ESCLUSIVO. Patrick Lawrence - Il collasso nell'incoerenza della civiltà occidentale

Un nuovo editoriale del grande giornalista statunitense per l'AntiDiplomatico. "I quattro anni di Joe Biden alla Casa Bianca hanno segnato una significativa escalation nel tasso di declino dell'America. A due mesi dall'inizio del suo secondo mandato, è già chiaro che Trump accelererà il collasso della nazione nell'incoerenza ancora più rapidamente."

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ESCLUSIVO.  Patrick Lawrence - Il collasso nell'incoerenza della civiltà occidentale



di Patrick Lawrence per l'AntiDiplomatico


Di tutte le frasi che J.D. Vance ha pronunciato alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, mandando in preda ad un parossismo di angoscia gli europei presenti, la prima credo che fosse quella maggiormente degna di nota. Ecco il passaggio su cui ho riflettuto molte volte da quando il vice-presidente degli Stati Uniti ha “scioccato” il suo pubblico, e aggiungerei tutto il mondo occidentale, durante il summit di metà febbraio nella capitale bavarese:

 

La minaccia che mi preoccupa di più rispetto all'Europa non è la Russia, non è la Cina, non è nessun altro attore esterno. Quello che mi preoccupa è la minaccia dall'interno, il ritiro dell'Europa da alcuni dei suoi valori più fondamentali: valori condivisi con gli Stati Uniti d'America...

 

È un'affermazione incredibilmente vera, degna di nota anche perché l'ultima cosa che i leader delle democrazie occidentali post-democratiche vogliono affrontare mentre pretendono di governare è la putrefazione interna, politica, economica, sociale, di cui sono in gran parte, se non del tutto, responsabili. I problemi dell'Occidente sono sempre colpa di qualche altra nazione. Vance, in poche frasi, ha mandato in frantumi questa finzione. Ecco un leader occidentale che dice ciò che è stato a lungo considerato parte del “grande tabù”, come chiamo le tante, tantissime questioni che le élite neoliberiste escludono dal discorso pubblico.

C'è un aspetto del ragionamento di J.D. Vance che mi ha fatto particolarmente riflettere. Aveva ragione riguardo ai fallimenti e alle mancanze degli europei, la loro discesa in ogni sorta di misure antidemocratiche in difesa delle ortodossie comuni a tutti i centristi neoliberali. Ma Vance non riesce a vedere, mi sono chiesto, che il governo di cui fa parte è vulnerabile agli stessi errori, alla stessa decadenza? La mia domanda è diventata sempre più urgente da quando il vicepresidente è stato a Monaco - e per una semplice ragione. L'amministrazione Trump ultimamente si sta dimostrando peggiore, a questo punto molto peggiore di giorno in giorno, direi, degli europei che ha giustamente castigato.

Per un certo periodo, durante il primo mandato di Donald Trump e i primi giorni del secondo, si è pensato che quelle poche idee che coltivava e che si potevano considerare valide (una nuova distensione con la Russia, la fine delle guerre avventurose dell'America, una svolta nazionale verso la maggioranza lavoratrice dell'America) lo avrebbero redento, avrebbero compensato tutti i suoi errori, le sue stupidità, i calcoli errati derivanti dalla sua inesperienza politica.

 

Non è più possibile difendere questo ragionamento.

I quattro anni di Joe Biden alla Casa Bianca hanno segnato una significativa escalation nel tasso di declino dell'America. A due mesi dall'inizio del suo secondo mandato, è già chiaro che Trump accelererà il collasso della nazione nell'incoerenza ancora più rapidamente. E se una caratteristica dei programmi di Trump emerge su tutte le altre è l'evidente intento della sua amministrazione: la distruzione.

La politica estera di Trump, forse è superfluo dirlo, è già un disastro. L'uomo che ha proposto di porre fine alla campagna di terrore dell'Israele sionista contro il popolo palestinese ora autorizza “lo Stato ebraico” a violare l'accordo di cessate il fuoco negoziato da uno degli inviati di Trump appena un mese fa. L'uomo che ha promesso di porre fine alla guerra in Ucraina e di ripristinare le relazioni con la Russia ha appena deciso, un grave tradimento nei confronti di Mosca, di continuare a fornire al regime di Kiev armi e informazioni essenziali sul campo di battaglia.

Si può attribuire il disastro sul fronte della sicurezza nazionale all'incompetenza. O come ha detto l'altro giorno Yves Smith, pseudonimo di un commentatore americano che ha studiato Trump, su Naked Capitalism: “Sta diventando sempre più evidente che la sua [di Trump] priorità assoluta è dominare qualsiasi interazione, indipendentemente dal fatto che ciò favorisca un obiettivo a lungo termine”. Non ci si può aspettare coerenza quando contano solo le dimostrazioni di controllo.

Non so come si presenti il progetto interno dell'amministrazione Trump dall'altra parte dell'Atlantico, ma è in patria che l'incompetenza, questa su larga scala, incontra un desiderio di demolire le istituzioni e le strutture di governo che è inconfondibilmente patologico.

Elon Musk, il criptofascista che Trump ha scatenato sul governo federale, sta facendo a pezzi dipartimenti e agenzie con sconsiderata noncuranza. L'intento dichiarato del falso “Dipartimento per l'efficienza del governo” di Musk è quello di tagliare i costi, e nessuno può negare che non ci sia una enorme propaggine in tutte le tentacolari burocrazie di Washington. Ma spogliare le agenzie governative al punto da renderle incapaci di funzionare? Questo è ciò che intendo per impulso patologico. C'è una compulsione all'opera che giustifica, e lo sostengo con convinzione, un'indagine psichiatrica. Alcuni complessi nevrotici che sfociano in comportamenti irrazionali, odi inconsci, risentimenti, sembrano essere sublimati in questo programma di distruzione burocratica, per quanto infantile.

È ormai evidente che Trump, il presidente in persona, non un “aiutante” come Musk, abbia organizzato una campagna totale contro le istituzioni scolastiche statunitensi. Ci sono persone vicine a Trump che sostengono la distruzione totale del Dipartimento dell'Istruzione. Più specificatamente, la Casa Bianca di Trump ha appena iniziato ad attaccare le principali università con la falsa argomentazione che ci sia un antisemitismo dilagante.

Questa impresa catastrofica è stata avviata lo scorso fine settimana, quando gli agenti dell'Immigrazione e delle Dogane hanno arrestato, mentre si trovava nel suo appartamento di Manhattan, Mahmoud Khalil, uno dei leader delle proteste dell'anno scorso alla Columbia University contro il genocidio di Israele a Gaza. Khalil è di origine palestinese e residente legale negli Stati Uniti. Non ha commesso alcun crimine. Nello spiegare il suo arresto, la sua detenzione e l'intenzione dell'amministrazione Trump di espellerlo, un portavoce del governo ha dichiarato che le opinioni di Khalil “sono in linea con quelle di Hamas”.

Nessuno ha ancora spiegato questa frase: non ha, infatti, alcun significato. Molti hanno sottolineato che “allinearsi” a qualcuno o a un'entità è un diritto costituzionale. L'arresto di Khalil non solo equivale a un attacco al Primo Emendamento americano, l'articolo sulla libertà di parola nella Costituzione, ma, secondo la spiegazione fornita, non è altro che un'affermazione ufficiale di controllo del pensiero.

Queste questioni sono varianti di ciò di cui J.D. Vance si è lamentato nel suo discorso di Monaco. Non abbiamo più sentito nulla da Vance dall'arresto di Mahmoud Khalil.

Ecco un breve passaggio del discorso che Donald Trump ha pronunciato alla sua inaugurazione il 20 gennaio:

 

Dopo anni e anni di sforzi federali illegali e incostituzionali per limitare la libertà di espressione, firmerò anch'io un ordine esecutivo per porre immediatamente fine a ogni censura governativa e riportare la libertà di parola in America.

 

Trump ha fatto bene a mettere in evidenza le vergognose operazioni di censura condotte durante gli anni di Biden. E ha effettivamente approvato un ordine esecutivo, uno dei tanti che ha firmato nei suoi primi giorni di mandato, che garantisce il ripristino dei diritti del Primo Emendamento in America. Questa era sicuramente una delle cose che Vance aveva in mente quando ha parlato a Monaco. E ora Mahmoud Khalil, accusato di nessun crimine, attende di essere deportato in un carcere dell'Immigrazione e delle Dogane in una sperduta regione della Louisiana.

 

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Potrei continuare all'infinito elencando le azioni discutibili di Trump e del suo entourage. L'elenco dei misfatti è lungo e continuerà a crescere. Ma lascio questo ai cronisti. Il mio obiettivo è identificare il significato fondamentale della decadenza evidente tra le élite governative americane da alcuni anni a questa parte. È presente anche in Europa, proprio come ha affermato J.D. Vance il mese scorso, ma permettetemi, per favore, di essere solo un altro americano egocentrico per un momento. Qualcosa è successo negli ultimi anni tra coloro che pretendono di guidare l'America. Che cos'è?

Mentre rifletto su questa domanda, mi viene in mente Arnold Toynbee, lo storico inglese un tempo celebrato e ora fuori moda.

Toynbee era uno studioso delle civiltà, in particolare delle loro ascese e declini. Nei 12 volumi pubblicati dal 1934 al 1961 editi come A Study of History, ne ha esaminate 26 e ha tratto alcune conclusioni.

Una di queste era che le grandi civiltà, quelle di cui leggiamo nei testi universitari, sorsero quando le élite dotate di immaginazione, creatività e una certa dose di coraggio risposero a una o più circostanze che richiedevano un intervento per la sopravvivenza di un popolo. Tra gli esempi spesso citati da Toynbee c'erano i Sumeri, le cui élite organizzarono coloro che erano sotto di loro per sviluppare vasti sistemi di irrigazione che salvarono la civiltà. Sfida e risposta: questo era il termine usato da Toynbee per indicare il fenomeno che aveva identificato come comune alle civiltà che aveva studiato. “L'uomo raggiunge la civiltà, non come risultato di doti biologiche superiori o dell'ambiente geografico”, scrisse, “ma come risposta a una sfida in una situazione di particolare difficoltà che lo spinge a compiere uno sforzo senza precedenti”. L'ascesa delle civiltà, quindi, è una questione di spirito: questa era la sua tesi.

Ok, ma come cadono le civiltà? Per rispondere a questa domanda Toynbee applicò un'altra delle sue leggi della storia. E si tratta della stessa domanda, solo capovolta.

Raramente, se non mai, nelle sue lunghe esplorazioni del passato, Toynbee ha trovato società che sono crollate a causa di fattori esterni: aggressioni, cambiamenti ambientali e così via. La fine inizia quasi sempre, forse un po' sorprendentemente, con un cedimento spirituale. Le élite al potere, in parole povere, perdono il loro dinamismo. Le civiltà che hanno ereditato da lontani antenati non le ispirano più, oppure le danno per scontate in quanto eterne e non le curano adeguatamente. È a questo punto che declinano nell'avidità, nella decadenza di ogni tipo, nell'egocentrismo, nel nazionalismo aggressivo, nelle avventure militari senza senso, in una o nell'altra forma di dispotismo.

Da qualche parte in A Study of History (e la mia edizione è in un caveau insieme al resto della mia vita), Toynbee lo esprime così: le società falliscono quasi sempre perché le loro élite le hanno assassinate o si sono suicidate. Forse ci sono delle eccezioni a questa legge scientifica: che dire delle antiche civiltà del sud-ovest americano che si sono rapidamente disintegrate quando la terra arabile ha esaurito le sue risorse? Ma questa mi sembra una sintesi elegantemente semplice delle scoperte di Toynbee.

È stato il discorso di Monaco di Baviera di J.D. Vance a spingermi a pensare a Toynbee. Il populista americano aveva letto il famoso erudito inglese? Forse, ho pensato all'inizio, ma poi ho concluso che non aveva importanza. Se Vance ha davvero letto A Study of History, certamente non ne ha tratto le sue lezioni all’interno.

Patrick  Lawrence

Patrick Lawrence


Patrick Lawrence
, corrispondente all'estero per molti anni, soprattutto per l'International Herald Tribune. Saggista, autore e conferenziere. Il suo nuovo libro, Journalists and Their Shadows, è in uscita per Clarity Press. Il suo sito web è Patrick Lawrence.

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