Discriminazione di voto dei Nativi Americani per le elezioni in USA

Discriminazione di voto dei Nativi Americani per le elezioni in USA

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di Raffaella Milandri*

 

È dal 1965, con il Voting Rights Act firmato dal Presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson, che i Nativi Americani hanno ottenuto il pieno diritto al voto. Ma per loro non è mai stato facile votare. Oggi i Nativi affermano di dover ancora affrontare delle barriere per esprimere il proprio voto. Vediamo perchè.


Problemi di accessibilità al voto

Secondo i dati del NCLS,  oltre 4,7 milioni di Nativi Americani hanno diritto al voto, ma solo il 66% di loro è registrato per votare, secondo il rapporto Obstacles at Every Turn: Barriers to Political Participation Faced by Native American Voters del Native American Rights Fund (NARF).

Innanzitutto, la loro partecipazione elettorale è difficile da individuare. A differenza di quanto avviene per le altre fasce di popolazione, l'Ufficio del Censimento degli Stati Uniti non riporta la registrazione degli elettori e l'affluenza alle urne specifica per i Nativi Americani, come vediamo nell’esempio di exit poll qui riportato.



Oltre a questa “diversa” considerazione, c’è anche il problema, evidenziato a gran voce sui media nativi nelle elezioni del 2020, della accessibilità al voto. Molti Nativi vivono a chilometri di distanza dai luoghi di registrazione degli elettori e dai seggi elettorali e non hanno accesso a mezzi di trasporto affidabili, soprattutto nelle aree remote e nelle riserve. Altri non hanno accesso a internet per la registrazione online. Molti non hanno un indirizzo postale tradizionale e non possono soddisfare i requisiti di registrazione degli elettori, che chiedono di dimostrare la residenza.

Per esempio a Chilchinbeto, Arizona, nella riserva Navajo, circa 40.000 case non hanno un indirizzo tradizionale. Il voto per posta può essere “problematico”, secondo O.J. Semans, un cittadino Sicangu Lakota che vive nella Riserva di Rosebud, in Sud Dakota, e co-direttore esecutivo di Four Directions, un gruppo di difesa dei diritti di voto che ha lavorato per conto delle tribù in diversi Stati. “Occorre ricordare che fin dai tempi del vecchio Pony Express (consegna della posta a cavallo) il servizio non era destinato alle riserve. Era per gli avamposti e le città dei coloni”, ha detto Semans. “Il Servizio Postale degli Stati Uniti ha sempre trascurato le riserve indiane quando si tratta di garantire l'uguaglianza”. Il Voting Rights Act del 1965 aveva vietato le forme tradizionali di discriminazione degli elettori, come i test di alfabetizzazione, le valutazioni caratteriali e altre pratiche ampiamente utilizzate per escludere gli elettori delle minoranze. Autorizzò così il governo federale a supervisionare le procedure di registrazione degli elettori e di elezione in alcuni Stati e località con una storia di pratiche discriminatorie, richiedendo anche a queste giurisdizioni di ottenere una “pre-autorizzazione” (preclearance) dal Dipartimento di Giustizia o da un tribunale federale prima di modificare le leggi o le procedure di voto.

Nel 2013, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha annullato la formula per decidere quali località necessitassero di preclearance in quanto incostituzionale, aprendo la strada agli Stati per approvare nuove leggi di voto, riaprendo possibili difficoltà agli elettori nativi. Durante un'audizione della Commissione Affari Indiani del Senato nel 2021, Jacqueline De Leon, membro iscritto dell'Isleta Pueblo e avvocato dello staff del Native American Rights Fund, NARF, ha descritto alcune condizioni per gli elettori indigeni. “In Sud Dakota, gli elettori nativi americani sono stati costretti a votare in un pollaio riadattato, senza servizi igienici e con piume sul pavimento”, ha testimoniato. In Wisconsin, i Nativi Americani hanno dovuto votare all'interno di un ufficio dello sceriffo.

 

Repubblicani e democratici

 

Nel 2021, il Presidente Biden ha creato l'Interagency Steering Group on Native American Voting Rights (Gruppo direttivo della Interagenzia sui diritti di voto dei Nativi Americani) per riferire sulle barriere che incontrano gli elettori nativi. Il Gruppo ha riferito che le comunità native americane non sono state salvaguardate, anzi sono state confinate o divise da linee distrettuali che diluiscono il loro voto o sono altrimenti discriminatorie. Nel novembre 2021, la legislatura del Nord Dakota, guidata dai Repubblicani, ha approvato una nuova mappa legislativa che separava i distretti della Camera di Stato nella riserva indiana delle Turtle Mountain e nella riserva di Fort Berthold, dove vivono le Tre Tribù Affiliate. Le tribù Turtle Mountain Band of Chippewa e Spirit Lake hanno intentato una causa federale sostenendo che la nuova mappa violava la legge del Voting Rights Act, confinando la banda delle Turtle Mountain - cioè concentrandola in un unico distretto elettorale per ridurre la sua influenza in altri distretti - e spaccando e dividendo la tribù Spirit Lake tra i distretti per diluire il suo potere di voto. “Un giudice conservatore ha ritenuto che si trattasse di una chiara violazione del Voting Rights Act”, ha detto De Leon. “E piuttosto che proteggere gli elettori nativi in caso di violazione, lo Stato ha fatto appello, cercando di bloccare il corso dell'azione invece di porre rimedio alla discriminazione”.

Tornando alla questione del voto per posta, sotto il governatore repubblicano Doug Ducey l'Arizona ha approvato una legge nel 2022 che richiede agli elettori di fornire una prova del loro indirizzo fisico. Come abbiamo visto prima parlando dell’esempio di Chilchinbeto nella riserva Navajo, circa 40.000 case non hanno un indirizzo tradizionale o un modo per dimostrare l'ubicazione della residenza. Con il sostegno del NARF, nel 2022 la Nazione Tohono O'odham e la Comunità indiana di Gila River hanno intentato causa presso la Corte distrettuale degli Stati Uniti per l'Arizona. Nel 2023, il tribunale si è pronunciato a loro favore, ritenendo che i requisiti di indirizzo violassero il diritto costituzionale di voto dei membri della tribù. In vista delle elezioni generali di novembre 2024, Semans ha detto che gli attivisti indigeni per i diritti di voto devono rimanere vigili. “Con questa nuova Corte Suprema, anche le sentenze che abbiamo ottenuto anni fa e che erano positive per noi potrebbero cambiare prima di allora. Le cose possono cambiare in un attimo”.

 

 A chi andranno i voti dei Nativi Americani

Le preferenze di voto dei Nativi non sono certo scontate, anche se oggi attestano una maggioranza a favore dei democratici. Mi appello, come sempre, ai dati e alle statistiche. A prima vista, Trump non sarebbe certo da considerare un “amico” dei Nativi Americani, anche se alla fine del suo precedente mandato ha fatto per loro alcune azioni positive, come promuovere una task force per il grave problema delle “missing and murdered indigenous woman”.

Ma se leggiamo un comunicato stampa della Commissione degli Affari Indiani, egli è stato accusato di attentare alla sovranità tribale, oltre alle varie questioni su oleodotti che hanno violato le terre dei Nativi. Quindi, in generale, i democratici hanno riservato ai Nativi una migliore accoglienza politica, ad esempio eleggendo come Segretario degli Interni una donna nativa, Deb Haaland – peraltro molto in ombra durante il suo mandato.

I dati relativi alle prime elezioni in cui i Nativi Americani potevano votare sono scarsi. Spesso, ancora oggi, il voto dei nativi viene raggruppato negli studi demografici nella categoria “altro”, other (vedere foto exit polls 2016 e del 2020).




Ciò che è noto è che i Nativi hanno sviluppato un grande sostegno per il Partito Democratico, come gli afroamericani, fin dalla loro inclusione e partecipazione ai programmi del New Deal.  Alcune tribù specifiche, come i Navajo, hanno preferito storicamente il Partito Repubblicano, sebbene anche questo sia cambiato. Tra il 1984 e il 1996, il sostegno al Partito Democratico non è mai sceso sotto il 75%. In generale, i Nativi Americani sono più propensi a votare democratico. Gli exit polls mostrano che i Nativi fossero inizialmente più disposti a votare per Donald Trump nelle elezioni del 2016. Tuttavia, mentre il voto dei nativi si è orientato verso Joe Biden alle elezioni successive, assicurando l'Arizona ai Democratici, la testata NPR ha riferito che i Nativi hanno votato per Trump rispetto a Biden a livello nazionale (anche se di stretta misura) con un 52% a 45% ( sotto la voce “Other”). La politica repubblicana e conservatrice tende a fare meglio con i nativi in contesti misti, vale a dire in circoscrizioni più rurali, come si è visto nelle elezioni recenti del 2020 (vedere exit poll Biden/Trump 2020, sempre alla voce “other”). I ricercatori politici hanno visto per molti anni un potenziale di grande peso nel voto dei nativi. Ricerche che risalgono al 1997 suggeriscono che i Nativi avevano un potenziale come elettori di scambio in quelli che all'epoca erano considerati abbastanza uguali nelle iscrizioni democratiche e repubblicane, come il Montana. Sebbene le tendenze odierne facciano sembrare questi Stati molto più solidamente repubblicani, il caso dell'Arizona (uno Stato un tempo considerato “solidamente rosso”) nel 2020 ha portato la ricerca politica a concentrarsi nuovamente su questo fenomeno del loro “swing power”. Per questo articolo ho speso circa due ore nel cercare, tra le previsioni di voto 2024 di “white”, “black”, “asian e “hispanic”, quelle dei Nativi Americani, ma senza successo. Nulla, non sono considerati negli attuali exit polls. Eppure, Kamala Harris ha già dichiarato al giornale nativo Native News Online: "Onorerò sempre la sovranità tribale e rispetterò l'autodeterminazione tribale". Vedremo se, in caso sia eletta, manterrà le promesse. Ricordiamo che Obama ha fortemente appoggiato la comunità nativa americana: nel 2008, durante la sua campagna elettorale, visitò la Crow Nation in Montana, dove fu adottato nella famiglia Black Eagle, e poi visitò alcune riserve, oltre a emettere la legge Tribal Law and Order Act del 2010 e l’Indian Health Care Improvement Act nello stesso anno.




* Scrittrice e giornalista, Raffaella Milandri, attivista per i diritti umani dei Popoli Indigeni, è esperta studiosa dei Nativi Americani e laureata in Antropologia. È membro onorario della Four Winds Cherokee Tribe in Louisiana e della tribù Crow in Montana. Ha pubblicato oltre dieci libri, tutti sui Nativi Americani e sui Popoli Indigeni, con particolare attenzione ai diritti umani, in un contesto sia storico che contemporaneo. Si occupa della divulgazione della cultura e letteratura nativa americana in Italia e attualmente si sta dedicando alla cura e traduzione di opere di autori nativi.

Raffaella Milandri

Raffaella Milandri

 

Scrittrice e giornalista, attivista per i diritti umani dei Popoli Indigeni, è esperta studiosa dei Nativi Americani e laureata in Antropologia.
Membro onorario della Four Winds Cherokee Tribe in Louisiana e della tribù Crow in Montana. Ha pubblicato oltre dieci libri, tutti sui Nativi Americani e sui Popoli Indigeni, con particolare attenzione ai diritti umani, in un contesto sia storico che contemporaneo. Si occupa della divulgazione della cultura e letteratura nativa americana in Italia e attualmente si sta dedicando alla cura e traduzione di opere di autori nativi. Attualmente conduce un programma radiofonico sulla musica nativa americana, "Nativi Americani ieri e oggi" e cura la riubrica "Nativi" su L'AntiDiplomatico.

 

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