"DIARIO DI TURCHIA" - LE CITTÀ FANTASMA
Prosegue su l'AntiDiplomatico la pubblicazione del diario di viaggio nella Turchia più profonda di Michelangelo Severgnini. 5 puntate grazie alle quale potrete scoprire in profondità un paese di cui parlano (a sproposito) in molti...
PRIMA PUNTATA: "Nella natura profonda dove Erdogan non arriva"
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SECONDA PUNTATA
LE CITTÀ FANTASMA DELLA TURCHIA - 3 agosto
di Michelangelo Severgnini
Ieri ci siamo persi tra le rovine di "Πναρα", Pinara, antica città greca sulla Via Licia, un'antichissima strada che univa alcune importanti città greche nel sud ovest dell'attuale Turchia, la Licia appunto.
Le rovine sono esposte al naturale, senza protezione, senza tanto meno un biglietto per visitarle e alcuni cartelli (per altro fuorvianti) sono l'unica presenza lasciata dallo Stato turco in omaggio al sito archeologico.
Chiunque volesse portarsi a casa un pezzo di colonna o capitello, basta si rechi sul posto.
La città venne fondata 2.500 anni fa. Resta il teatro con gli spalti, una parte dell'agorà, vaghi resti di un tempio ad Artemide, tombe scoperchiate ovunque e pietre rotolate giù da chissà dove.
I cartelli fuorvianti recitano "resti romani".
Vista da una prospettiva turco-ottomana, la città è romana. Quando i Turchi arrivarono da queste parti, i locali si fregiavano del titolo di cittadini dell'Impero Romano d'Oriente. Pertanto per i Turchi questi sono resti romani.
E non c'è nemmeno interesse a conservarli, a raccontarli.
La genealogia turca proviene dall'Asia profonda, pertanto di queste rovine non sanno che farsene. Non è gente loro, non è storia loro.
Quando al tramonto sulle rovine s'è diffuso il canto del muezzin proveniente da una valle limitrofa, ho avuto la precisa sensazione che sia stato il Cristianesimo a sfasciare questa epopea di bellezza. L'Islam ha trovato già le rovine di questa civiltà e le ha lasciate dov'erano, completamente indifferente al processo.
Girando nel sud ovest della Turchia in questi giorni però mi sono imbattuto in un'altra città fantasma.
Questa volta non sono le rovine di una città di 2.500 anni fa. Sono i resti di un villaggio abbandonato nel 1923 dai suoi abitanti di origine greca, dalla sera alla mattina, perlomeno i sopravvissuti, ben 100 anni fa.
In seguito al Trattato d Losanna che mise fine alla terribile guerra turco-greca (1918-1922) si decise di procedere allo scambio di popolazioni: i cittadini di origini greche presenti all'interno dei confini dell'attuale Turchia sarebbero stati espulsi verso la Grecia e i cittadini di origine turca presenti all'interno dell'attuale Grecia sarebbero stati espulsi verso la Turchia.
Quella che oggi è una città fantasma fino a 100 anni fa portava il nome di "Λειβσσι", Leivissi, mentre ora si chiama Kayaköy. Ma giusto sulle mappe.
La leggenda dice che nessuno volle poi prendere possesso delle case abbandonate dai greci (dopo essere state saccheggiate) per paura dei fantasmi di coloro che in quelle loro case vennero massacrati (che quindi non furono pochi) senza riuscire a salire sull'unica nave che venne mandata per trasferirli verso la Grecia.
Pertanto quelle case rimangono così, dopo 100 anni, abitate solo dal vento, dalla solitudine e dalla natura che si riprende i suoi spazi.
Resta solo qualche traccia di tintura blu su alcuni muri, tenacemente attaccata qua e là.
Quegli episodi non hanno segnato il confine tra Est e Ovest, tra Europa e Medio Oriente, tra Cristianesimo e Islam.
Hanno segnato il confine tra la ragione di Stato, avida e criminale, contro la ragione dei popoli, che in un modo o nell'altro avevano comunque convissuto pacificamente per secoli.
Se pensiamo all'Ucraina oggi, non facciamo fatica ad immaginarci quella "ragione".
Sepolti nei libri di storia, quei rigurgiti sono ricomparsi sul palcoscenico della Storia.
Stessi errori, stessi massacri.
Al prossimo trattato si invocherà di nuovo una pace. Sarà tutt'al più una tregua.
Ascolta e scarica l'album di Michelangelo Severgnini: Quando le mule partoriranno", registrato a Istanbul. Gi incassi saranno devoluti per le vittime del terremoto del 5 febbraio 2023.
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