"Fascista" e "antifascista"? Letta e Meloni: due facce della stessa medaglia neoliberista
di Alessandro Somma - La Fionda
Sicuramente le liste di Fratelli d’Italia includono nostalgici del ventennio fascista e questi daranno il loro voto al partito di Giorgia Meloni. Altrettanto sicuramente incentrare la campagna elettorale su questo aspetto non porta lontano, tanto più se lo si fa per accreditare una contrapposizione tra la destra e il Piddì che non regge a una lettura meno superficiale del fascismo.
Quest’ultimo ha azzerato le libertà politiche e dunque la democrazia: è l’aspetto più noto, che trova riscontro nell’iconografia del ventennio, fatta di immagini pensate per documentare la violenza sugli oppositori. Il fascismo non ha però azzerato le libertà economiche: non ha soppresso la proprietà privata e neppure ostacolato il funzionamento del mercato. Al contrario ha riformato quelle libertà, le ha disciplinate trasformando lo Stato nella mano visibile chiamata a rendere storicamente possibile il funzionamento del capitalismo. E proprio per riformare le libertà economiche ha soppresso le libertà politiche: passaggio indispensabile a eliminare l’ostacolo al funzionamento del capitalismo rappresentato dal conflitto sociale.
Tutto questo è noto da tempo, almeno dalle ricerche di Karl Polanyi condotte fin dalla prima metà degli anni quaranta. Altrettanto noto è che la combinazione di libertà politiche azzerate, o quantomeno comprimibili, e libertà economiche riformate, è la ricetta fondativa del neoliberalismo: teoria che non a caso prende corpo alla fine degli anni trenta e conosce le prime applicazioni durante le dittature fasciste.
Se così stanno le cose si capisce allora che la contrapposizione tra Letta e Meloni non la si può costruire a partire dall’antifascismo, che preso sul serio dovrebbe essere innanzi tutto declinato come anti-neoliberalismo. Giacché i due rappresentano semplicemente versioni diverse del neoliberalismo: quello del Piddì mascherato dalla retorica sui diritti civili, e quello di Fratelli d’Italia dal richiamo a valori premoderni, in entrambi i casi per sostenere la modernità capitalistica.
Ma non è tutto. Per mettere in scena la finta contrapposizione tra Letta e Meloni, il primo ha recentemente registrato videomessaggi in francese, inglese e spagnolo indicando la seconda come la persona che, da Presidente del Consiglio, distruggerebbe l’Italia e l’Europa. Qui non interessa il merito del discorso, ma il fatto che non sia utilizzato in casa come arma di propaganda. Letta ha fatto ben altro: ha avvisato i partner europei che il probabile futuro premier italiano deve essere emarginato. Ha cioè fornito l’alibi per isolare l’Italia nel contesto europeo e internazionale, ovvero per danneggiare il Paese. E lo ha fatto per ragioni di bottega, per buttare benzina sul fuoco della squallida campagna elettorale italiana. È un fatto di inaudita gravità, che la dice lunga su Letta e il Piddì: neoliberali dentro, come Meloni e Fratelli d’Italia, e cialtroni fuori, sempre pronti a buttarla in caciara per nascondere la loro vera natura di mosche cocchiere del pensiero unico.