo forse giungere a quello stato in cui saremo “Tutto in tutti”[8] o in cui “Mosca e angelo non si distinguono più”[9]. Il volto invisibile di Mosè è il simbolo del mistero inarrivabile e non visibile con gli occhi del corpo.
Nell’opera di Burgio, Leoni e Sidoli, viene citata anche la doppia natura del simbolo: esso è proprio il simbolo (!) dello stato simultaneo e dialettico di ogni ente. L’iconoclastia vieta di raffigurare il Divino, di dargli un simbolo. Per un qualche disgusto per le illustrazioni e odio per la fantasia artistica? No, o almeno non nel suo significato più nascosto. Bensì il divieto delle immagini poggia sulla consapevolezza che il divino è inafferrabile, nessuna immagine può catturare l’Infinito senza offendere la sua inaccessibilità metafisica. Così, per aggirare questa impossibilità ontologica, per accorciare questa distanza irrecuperabile tra creatura e Creatore, lo pseudo-Dionigi[10] affermava che fosse meglio paragonare il divino a un simbolo privo di presunzione iconografica, un umile verme, una “figura del dissimile” -la quale immagine certo non ambisce a restituire la magnificenza eterna- che ad una figura (che si crede) simile, come un fiero leone[11]. La natura con la sua logica dialettica non è allora il simbolo di questo Indicibile?[12]
Dall’Umiltà cosmica alla ricchezza del nulla
Percepire la parte di irrealtà in ogni cosa, segno inconfondibile che si sta avanzando verso la verità…
- Cioran
Quando Leopardi nello Zibaldone afferma che “tutto è nulla, solido nulla” o quando l’Ecclesiaste biblico tuona “Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità, tutto è vanità. Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno per cui fatica sotto il sole?”, e ancora il principio della vacuità nel buddhismo, stanno esprimendo la stessa scoperta dell’inconsistenza ontologica dei fenomeni.
La quale, attenzione, non significa che nessun ente esiste ma che nessun ente esiste davvero. Che nessun ente esiste slegato dagli altri, perché è solo il Legame ad esistere.
Ogni cosa è un ponte da attraversare con gli occhi che strabuzzano di commozione, nessuna è un edificio da abitare, altrimenti è attaccamento.
Paolo di Tarso raccomandava infatti di avere moglie, di gioire e di soffrire ma come se non si avesse sposa, di piangere o ridere come se non fosse[13]. Il filosofo rumeno Cioran scrive: “Il mondo non ha maggiore consistenza dell’episodio di un sorriso”[14].
Forse per questo il termine persona significa anche maschera[15]: l’identità è identica e diversa da se stessa, corrisponde a sé e si distingue da sé. Con la nuova fisica saltano le categorie logiche e si affermano le immortali intuizioni mistiche.
I tre moschettieri si tolgono l’armatura del principio di non contraddizione per vestire l’“umiltà cosmica” che serve a smontare il principio aristotelico dell’identità e meravigliarsi dell’inganno dell’apparenza, del miracolo del tutto che esplode, del niente -o tutto?- che sottende.
Un po’ come nella dottrina della dotta ignoranza di Nicola Cusano, che grazie ad essa approda (o si perde) nella coincidenza degli opposti: l’apice della logica la supera, arrivando al sentire estatico. Qui scopriamo gli scritti del teologo del Cinquecento essere per certi versi affini alle riflessioni del rivoluzionario Lenin!
“Logica dialettica e l’essere del nulla” ci offre in un testo denso e rigoroso ma spumeggiante, le ultime scoperte della fisica, le strabilianti osservazioni dell’astronomia, le estasi senza tempo.
Daniele, Massimo e Roberto ci spediscono una lettera di invito: quello di svuotare il rassicurante pregiudizio che i fenomeni del divenire abbiano in se stessi una stabilità ontologica[16], ma non per approdare ad un nichilismo della morale e dell’azione, ad una follia dell’insignificanza, ma ad una “ricchezza del niente”.
Giulia Bertotto
[1] F. Dostoevskij “Memorie dal sottosuolo” del 1864.
[2] Il dualismo onda-particella.
[3] Secondo il filosofo greco la filosofia scaturisce dal sentimento di meraviglia che l’uomo prova di fronte all’esistenza e alla natura.
[4] Un’obiezione all’applicazione dei principi della meccanica quantistica fu proposta dal paradosso del gatto di Schrödinger. Un esperimento mentale del 1935 elaborato da Erwin Schrödinger. Esso voleva dimostrare come la meccanica quantistica fornisca risultati paradossali se applicata a un sistema fisico macroscopico. Tale paradosso è ancora oggetto di discussione e di diverse interpretazioni.
[5] Lancio una suggestione. Con questo non si intende ridurre il Mistero della Croce ad un dilemma della fisica, né si intende validare un paradigma fisico attraverso un dispositivo teologico.
[6] Anche la successione del tempo è da prendere con le pinze della logica dialettica. Carlo Rovelli nel suo ultimo libro Helgoland (Adelphi 2020) spiega che perfino la successione cronologica, la direzione del tempo, il suo scorrere in una sola direzione irreversibile è solo una tendenza apparente causata dall’entropia. Sì, è da perdere la testa.
[7] Esodo 33
[8] Paolo di Tarso, I Corinzi 15, 23-28
[9] “Perciò preghiamo Dio di diventare liberi da Dio, e di concepire e godere eternamente la verità là dove l'angelo e la mosca e l'anima sono uguali” sono parole del mistico tedesco Meister Eckhart.
[10] Filosofo siro poco noto, del quale possediamo scarse notizie e un corpus di scritti affini al neoplatonismo.
[11] “Beato Angelico. Figure del dissimile” di Georges Didi-Huberman, Abscondita 2014.
[12] La Natura è un tempio dove incerte parole mormorano pilastri che son vivi, una foresta di simboli che l’uomo attraversa nel raggio dei loro sguardi familiari. Scriveva Boudelaire. Questa foresta di simboli racchiude le chiavi del significato dell'universo, ma tale linguaggio dei simboli non è interpretabile dalla scienza e dalla dalla ragione, ma solo dall'arte.
[13] I Corinzi, 7-29.
[14] Quaderni, 1957-1972, Adelphi 2001.
[15] Il termine persona proviene dal latino pers?na (corpo/maschera dell'attore), e questo probabilmente dall'etrusco phersum (corpo/'maschera dell'attore', 'personaggio'), il quale procede dal greco πρóσωπον [prósôpon].
[16] Tale stabilità ontologica non si trova nei singoli fenomeni, ma in quell’unica sostanza che i filosofi e mistici hanno sempre celebrato.