Ecco come hanno ucciso il PCI. Veltroni intervista Occhetto
di Carlo Formenti
Sul Corriere di oggi due pagine (la 24 e la 25) di intervista di Walter Veltroni ad Achille Occhetto sulla "svolta" che decretò la morte del Pci.
Se qualcuno non si fosse ancora reso conto che quello che era stato il più grande partito comunista occidentale si è trasformato in un colpo solo in un partito liberale, senza passare nemmeno per una fase socialdemocratica, troverà qui modo di prenderne atto.
Segnalo qui alcune delle tante perle di questo dialogo fra i due grandi liquidatori di mezzo secolo di lotte di classe nel nostro Paese.
1) la caduta del Muro, viene salutata ovviamente come un evento positivo senza se e senza ma, e celebrata con rimpianto in quanto occasione mancata per ricomporre la frattura storica fra socialisti e comunisti (ricomposizione che, qualora si fosse realizzata, sarebbe stata la convergenza fra due forze nessuna delle quali, già allora, era più definibile come socialista, perlomeno nel senso che leader storici come Nenni, Basso o Lombardi attribuivano al termine);
2) a impedire quel lieto (!?) evento sarebbe stata la quasi contemporanea catastrofe di Tangentopoli, perché Mani Pulite, annientando il sistema dei partiti della Prima Repubblica, ha liberato milioni di voti che hanno favorito prima l'ascesa di Berlusconi e poi il dilagare dei populismi (nessun dubbio sul fatto che quei milioni di voti siano stati liberati anche e soprattutto dal fatto che il Pci aveva smesso di rappresentare gli interessi delle classi subalterne e rivolgeva tutte le sue attenzioni ai ceti medi "riflessivi"?);
3) per l'ennesima volta Occhetto, pur ammettendo di "non avere le carte per provarlo"rilancia la tesi complottista secondo cui le Brigate Rosse erano eterodirette da Urss e servizi americani perché entrambi contrari al compromesso storico, respingendo con sdegno (e con faccia di bronzo negazionista) che sia mai esistito alcun legame fra BR e base operaia del Pci;
4) dopodiché rivendica di avere condotto al suo esito inevitabile la svolta atlantista di Berlinguer perché "il comunismo era morto" (come dimostrato dai fatti di Piazza Tienanmen, dipinti come evento esecrabile allo stesso modo in cui la caduta del Muro è viceversa dipinta come evento meraviglioso);
5) spiega di avere respinto la proposta di Trentin di cambiare il nome del Partito in Partito Laburista "perché parola estranea alla tradizione italiana" - palese menzogna dato che la vera ragione era che quella parola puzzava ancora troppo di lotta di classe, mentre i due figuri impegnati in questo dialogo amoroso volevano che fosse chiaro fin dall'inizio che l'intento era fondare un partito liberal democratico (che ora infatti, approdato alla denominazione Pd per la gioia del filo americano Veltroni, prende i voti delle classi medie dei centri storici gentrificati e non quelli delle periferie proletarie);
6) si lamenta del fatto che quel cattivone di Berlusconi riuscì a riattivare contro di loro lo spauracchio del comunismo in barba a tutte le loro servili abiure (esempio cristallino di quella che Dante definiva nei canti dell'Inferno pena del contrappasso);
7) ripete che "nessuno ha sofferto come lui" nel prendere la decisione di decretare la morte del Pci rievocando le lacrime della Bolognina ed esibendosi - scrive Veltroni - in un bis ("la voce a questo punto si incrina").
Un capolavoro di ipocrisia che andrebbe punito da qualcuno di quei proletari che davvero soffrirono atrocemente in quella occasione (magari senza piangere, perché l'antico senso comunista di orgoglio e di dignità glielo impediva).