Facebook, Twitter e la censura pro Biden

Facebook, Twitter e la censura pro Biden

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di Francesco Corrado


Stavolta i social media più potenti del mondo cioè Twitter e Facebook l’hanno fatta proprio sporca. Un paio di settimane fa il New York Post ha iniziato a pubblicare delle mail, molto compromettenti, di Hunter Biden, figlio di Joe, candidato democratico alla Casa Bianca. Da queste mail risulterebbe chiaramente che tutti i sospetti che in questi ultimi anni si erano addensati sulla figura di Hunter Biden (e del padre) sarebbero essere corretti. La notizia è stata immediatamente censurata dai social media: i profili di chi voleva condividere la storia venivano bloccati e su Twitter era impossibile ritwittare la pagina del NYP.

In pratica ci troviamo di fronte a due scandali veri e propri al prezzo di uno: innanzitutto la vicenda che vede protagonisti i due Biden e poi la censura illegittima dei social accompagnata dalla censura dei media mainstream e dalle menzogne assurde con cui si sta cercando di salvare Biden. Perché a pochi giorni dalle elezioni la notizia è una bomba.

Veniamo alla questione dei due Biden. Sappiamo che Hunter Biden sedeva nel consiglio di amministrazione della Burisma, una delle compagnie petrolifere private più grandi di Ucraina, pur non avendo nessuna competenza né nel settore energetico, né come esperto di questioni geopolitiche. Aveva una qualifica fondamentale: era il figlio del vicepresidente USA con delega speciale all’Ucraina. Del resto la stessa cosa si era verificata anche in Cina e dalle nuove rivelazioni anche in altri paesi (lussemburgo, Oman, Romania ed altri)

Non si tratta solo di nepotismo, come è manifesto, ma di un potenziale conflitto di interessi enorme, cosa di cui pure un bambino si renderebbe conto. Lo mette in chiaro la commissione del senato sulla sicurezza nazionale e gli affari governativi che ha stilato un rapporto di un centinaio di pagine dal nome “Hunter Biden, Burisma e corruzione: impatto sulla politica governativa e problemi connessi”. La commissione ha scoperto che durante la presidenza Obama il governo era consapevole della questione e si considerava problematico il ruolo del figlio di Biden perché questo causava interferenze con la politica USA in Ucraina. Del resto questa è sempre stata l’opinione di George Kent numero due dell’ambasciata USA in Ucraina, preoccupatissimo dall’ingresso di Hunter Biden nel consiglio di amministrazione di Burisma, sospettata di essere dedita al riciclaggio di denaro.

Joe Biden è sempre riuscito a schivare le domande in merito, anche grazie allo zerbinaggio dei giornalisti USA, che ad onor del vero, anche se timidamente, la domanda l’hanno posta spesso. Niente a che vedere con lo spazio riservato alle balle sul Russiagate. La cosa è passata quindi ampiamente sotto silenzio. Poi, la settimana scorsa, la pubblicazione delle mail di Hunter Biden.

Da dove saltano fuori?

Pare che nell’aprile del 2019 Hunter Biden abbia portato un proprio computer da un tecnico di Wilmington, nel Delaware, perché li aggiustasse, ma non è mai andato a recuperarli. Il titolare del negozio, tal John Paul Mac Isaac, ha cercato di contattarlo dopo la riparazione ma è stato impossibile. Passati 90 giorni, considerando l’oggetto come abbandonato, il tizio, incuriosito dalle vicende che riguardavano il figlio di Biden, ha deciso di dare un occhio al contenuto del PC ed ha immediatamente contattato l’FBI che si è impossessato del PC. Visto che la cosa non veniva fuori il titolare del negozio, che aveva copiato il contenuto della memoria, ha contattato il senatore Mike Lee e un gruppo politico conservatore che però non hanno risposto. Allora ha inviato una mail a Rudy Giuliani che invece si è gettato sulle informazioni come un avvoltoio tramite il suo avvocato.

Giuliani sarebbe venuto in possesso del contenuto degli hard disk una decina di mesi fa. Nel complesso si tratta di oltre 20.000 foto e di 11.000 mail di cui molte personali.

La storia ad occhio e croce sembra essere del tutto genuina dato appunto che ci si trova di fronte ad un archivio fotografico, pare molto imbarazzante e molto intimo: Giuliani ha detto in un’intervista alla televisione USA che alcune foto sono di per se prove di reato, forse alludendo alla tossicodipendenza di Hunter Biden (cosa che a noi non interessa per niente). Peraltro iniziano a venire fuori conferme, dato che questi fatti riguardano un bel po’ di persone che verranno coinvolte e c’è già chi ha confermato l’autenticità delle mail.

A questo punto “gli oligarchi della Silicon Valley” hanno deciso di impedire la diffusione della notizia censurandola. La motivazione apportata è stata che il materiale che forniva la base degli articoli del NYP sarebbe stato rubato o ackerato. Ancora fino a qualche giorno fa (ad oltre 10 giorni dalla vicenda) l’account di Twitter del New York Post era ancora chiuso, pare per ordine di Jack Dorsey.

Ovviamente la scusa che il materiale sia hackerato è sconcertante: infatti lo scoop del NYP è impeccabile giornalisticamente. I dati non sono rubati in quanto il computer è stato, di fatto, abbandonato. In questi giorni i ceo dei big tech (Google, Twitter, Facebook) hanno dovuto affrontare le domande dei parlamentari, soprattutto repubblicani (ovviamente), inferociti per la condotta censoria dei social media.

Chiariamo un punto: i vari social non sono considerati editori in quanto loro non pubblicano niente e quindi non sono sottoposti alle leggi sull’editoria. Legalmente FB, Twitter, Youtube sono come un negozio di libri: non rispondono del contenuto di ciò che viene pubblicato. Ebbene questo viene smentito dalla continua pratica censoria che i social adottano. Il presunto fact checking è del tutto arbitrario e noi dell’antidiplomatico lo sperimentiamo quotidianamente.

Ovviamente la faccenda delle mail di Hunter Biden è stata esclusa anche dai media. Considerata come disinformazione russa, cosa questa di una sciocchezza quasi surreale, tutta la vicenda è stata censurata basandosi su menzogne, altro che fact checking. Ieri abbiamo pubblicato un articolo che spiegava le dimissioni del giornalista Glenn Greenwald (premio pulitzer e una delle voci più autorevoli del giornalismo di sinistra USA), dall’Intercept, da lui stesso fondato, perché la redazione gli ha impedito di trattare l’argomento per non nuocere alla campagna elettorale di Biden.

Ebbene Greenwald ci spiega come il suo giornale abbia pubblicato un solo articolo sulla questione delle mail di Hunter Biden proprio per mentire al pubblico americano, spiegando che si trattava di disinformazione russa e basando il tutto su una lettera di ex agenti dei servizi i quali nella lettera aggiungono di non avere nessuna prova di ciò che affermano. Il fatto che questo particolare sia stato omesso nell'articolo fa capire qual è il livello della partigianeria e della mancanza di professionalità.


Molti temono una seconda presidenza Trump. Mbè diciamo che non è proprio un sogno, ma nemmeno un incubo come sarebbe una presidenza DEM dedita alle guerre come primo obiettivo. Se il premio Nobel Barack Obama ha iniziato sette guerre, il tizio arancione non ne ha iniziata nessuna. Ma il vero problema è un altro: dopo quattro anni di presidenza Trump negli USA non c'è nessuna dittatura e dubitiamo che Trump la voglia instaurare negli eventuali prossimi quattro. Il fatto che dovrebbe preoccupare è una stampa, con tanto di social media, totalmente asservita ad un partito politico, ma soprattutto ai poteri che lo sostengono: ogni dittatura si basa sul controllo stretto dei media. In questi quattro anni nessuno può dubitare che Trump li abbia avuti quasi tutti contro e che l'attuale presidente niente abbia fatto per impossessarsene. 


Chi sa cosa veramente sia un democrazia, al di là degli slogan, è consapevole che è Biden il vero problema.

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