Fmi: aggiornamento sull’andamento dell’economia globale
di Federico Giusti e Emiliano Gentili
Il Fondo Monetario Internazionale ha appena pubblicato l’aggiornamento del World Economic Outlook[1], che descrive l’andamento dell’economia globale. Per quanto il rapporto completo sarà disponibile solo a metà maggio, alla luce di quanto pubblicato finora è comunque chiaro che le statistiche e le previsioni disponibili a inizio 2025 stanno dimostrando oggi di essere state fin troppo ottimistiche.
È ovvio che non siamo in un periodo di stabilità economica che consenta previsioni agevoli: a livello economico, militare e finanziario si stanno ridefinendo con estrema rapidità equilibri e assetti dell’economia capitalista. Da qualche anno ci siamo abituati ai grandi shock – dalla pandemia alla guerra in Ucraina, per capirci – e regole un tempo considerate ferree, per non dire auree, come quelle che hanno imposto l'Austerity hanno mostrato un valore (o disvalore, dipendendo dai punti di vista) molto relativo.
Effetti dei dazi sul mercato globale
Dall’austerità ci risvegliamo oggi, in un incubo ben peggiore centrato sull’impegno militare diretto degli Stati nazionali e della Ue (fino al piano RearmEU), sostenuto da una riorganizzazione economica che ci sta traghettando rapidamente verso una vera e propria “economia di guerra”: dazi o non dazi la guerra commerciale è iniziata e non lascerà scampo, soprattutto alle economie fragili e in declino.
Il tasso tariffario medio degli Stati Uniti, considerando i dazi di Trump, supera oggi i livelli della Grande Depressione e arriva al 25,50% (nel 2024 le tariffe medie sui prezzi erano solo del 2,40%). Nonostante ne sia prevista una rapida discesa (dovuta principalmente all’applicazione di nuove esenzioni sui dazi, che secondo le previsioni degli economisti borghesi dovrebbero via via diventare sempre più estese[2]), l’economia “globalizzata” di oggi comporterà un forte ridimensionamento della crescita mondiale nei prossimi mesi e a farne le spese saranno i lavoratori.
Nel rapporto del Fondo Monetario Internazionale si prende in esame il lasso di tempo che va dal primo all'ultimo annuncio di Trump in materia di tariffe doganali (un periodo compreso tra il 1° febbraio e il 4 aprile), producendo molteplici valutazioni sulla base dei vari scenari possibili, anche di quello senza dazi. Tuttavia, sia con che senza dazi le previsioni di crescita sono veramente modeste. Secondo il Fmi gli Usa stanno applicando le tariffe a livelli «decisamente proibitivi».
Al di là dei dati quantitativi sulla crescita, i dazi potrebbero produrre anche cambiamenti profondi nelle economie, ad esempio favorendo i processi speculativi finanziari (così come la rendita) e limitando il principio della libera concorrenza.
Soprattutto, le nuove tariffe commerciali andranno a ridefinire un altro aspetto fino ad oggi dirimente nella economia capitalistica: le catene di approvvigionamento internazionali (cd. ‘supply chain’, “catene del valore”, ecc.). I dazi, infatti, impongono revisioni al rialzo del costo delle merci e questo andrà a compromettere almeno in parte quel delicato sistema di equilibri, diverso caso per caso, col quale le aziende appartenenti a una medesima filiera produttiva riescono a mantenersi coordinate fra loro ed efficienti.
Laddove non era riuscita la pandemia, con il rallentamento degli scambi commerciali e il blocco delle forniture di chip, potrebbe invece farcela la politica dei dazi: forse è anche per questo che Trump sta acquisendo tempo rispetto alla iniziale tabella di marcia, perché sa che a pagare i costi di certe scelte potrebbe ritrovarsi anche il paese economicamente e militarmente più forte, quello cioè che estrae i maggiori profitti dalle catene del valore per il fatto che al loro interno le aziende statunitensi sono spesso in posizione predominante e si occupano delle fasi produttive, commerciali e di progettazione più redditizie.
Un altro effetto dei dazi lo si avrà sulla centralità del Dollaro Usa, non si sa ancora bene se in senso favorevole o sfavorevole al governo statunitense. Una sorta di deprezzamento del valore reale del Dollaro, ad esempio, potrebbe verificarsi qualora la produttività dei beni commerciali Usa dovesse risultare inferiore rispetto a quella dei paesi concorrenti.
Usa e Ue
La situazione di profonda incertezza riguarda quindi l'intera economia – anche se non si prevede una recessione globale – ma deriva sostanzialmente dalle scelte economico-finanziarie, commerciali e politiche dei paesi dominanti.
L'inflazione globale è rivista al rialzo di circa 0,1 punti percentuali per ogni anno, ma la dinamica della disinflazione continua. Il commercio globale è stato finora piuttosto resiliente, in parte perché le imprese sono state in grado di reindirizzare i flussi commerciali quando necessario. Questa volta potrebbe diventare più difficile. Prevediamo che la crescita del commercio globale diminuirà più della produzione, fino all'1,7% nel 2025, una significativa revisione al ribasso rispetto al nostro aggiornamento WEO di gennaio 2025.
Ben prima degli annunci di Trump l'economia Usa presentava un calo della domanda e vedeva la chiusura di siti produttivi e difficoltà nel rimpatrio di produzioni precedentemente delocalizzate (cd. ‘reshoring’ o “reindustrializzazione di ritorno”), che si continuerebbero a trovarsi decisamente meglio in paesi dove il costo del lavoro è assai più basso. Oggi, coi dazi, la stima di crescita negli Stati Uniti per il 2025 si ferma all'1,8%: quasi un punto in meno rispetto alle previsioni diffuse a gennaio. E la situazione sta diventando assai preoccupante anche per il Vecchio continente. Leggiamo testualmente:
La crescita nell'area dell'euro, che è soggetta a tariffe effettive relativamente più basse, è rivista al ribasso di 0,2 punti percentuali, allo 0,8 per cento. Sia nell'area dell'euro che in Cina, un maggiore stimolo fiscale fornirà un certo sostegno quest'anno e il prossimo. Molte economie dei mercati emergenti potrebbero subire rallentamenti significativi a seconda della posizione dei dazi. Abbiamo abbassato le nostre previsioni di crescita per il gruppo di 0,5 punti percentuali, portandolo al 3,7%.
In tale quadro i costi del riarmo sono tali da poter pregiudicare anche la tenuta del welfare, mentre l'aumento delle spese legate all'approvvigionamento energetico potrebbero accrescere l'indebitamento e la spesa per le infrastrutture.
Come dovrebbero essere finanziati [i costi del RearmEU]? Per i paesi con sufficiente spazio fiscale, solo la parte temporanea della spesa aggiuntiva – cioè il sostegno temporaneo per aiutare ad adattarsi al nuovo contesto o il rigonfiamento iniziale della spesa per ricostruire le capacità di difesa – dovrebbe essere finanziata dal debito. Per tutti gli altri paesi, le nuove esigenze di spesa dovrebbero essere compensate da tagli alla spesa altrove o da nuove entrate.
Questi e altri ostacoli produrranno il rischio di non rimanere al passo con la crescita globale della produttività, determinando l’aborto di quel piano Draghi – per la verità già di per sé fin troppo ambizioso – sul quale si basano molte ipotesi di rilancio del Vecchio Continente. Del resto, mentre le potenze estere sono già indirizzate verso l'economia di guerra e alla riconversione di interi settori produttivi non è detto che l’Europa riesca nell'opera ardua di dotarsi di regole comuni – a partire da quelle riguardanti il fisco e le tasse – per attrarre capitali privati che vadano a rafforzare gli investimenti pubblici. E in questo quadro di profondi cambiamenti la vittima sacrificale saranno lo stato sociale, le politiche inclusive e le dinamiche salariali, mentre gli investimenti dovranno essere reindirizzati verso altri lidi. Ad esempio in favore delle infrastrutture per la connettività, necessarie per acquisire e diffondere le nuove tecnologie, specie quelle che utilizzano l'Intelligenza Artificiale.
La “ricetta” del Fmi
Il Fmi intanto diffonde la sua “ricetta”:
L'economia globale ha bisogno di un sistema commerciale chiaro e prevedibile che affronti le lacune di lunga data nelle norme commerciali internazionali, compreso l'uso pervasivo di barriere non tariffarie o di altre misure distorsive degli scambi. Ciò richiederà una migliore cooperazione.
Anche la politica monetaria dovrà rimanere agile. Alcuni paesi potrebbero trovarsi di fronte a compromessi più ripidi tra inflazione e produzione. In altri, le aspettative di inflazione potrebbero diventare meno ancorate, con un nuovo shock inflazionistico che seguirà a ruota il precedente. (…)
L'aumento della volatilità esterna derivante dagli adeguamenti tariffari e un contesto di avversione al rischio possibilmente prolungato potrebbero essere difficili da gestire per i mercati emergenti. (…) La maggior parte dei paesi dispone ancora di un margine di bilancio insufficiente e ha bisogno di attuare piani di risanamento graduali e credibili, mentre alcuni dei paesi più poveri, anch'essi colpiti da una riduzione degli aiuti pubblici, potrebbero trovarsi in difficoltà debitorie.
Si descrive un’economia globale armonizzata e si danno alcuni consigli per ridurre i costi d’impresa e facilitare gli investimenti, ma alla fine il Fmi ammette le difficoltà che colpiranno le popolazioni, in particolare quelle dei paesi economicamente meno sviluppati. Purtroppo la poetica generale del rapporto è integralmente basata sulla narrazione di un capitalismo internazionale cooperativo e democratico, che mai è esistito nella storia reale dell’umanità. Si tratta soltanto di una propaggine ideologica del “cinquantennio dorato” (grossomodo gli anni che vanno dal secondo dopoguerra al passaggio di secolo) durante il quale i capitalisti hanno potuto convincere le popolazioni dei paesi dominanti che, malgrado il mantenersi e l’acuirsi di alcune disuguaglianze, la situazione economica fosse in netto miglioramento per tutti, anche per i più poveri del mondo.
Una narrazione, questa, che non convince del tutto (relativamente al cinquantennio in esame, e non convince per nulla dal punto di vista generale) e che è omissiva di un dettaglio molto importante: quando si acuisce lo scontro fra potenze imperialiste, fra chi lavora non esistono vincitori né vinti. Le popolazioni perdono tutte, ugualmente; anche quelle dei futuri (vecchi o nuovi) paesi dominanti.
Pertanto il lamento finale del Fmi, col quale vogliamo concludere questo articolo, non ha potuto che suscitare in noi un’amara, dolorosa risata. Ciononostante ve ne riportiamo un estratto: è necessario
che i responsabili politici pensino ben oltre la lente riduttiva dei trasferimenti compensativi tra "vincitori" e "perdenti", che si tratti di rivoluzioni tecnologiche o di globalizzazione. In questo, sfortunatamente, non è stato fatto abbastanza, spingendo molti ad abbracciare una visione del mondo a somma zero in cui i guadagni di alcuni vengono solo a spese di altri.
Effettivamente il capitalismo funziona così come sta funzionando ora e, pertanto, produce guerre e miseria. “Sfortunatamente”, s’intende.
[1] Cfr. https://www.imf.org/en/Publications/WEO/Issues/2025/04/22/world-economic-outlook-april-2025.
[2] Cfr. P. Caldwell, I dazi aumentano le probabilità di recessione degli Stati Uniti, 7th April 2025, https://www.morningstar.it/it/news/263172/i-dazi-aumentano-le-probabilit%C3%A0-di-recessione-degli-stati-uniti-.aspx#:~:text=Aliquota%20tariffaria%20effettiva%20media%20degli%20Stati%20Uniti%20(%25)&text=L'aliquota%20tariffaria%20media%20degli,secolo%20per%20gli%20Stati%20Uniti.