Effetto Draghistan: i dati peggiori della storia della Repubblica italiana
L'Antidiplomatico è anche su Telegram. Clicca qui per entrare nel nostro canale e rimanere aggiornato
di Paolo Cornetti - La Fionda
51, 53, 52, 49, 46.
No, non sono i numeri del lotto e no, non stiamo dando improvvisamente i numeri. Sono i dati dell’astensione nelle più grandi città andate al voto questa domenica e questo lunedì, e il dato nazionale.
In ordine parliamo di Roma, Napoli, Torino e Bologna.
In tutta Italia c’è chi fa analisi, della vittoria in particolar modo, d’altronde è spesso risaputo, alle amministrative vincono sempre tutti e non perde mai nessuno, ma oggi questo non è così vero.
Certo, se ci limitassimo ad un’analisi dei voti scrutinati non potremmo non notare una difficoltà per la Lega e una grande salita di Fratelli d’Italia, non potremmo nemmeno non notare che il PD è il traino di una coalizione di centrosinistra che, con o senza Movimento 5 Stelle, ottiene buoni risultati (ma non strabilianti).
Ma è questo che ci interessa?
Francamente, quando si vede un’astensione così forte, una rinuncia di recarsi alle urne così generalizzata, no, tutto passa in secondo piano.
I dati che abbiamo di fronte sono i peggiori nella storia della Repubblica Italiana, non era mai successo che ad una tornata di amministrative il popolo decidesse per metà di stare a casa e per metà di andare a votare, e questo accade anche in centri che storicamente hanno un’affluenza altissima, come Bologna, dove negli anni della prima Repubblica addirittura si sfiorava la quasi totalità dell’affluenza.
In realtà, non c’è stato un crollo repentino. Il dato delle amministrative 2021 è più basso di circa 8 punti percentuali rispetto alla tornata precedente, e questo si riflette in maniera più o meno lineare in tutte le città.
È vero, 8 punti non sono pochi, ma non c’è stata una valanga improvvisa. Il processo è infatti in atto da tempo e sembra non solo inarrestabile, ma anche in vertiginosa accelerazione. Pensandoci bene, sempre a Bologna, dove c’è stata una vittoria schiacciante, Lepore andrà a governare con il 30% dei consensi in città tra gli aventi diritto. Dato che, pur legittimo, fa riflettere e impressiona rispetto a quel 60% circa dei voti dei votanti che si sta portando a casa in queste ore e che viene sbattuto su tutti i media.
È troppo presto ancora per capire se l’astensione sia endemica delle periferie e delle aree più difficili, sia quindi una questione di “classe” o se sia più generalizzata. Ma se vogliamo capire da dove viene questa disaffezione nei confronti della volontà di scegliersi i propri rappresentanti dobbiamo andare a scavare nella crisi del sistema partitico, nella disaffezione che sempre più prende piede tra gli elettori nei confronti di quei corpi intermedi che per un secolo hanno rappresentato lo sfogo delle rivendicazioni dei cittadini.
Questa crisi è ormai di lungo corso, con cause che si intrecciano come l’allontanamento dal popolo con la chiusura delle sezioni, la fine dei partiti di massa e l’incapacità di esprimere una classe dirigente che possa essere capace politicamente e rappresentativa, ma non solo, anche l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti ha dato una bella botta a quel mondo, come dimostra anche la recente inchiesta di Fanpage.it su Fratelli d’Italia, con i candidati più preoccupati di riuscire a trovare finanziamenti, leciti o illeciti, che li sottopongano a ricatti più o meno grandi, piuttosto che di pensare a quali proposte concrete portare agli elettori. Infine, o meglio in principio, la fine del mondo bipolare e l’assorbimento di tutto l’arco parlamentare all’interno del sistema capitalista ha fatto gran parte del lavoro.
È proprio da quest’ultimo assunto che bisogna andare ad estrapolare il dato che via, via diventa sempre più preoccupante, perché oggi non siamo che ad una conseguenza di quella storia. I cittadini si sentono stritolati tra una classe politica dalla quale non si sentono più rappresentati e la grande tenaglia del “tanto non cambia niente”, insomma, torniamo sempre al “there is no alternative”. E per molti, infatti, questa alternative non c’è proprio. Anche le liste più piccole, gli outsider, vengono (quasi) completamente snobbati (unica eccezione Riccardo Laterza di Adesso Trieste che se ne esce con un dignitoso 8,5%), ed è così che vediamo Paragone col 3% a Milano o la Clemente sostenuta da PaP e altri, ma con un volto istituzionale in quanto ex Assessore della giunta De Magistris, relegata ad un misero 5%.
Insomma, piuttosto che votare qualsiasi cosa me ne sto a casa. È questo che ha pensato un italiano su due. Ed è questa anche la conseguenza del tanto magnificato “Effetto Draghi”, che non è altro che un reflusso post-democratico. La mancanza di alternativa nel Paese è evidente dalle dinamiche parlamentari, da un Governo maxi, allargato all’inverosimile, e da un’opposizione, l’unica quella di Fratelli d’Italia (infatti non è un caso che sia l’unico partito a crescere di molto in termini di numeri reali) che comunque si mantiene su toni pacati e su un livello di conflitto, anche dialettico, molto basso.
In questa dinamica pesa anche il “tradimento” pro-establishment del Movimento 5 Stelle, che aveva ri-catalizzato energie perdute, in un certo senso, dalla sparizione dei partiti anti-sistema. Un durissimo colpo per una fetta importante di popolo al quale si sono voltate le spalle in continuazione e che non riesce a trovare stabilità elettorale, che non riesce ad affezionarsi e che quindi preferisce rimanere a casa (e infatti il Movimento 5 Stelle crolla dappertutto, anche a Roma).
E mentre le macerie della democrazia si fanno sempre più alte, ci ha pensato Enrico Letta, appena eletto alle supplettive nel Collegio di Siena a ricordare a quel popolo che non è andato a votare che la storia è pronta a tornare a bussare alle loro case per prendere dalle loro tasche. “La pandemia sta finendo” ha detto “tra poco torneremo alla normalità e torneranno alla normalità anche le regole europee, perché non si può continuare a fare debito”. Insomma, perché non proseguire con le politiche che ci hanno condotto a non riuscire ad affrontare al meglio una pandemia per colpa dei tagli alla spesa pubblica?
Italiani avvisati, italiani mezzi salvati. O forse no. Perché la metà ha già rinunciato a decidere le proprie sorti. E non è una colpa, sia ben chiaro. È evidente che c’è una lacuna, una mancanza di offerta, un vuoto. E dove c’è un vuoto c’è uno spazio da riempire.
È ora di farlo, è ora di dare una scelta credibile ai cittadini prima che sia troppo tardi, prima che l’Effetto Draghi ci travolga.