E se la false flag fosse iniziata molto prima?

E se la false flag fosse iniziata molto prima?

Qanon e l'assalto al Campidoglio

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Qualcuno crede che l'attacco al Campidoglio sia stato un false flag. Perché non considerare l’ipotesi che l'intera operazione sia incominciata molto prima?
 
Una Premessa 
 
Come ho più volte detto fin dai tempi di Hillary, resto convinto che Trump alla Casa Bianca sarebbe stato nettamente meglio anche di Biden. Nell'ottica di una lotta di liberazione nazionale, all'Italia, sarebbe servito molto di più un presidente USA protezionista, non interventista, anti-globalista e non sfacciatamente anti-russo piuttosto che il contrario. Un mondo multipolare, infatti, è - assieme alla sovranità - la precondizione affinché il nostro Paese possa tornare a ritagliarsi uno spazio geo-politicamente indipendente. In realtà ci sarebbero anche i provvedimenti keynesiani di politica economica [cit. Krugman] ma non è questo il tema di cui voglio parlare. Nonostante questa posizione da spettatore interessato (e non già da sostenitore), si sono avvicinati a questa bacheca numerosi seguaci italiani sia di Trump che di uno dei fenomeni del momento, QAnon. Ed è proprio di questo che vi voglio parlare.
 
Ma andiamo per gradi.
 
Difronte all'assedio di uno dei Parlamenti più antichi delle moderne democrazie occidentali, ritengo doveroso fermarsi e chiedersi a cosa abbiamo effettivamente assistito in mondovisione. Le immagini sono chiare. C'è stato un assalto (favorito da grottesche quanto inspiegabili falle nella sicurezza - quando non da palese favoreggiamento) e sono morte delle persone. Porsi qualche domanda mi pare il minimo sindacale, anche con la semplice finalità di non perdere l'abitudine a continuare a farlo.
 
 
Una guerra sotterranea tra poteri dello Stato
 
Partiamo da una prima, basilare, considerazione - ormai assodata - relativa al contesto. Negli Stati Uniti, fin da prima dell'insediamento della presidenza Trump, era in atto una guerra sotterranea e violentissima fra pezzi di poteri dello Stato, conflitto che ha vissuto momenti di tensione politica e geopolitica parecchio significativi. Come ad esempio il finto scandalo Russiagate, la montatura orchestrata ad arte ai livelli più alti dell'establishment americano col solo fine di defenestrare Trump senza passare dal voto. Una lotta senza esclusione di colpi, quindi, che in queste ore è arrivata al suo epilogo segnando vincitori e vinti. Sotto questo aspetto c'è un unico dato un po' più complicato da decifrare, ovvero comprendere con quali strumenti questa guerra sia stata effettivamente condotta. E la risposta più ovvia, a giudicare dall'importanza ed estensione del conflitto, è una sola: con ogni mezzo possibile. Lecito o meno lecito, noto o sconosciuto, che sia.
 
 
I complotti parte integrante della politica Usa
 
La seconda e consequenziale considerazione è relativa ai termini di questa guerra sotterranea e senza quartiere. I complotti, le congiure di palazzo sono da sempre parte integrante della politica, costituendo uno strumento fondamentale delle sue tecniche non convenzionali. Mediante l'uso di alleanze segrete, operazioni sotto copertura, cospirazioni, i governi, i partiti politici e le opposizioni, hanno sempre cercato di confondere, circuire, l'avversario per indurlo all'errore fatale. La via della lotta politica - soprattutto ai livelli più alti - assomiglia molto poco a un'autostrada americana, assumendo le sembianze di impervi e tortuosi sentieri di montagna. Perché la strada più lineare è anche quella più prevedibile dal nemico. Un principio elementare da cui si dovrebbe sempre partire per comprendere gli eventi e le dinamiche apparentemente più assurde del nostro tempo. Esattamente come si è fatto in passato per cercare risposte ai fatti di cronaca che hanno lungamente insanguinato l'Italia durante gli anni di piombo. Vicende che il tempo, praticamente in quasi tutti i casi, ha dimostrato essere avvenute in modo molto differente rispetto alle versioni ufficiali ed alle spiegazioni accondiscendenti fornite, sempre troppo celermente, con esse.
 
Certo il complotto non può (e non deve) mai ridursi a misura del tutto, ma tenere bene a mente la sua esistenza (e il fatto che i potenti ne facciano ampio e frequente ricorso) può essere utile per decodificare molti eventi chiave. O quantomeno alcuni di essi. Le teorie del complotto, infatti, hanno dei meriti che i sempre troppo solerti debunker tendono a ignorare per difetto di realismo. Il più importante dei quali è certamente quello di fornire una chiave di lettura critica e alternativa alla narrazione ufficiale - che è sempre fornita da chi detiene il potere - che spesso ha come fine unico/ultimo il mantenimento del consenso e dello status quo.
E in un’epoca come la nostra in cui la menzogna e gli attacchi sotto false flag sono diventati la norma per provocare un conflitto (basti pensare alla seconda guerra in Iraq e al conflitto in Siria), e le tecniche di manipolazione della pubblica opinione sono diventate rispettate scienze universitarie, immaginare l’impensabile, ipotizzarne anche solo astrattamente l'esistenza, può fare la differenza fra vincere o perdere. Una guerra o una campagna elettorale.
 
 
Il fenomeno QAnon
 
La terza considerazione, poi, attiene alla sempre più pervasiva sorveglianza digitale (inaugurata decenni fa con il sistema Echelon e divenuta, anni dopo, problema di pubblico dominio grazie alle rivelazioni di Snowden) e il successivo, tentacolare, controllo del web culminato - proprio in questi giorni - con la chiusura di decine di migliaia di pagine social, l'oscuramento di intere piattaforme come Parler e il ban permanente del profilo del presidente degli Stati Uniti.
 
Ed è dentro questo intricato contesto che va calata l'analisi del fenomeno QAnon.
 
Sin dalla fine degli anni cinquanta, con l'uscita del romanzo “The Manchurian Candidate”, l'opinione pubblica americana era a conoscenza della ipotetica esistenza di tecniche di manipolazione, condizionamento e lavaggio del cervello (i dossier ufficiali, poi, ci diranno che la CIA aveva iniziato a sperimentarle già qualche anno prima col progetto “MKUltra”). Strumenti finalizzati a creare falsi input da innescare in caso di necessità. Ebbene non è mai stato chiarito sino a che punto questi esperimenti siano stati portati, né quali risultati abbiano effettivamente prodotto.
 
E allora, difronte a un fenomeno sbucato dal profondo nulla della rete per finire sulla bocca e sulle pagine web di decine di milioni di cittadini ed elettori americani, è lecito tentare - anche solo sommariamente - di decodificare la reale natura di QAnon?
 
Iniziato come fenomeno di nicchia su 4chan, in pochissimi mesi è andato letteralmente fuori controllo. Invadendo internet e guadagnando grandissima visibilità su piattaforme molto note come Reddit, YouTube, Twitter e Facebook. E attecchendo sempre più in profondità in quel substrato di popolazione ormai atavicamente allergica all'informazione mainstream, finendo per trasformarsi in qualcosa di enorme. Un evento globale, di massa che - volente o nolente - ha rivestito un ruolo di primissimo piano nella politica americana degli ultimi tre anni. Alla luce di questo, se è sensato dubitare della versione palese di quanto accaduto a Capitol Hill; se è lecito domandarsi se quella torma di fanatici sia stata in qualche modo infiltrata (anche solo in minima parte), perché non dovrebbe esserlo ragionare su cosa possa aver effettivamente innescato quegli eventi?
 
QAnon ha attirato nel suo vortice decine di milioni di persone, molte delle quali perfettamente in grado di intendere e volere. E personaggi più o meno noti di Hollywood, dello spettacolo, della politica. Ed è questo uno dei punti cruciali della questione. Se fosse rimasto circoscritto ai gruppetti (per quanto numerosi e affollati) di paranoici e terrapiattisti incapaci di discernere criticamente tra una spiegazione plausibile e un’altra completamente campata in aria, allora il problema non esisterebbe affatto. E invece non è stato così. QAnon è stato un'onda d'urto spaventosa che ha inspiegabilmente investito anche decine di migliaia di persone apparentemente raziocinanti - almeno sino al giorno prima - indipendentemente da livello di cultura e classe sociale di provenienza. Come è stato possibile?
La storia dell'uomo è certamente piena zeppa di deliri di massa a carattere parossistico e paranoide.
 
 
Un fenomeno nato in modo spontaneo?
 
Ma tali fenomeni non sono mai nati (e non si sono mai propagati) in modo del tutto autonomo. La qual cosa lascia aperta la possibilità che, anche in questo caso, ci si possa trovare difronte a un evento di questo tipo.
 
D'altronde la costanza delle “informazioni”, la pervasività, la tecnica di diffusione e - non da ultimo - la qualità degli strumenti di propaganda (sul punto basti guardare la fattura di molti video) qualche dubbio lo fanno venire. Soprattutto se la stessa FBI è arrivata a definire Q una “potenziale minaccia per la sicurezza nazionale”. Esatto. QAnon è cresciuto a tal punto che il più importante servizio segreto del mondo ha cominciato ad interessarsi ad esso. Mettendosi a studiare una strampalata teoria del complotto infarcita di ricostruzioni prive di qualunque senso logico, ipotesi ben oltre lo Z-movie e previsioni che mai (è bene ricordarlo) hanno trovato riscontro negli eventi successivi. Si dirà - non senza ragione - che il motivo di questo interessamento risiede nel fatto che alcuni seguaci hanno preso a sparare, macchiandosi di atti terroristici. Non c'è dubbio. Ma accadeva anche durante gli anni di piombo e non per questo si è smesso di cercare altri moventi - convergenze parallele - molto distanti dalla “ideologia” originaria. E, spesso e volentieri, si è riusciti anche a trovarli. L'esperienza, quindi, suggerisce che sotto possa esserci anche dell'altro. O quantomeno di non scartare a priori la possibilità - per quanto assurda possa sembrare - che quello di QAnon sia stato una sorta di “complotto nel complotto”.
 
 
Q, CUI PRODEST?
 
Sto delirando meglio e più dei qanons? Forse.
 
Eppure l'ipotesi eterodeterminazione non sembra così astrusa se si pensa che risponde efficacemente a una banalissimo interrogativo: a chi ha effettivamente giovato l'intero fenomeno di Q?
 
I meno avvezzi a porsi domande apparentemente assurde potrebbero agevolmente concludere che è stato proprio Trump a trarne un vantaggio concreto, sia in termini politici che elettorali. Può darsi. Perché è indubbio che i seguaci di QAnon che affollavano i suoi raduni abbiano portato in dote un bel gruzzoletto di voti al presidente uscente. Come è altrettanto innegabile che Trump stesso abbia cavalcato il fenomeno in modo spesso molto allusivo senza mai prenderne seriamente le distanze. Ma è l'epilogo di tutta questa storia a lasciare l'interrogativo aperto.
 
In primo luogo perché l'intera narrazione di QAnon ha contribuito a costruire nel tempo l'immagine di un elettorato, quello di Trump (75 milioni di voti), costituito in massima parte da zotici, paranoici e fanatici millenaristi animati unicamente da una mistica escatologica che altro non ha fatto se non sterilizzare le reali istanze politiche che hanno consentito la sua elezione a presidente (avversione alla globalizzazione, lotta alle delocalizzazioni, politiche di piena occupazione ecc.) oscurandole e coprendole di ridicolo.
 
In secondo luogo perché se è vero come è vero che sono stati i qanons ad assaltare il Campidoglio allora la pura logica sembra suggerire una risposta molto diversa.
 
 
L'Assalto al Campidoglio: quello che non torna
 
A meno che voi non crediate davvero che un gruppo di scappati di casa con le corna in testa potesse realmente fare un golpe nella prima potenza nucleare del mondo facendo irruzione in un Parlamento inspiegabilmente sguarnito per farsi qualche selfie. In questo caso quelli che credono all'inverosimile siete voi.
Per gli eventi di Capitol Hill, infatti, vale lo stesso identico discorso fatto quest'estate a seguito dei disordini seguiti al barbaro omicidio di George Floyd. Anche in quel caso chi si è effettivamente avvantaggiato dal clima di violenza e caos nelle città americane? Trump, il presidente incapace di gestire l'ordine pubblico e “colpevole” della brutalità della polizia? Solo un ingenuo potrebbe sostenerlo convintamente.
 
E allora quella che, a prima vista, appare soltanto un'ipotesi più strampalata della stessa teoria alla quale cerca di dare spiegazione comincia ad acquisire una certa plausibilità.
 
Se non fosse soltanto un fenomeno autonomo, magari goliardico, poi sfuggito di mano? In fin dei conti la teoria di QAnon è risultata - quantomeno involontariamente – una componente importante, se non addirittura determinante, della vittoria Dem. Non foss'altro per aver contribuito a mobilitare l'elettorato intorno a Biden per impedire la vittoria di “quei pazzi fanatici di Q”.
 
Ma il punto cruciale è la conseguenza di tutto questo. Perché gli eventi del 6 gennaio contribuiranno non a neutralizzare, ma direttamente a cancellare, la proposta politica di Trump che, va rimarcato nonostante tutto, ha trovato un consenso enorme fra i ceti medi e popolari devastati dalla globalizzazione. E non soltanto fra i bianchi. La sconfitta, quindi, non coincide esclusivamente con quella personale del tycoon. Quanto piuttosto con quella del vecchio modello di capitalismo produttivo di cui Trump era rappresentante che – deprecabile quanto si vuole – garantiva una prospettiva più stabile a molta più gente rispetto a un sistema che punta tutto (e continuerà a farlo) su delocalizzazioni e finanza dematerializzata. Un modello, quest'ultimo che doveva tornare ad imporsi ad ogni costo. Perché la globalizzazione “è inevitabile” e il progresso non si può fermare.
 
Certo da qui a dire che il fenomeno Q è stato fabbricato ad arte ce ne passa, ma se quella di QAnon è una teoria del complotto (forse la più grande degli ultimi decenni) allora come tale dev'essere trattata.
 
E se per qualcuno è plausibile l'ipotesi che l'assalto sia stato un false flag, perché non considerare che lo sia l'intera operazione?
 
Se così fosse ci troveremmo difronte a un livello molto più sofisticato di operazione sotto copertura. Quel che è certo è che Q ha prodotto un lento, perpetuo, stillicidio di input che altro non ha fatto se non rafforzare nella massa informe di un popolo marginalizzato, incazzato e, molto spesso, privo di coscienza politica, un sentimento già esistente: il sistema fa schifo, è marcio e corrotto fino al midollo e contro di esso non si può vincere democraticamente. Alimentando una spirale di violenza che ha costantemente delegittimato la presidenza Trump e fomentato uno scontro apocalittico, combattuto in nome di una presunta parusia, culminato nell'assalto al Campidoglio.
 
Spontaneo o no, quindi, è quantomeno plausibile che Q sia stato utilizzato in senso diametralmente opposto alle finalità esplicite della teoria. Riuscendoci perfettamente. Perché complice una pluralità di fattori (dal clima da guerra civile presente nel paese già dalla primavera, fino ad arrivare a uno spoglio elettorale con più di qualche buco nero) QAnon ha spinto parte dei suoi seguaci a farsi esercito. Un'armata Brancaleone con gli scolapasta in testa che, in un ridicolo riflesso pavloviano, si è mossa per mettere in pratica la cosa più insensata che mai potesse fare. Assaltare un Parlamento senza avere la benché minima possibilità di ribaltare l'esito elettorale (anche perché priva di organizzazione, coordinamento e concreto appoggio da parte dei militari gli unici che, storicamente, possono veramente realizzare un colpo di Stato). Beninteso, qui non ci si rammarica certo dell'esito fallimentare degli eventi. Ci si limita a una cinica analisi dei fatti.
 
E i fatti indicano inequivocabilmente che, senza il supporto dell'architettura ideologica di Q, una narrazione mitologica impegnata a rappresentare il presidente come una sorta di katechon in lotta contro le forze di Satana, quello che è andato in scena al Campidoglio sarebbe rimasto relegato nelle pagine di qualche romanzo di Tom Clancy. Perché quelli entrati al Campidoglio, nella loro dabbenaggine, erano sinceramente convinti che sarebbe accaduto qualcos'altro. Che il loro atto “patriottico” ne avrebbe innescati altri a catena e così fino alla vittoria. E ne erano fermamente convinti perché questo preconizzava Q.
 
Certo, è fin troppo agevole evidenziare come sia stato proprio Trump a soffiare sul fuoco della rivolta. Ma è altrettanto evidente che, almeno a giudicare da come si sono svolti i fatti, il presidente più che tentare un golpe voleva buttarla in caciara. Senza rendersi conto di cadere con tutte le scarpe in una trappola costruita apposta per lui. Se le cose sono andate effettivamente così, probabilmente, non lo sapremo mai.
 
 
“The storm is upon us...”
 
Quel che è certo è che Donald Trump si è rivelato (ad essere buoni) molto ingenuo e completamente inadeguato al ruolo di “condottiero” dei suoi. Perché ha inspiegabilmente perseverato nel gettare benzina sul fuoco della rivolta senza avere alcuna possibilità effettiva di ribaltare l'esito del voto - pulito o inquinato che fosse (con buona pace di quelli che credevano alla storia delle schede elettorali marchiate e a tutto il resto) - non considerando una verità abbastanza banale. Il primario interesse della autoproclamata democrazia migliore del mondo (nonché prima potenza mondiale) è preservare il proprio potere, la propria influenza e la propria credibilità internazionale. Difendere tutto questo implica che in nessun caso - neanche di fronte a eventuali macroscopici e scandalosi brogli - il sistema americano avrebbe consentito di poter essere percepito, neppure lontanamente per ipotesi, come manipolabile. Mai.
Morale della favola. La politica è una sfida estremamente complicata, soprattutto se si prefigge (a torto o a ragione) di ribaltare i rapporti di forza nei confronti di un avversario, un sistema, molto più grande e potente.
 
Chi pensa di risolvere tutto partendo all'assalto con uno scolapasta in testa non è soltanto un illuso. È uno scriteriato pericoloso per la stessa democrazia per la quale dice di volersi battere, perché da “patriota” si trasforma nell'utile idiota di chi ha alle spalle un'esperienza secolare di false flag, operazioni sotto copertura, rivoluzioni colorate e colpi di Stato. Un'avventatezza che porterà in dote non soltanto la demonizzazione di molte, sacrosante, istanze politiche che da oggi - e per lungo tempo - verranno spacciate come “una malattia dell'anima”. Ma soprattutto a uno strettissimo giro di vite sui diritti politici di coloro che, di quelle proposte, si sono fatti portatori. In quanto soggetti “intrinsecamente” antidemocratici e cripto-golpisti - e perciò incompatibili con le moderne democrazie liberali - e come tali da confinare in uno spazio politico ancora più angusto. E poco importa che, nella stragrande maggioranza dei casi, non sia così.
 
Il rischio concreto è che nel nuovo mondo sorto dal "salvataggio” della democrazia americana di spazio ce ne sia sempre meno.
 
Il semplice avanzare una congettura azzardata come quella di queste righe potrebbe diventare compito assai più arduo. Qualunque ipotesi oltre la narrazione ufficiale diventerà, infatti, automaticamente sinonimo di negazionismo, ignoranza, complottismo (e poco importa che fino a ieri l'informazione mainstream abbia dato ampia e ripetuta prova di non essere né attendibile né tanto meno indipendente). Criticare il modello politico-economico dominante potenzialmente lesivo dell’ordine costituito, e il fatto che le critiche proverranno da destra o da sinistra sarà assolutamente irrilevante.
 
Tutto il non conforme non sarà più tollerato.
 
È vero accadeva anche prima, almeno in parte. Ma quanto successo fornisce nuovi ottimi argomenti per giustificare un'ulteriore svolta securitaria. Blindare ancor più le città e i palazzi del potere, estendere la sorveglianza digitale, sindacare l'opinione altrui, censurare, reprimere, usare la violenza per difendere la “democrazia” dai barbari, quelli con le corna e la pelliccia. E in questo l'iconografia è già bella che pronta.
 
“The storm is upon us...” continuano a ripetere ancora oggi. Ed è esattamente così.
 
Ma probabilmente qualcuno non ha ancora capito in che senso

Antonio Di Siena

Antonio Di Siena

Direttore editoriale della LAD edizioni. Avvocato, blogger e autore di "Memorandum. Una moderna tragedia greca" 

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