Focus elezioni Taiwan

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Focus elezioni Taiwan


di Paolo Arigotti 

Sabato 13 gennaio si è votato a Taiwan per scegliere il nuovo presidente della Repubblica e assegnare i 113 seggi dello Yuan legislativo (il parlamento unicamerale), sei dei quali riservati ai rappresentanti autoctoni. L’isola conta oltre 23 milioni di abitanti, 19,5 dei quali con diritto al voto, avendo compiuto il ventesimo anno di età. L’affluenza è andata oltre le aspettative, superando il 70 per cento.

Per quanto riguarda le presidenziali, a guidare nel prossimo quadriennio la “Repubblica di Cina”, questo il nome ufficiale di quella che per Pechino resta la “provincia ribelle”, sarà Lai Ching-te, attuale vicepresidente di Tsai Ing-Wen, prima donna alla guida di Taiwan, candidato del Partito progressista democratico (DPP). Lai ha ottenuto il 40 per cento dei voti, oltre 5,5 milioni di suffragi, prevalendo sui due competitor: Hou Yu-ih, sindaco di New Taipei e candidato del Kuomintang (partito nazionalista), che ha riscosso il 33,4 per cento, circa 4,6 milioni di preferenze, e Ko wen-je, espressione della terza formazione in lizza, il Partito popolare di Taiwan (Tpp), che ha ottenuto il 26 per cento e quasi 3,7 milioni di voti. Le due formazioni si sono presentate divise, non essendo riuscite a trovare un’intesa che avrebbe forse potuto ridisegnare l’esito della competizione.

Mettendo per un attimo da parte i rapporti con la Cina popolare e lo status internazionale dell’isola, i punti programmatici delle formazioni non si differenziavano più di tanto. Politiche salariali, garanzie per i giovani, diritto alla casa, politica di sostegno ai salari hanno visto le diverse forze sostanzialmente in linea, con alcuni distinguo in materia di politiche educative, sanitarie ed energetiche, pena capitale (tuttora in vigore), mentre sul versante della politica di difesa tutti i candidati propendevano per un aumento della spesa militare e del periodo della leva obbligatoria.

Quelle appena concluse sono state le ottave elezioni multipartitiche celebrate nell’isola, da quando nel 1996 finì il monopolio del Kuomintang, partito del generalissimo Chang Kai-shek, rimasto al potere ininterrottamente dal 1949, quando nell’isola trovarono rifugio, grazie alla protezione statunitense, i residui delle forze sconfitte dai comunisti di Mao Tse-tung. Per la terza volta consecutiva, sarà il partito democratico progressista, formazione politica nata in contrapposizione al Kuomintang, a esprimere il presidente della Repubblica: Lai si insedierà ufficialmente il 20 maggio prossimo, affiancato in qualità di vice da Hsiao Bi Khim, ex ambasciatore “di fatto” negli Stati Uniti.

Come dicevamo, gli elettori taiwanesi sono stati chiamati a rinnovare anche il parlamento, che però non avrà una maggioranza di segno politico affine al capo dello Stato: il Kuomintang avrà un seggio in più rispetto ai democratici (52 contro 51), mentre per raggiungere la maggioranza assoluta di 57 sarà determinante l’apporto del TPP (8 seggi), che si conferma così l’outsider della competizione elettorale, infrangendo l’assetto bipolare che finora aveva caratterizzato la vita politica isolana.

Consapevole della spaccatura in seno all’elettorato, nel discorso della vittoria il futuro presidente ha voluto ribadire l’impegno per un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, tra le quali il contrasto a inflazione e innalzamento dei salari, che sembrano preoccupare la cittadinanza molto più delle questioni internazionali, a cominciare dalla querelle della riunificazione con la Cina continentale.

Solo pochi giorni prima del voto, nel tradizionale discorso di fine anno, il presidente Xi Jinping aveva definito come “inevitabile” il percorso verso la riunificazione, mentre poche settimane fa la Repubblica Popolare aveva deciso di cancellare alcune agevolazioni tariffarie sulle importazioni di determinati prodotti taiwanesi, quale strumento di pressione economica, visto e considerato che il dragone resta per Taipei il primo partner commerciale per importanza. E non è un caso se Taiwan rimanga una delle poche nazioni ad avere un avanzo commerciale nel suo interscambio col gigante asiatico, frutto di una precisa strategia di Pechino, che intenderebbe sfruttare la leva commerciale per spingere alla riunificazione senza l’uso della forza; nella dottrina ufficiale cinese l’opzione del ricorso alle armi resta limitata a casi estremi, come la proclamazione dell’indipendenza da parte di Taipei o l’interferenza di altre potenze (leggi USA).

In Italia, e non solo, diverse testate avevano presentato la linea politica di Lai maggiormente incline alla soluzione indipendentista, come tale destinata a creare forti contrasti con la Cina popolare, che si ispira all’esistenza di una sola Cina, come peraltro fa la quasi totalità della comunità internazionale, tenuto conto che la sovranità taiwanese è riconosciuta oramai da un sparuto numero di governi, ulteriormente ridottisi dopo la notizia dei giorni scorsi secondo cui anche la piccola  Nauru ha deciso di “abbandonare” Taipei[1].

A conti fatti, però, le prime dichiarazioni di Lai sembrano andare in ben altra direzione. Non soltanto il futuro capo dello stato ha detto che la sua missione sarà quella di “mantenere pace e stabilità nello Stretto”, e pur ringraziando gli elettori per il loro “coraggio”, e ribadendo il contrasto a qualunque autoritarismo e continuando nella tradizionale collaborazione con gli Stati Uniti, legati all’isola da importanti accordi economici e militari, Lai si è espresso allo stesso tempo in favore di un rafforzamento della cooperazione economica e dell’interscambio con la Repubblica popolare, a condizioni di reciprocità e dignità, pur ribadendo di voler "resistere alle minacce e alle intimidazioni di Pechino". Insomma, se pure il New York Times ha paventato il rischio di un inasprimento delle relazioni tra Washington e Pechino provocato dall’esito elettorale, non si prospettano grandi sommovimenti nello stretto.

In ultima analisi, le prime parole di Lai lasciano presagire che si opterà per una conservazione dell’attuale status di Taiwan: un’indipendenza de facto, salvaguardata non ufficialmente dagli americani – che sulla carta riconoscono una sola Cina - accompagnata da prese di posizione e scaramucce, talvolta enfatizzate da singoli episodi – pensiamo alla visita del 2022 dell’allora speaker della Camera Nancy Pelosi – che provocano gli strali di Pechino, senza però, almeno per il momento, andare molto oltre le note di protesta e/o le reazioni dimostrative.

La Repubblica Popolare non ha mancato di far conoscere il proprio punto di vista sul voto. Chen Binhua, portavoce dell’Ufficio per gli Affari di Taiwan del governo cinese, ha dichiarato come il voto abbia dimostrato come il Dpp non rappresenti più la parte maggioritaria dell’opinione pubblica, come dimostra la perdita della maggioranza parlamentare, palesando una frattura in seno alla società taiwanese emersa dalle elezioni locali – così le ha definite Pechino – appena celebrate.

Non le manda a dire Xin Qiang, vicedirettore del Centro per gli studi americani dell’Università di Fudan, secondo il quale esiste[2] “il pericolo di provocazioni da parte dei secessionisti di Taiwan e il rischio di una maggiore tensione attraverso lo Stretto […] con il DPP che continua al potere, quindi la Cina deve rafforzare i suoi avvertimenti agli Stati Uniti contro la provocazione dei secessionisti di Taiwan che scatenerebbe uno scontro”, aggiungendo che “ Washington non ha mai rinunciato a usare la questione di Taiwan come carta per contrastare la crescita della Cina, e negli ultimi anni ha raddoppiato gli sforzi in tal senso. La Cina si sforza di mantenere la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan, ma deve anche prepararsi a una maggiore interferenza degli Stati Uniti nel prossimo futuro.” Wang Yi, membro dell'Ufficio Politico del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, ha dichiarato a sua volta che "l'indipendenza di Taiwan" minaccia seriamente il benessere dei compatrioti di Taiwan, danneggia gravemente gli interessi fondamentali della nazione cinese e metterà seriamente in pericolo la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan. È un vicolo cieco e una strada che non porta da nessuna parte.” 

In definitiva la posizioni prevalente, incarnata magari con toni differenti dalle diverse forze politiche, è quella di una conservazione della situazione attuale, senza fughe in avanti, tale da consentire all’isola di mantenere una condizione di favore, che ne fa ancora oggi una delle maggiori potenze economiche a livello mondiale, pure grazie alla produzione ed esportazione di beni ad alta tecnologia, a cominciare dai semiconduttori circa i quali svetta come il primo produttore a livello planetario.

In tal senso, la semplicistica affermazione, pure recata da alcuni media, che vedevano nell’esito della consultazione una sorta di referendum sull’indipendenza e, di conseguenza, sulla pace o sulla guerra nella regione, non ha una reale aderenza alla realtà.

Premesso che la questione è molto meno pregnante per i taiwanesi di quanto trasparirebbe da certe narrazioni, la verità è che come scrive il NYT[3] “I sondaggi mostrano che la maggior parte dei taiwanesi è favorevole al mantenimento dell’ambiguo status quo dell’isola invece di perseguire l’indipendenza totale, rischiando possibili ritorsioni da parte di Pechino.” E, ci permetteremmo di aggiungere noi, rischiando il proprio benessere economico.

 

FONTI

 

www.ilfattoquotidiano.it/2024/01/13/il-nuovo-presidente-di-taiwan-evita-per-ora-lo-scontro-con-la-cina-e-mira-allo-status-quo-manca-la-maggioranza-e-unarma-per-pechino/7409296/

www.avvenire.it/mondo/pagine/taiwan-al-voto-per-il-nuovo-presidente-e-la-cina-blocca-l-hashtag-sulle-elezioni

www.youtube.com/watch?v=nAenYAePd8o “Taiwan al voto: le elezioni che cambieranno il mondo? (No, ma potrebbero cambiare Taiwan...)” – Canale YouTube dazibao

www.wired.it/article/taiwan-elezioni-13-gennaio-cina/

www.politico.eu/article/taiwan-election-crossroads-war-threat-looms/

it.insideover.com/politica/partiti-candidati-programmi-tutto-quello-che-ce-da-sapere-sulle-elezioni-di-taiwan.html

www.nytimes.com/2024/01/14/world/asia/taiwan-election-china-lai-ching-te.html

www.lindipendente.online/2024/01/05/reportage-da-taiwan-lisola-in-bilico-dove-si-gioca-il-futuro-delle-relazioni-globali/

www.china-files.com/china-files-focus-decifrare-le-elezioni-di-taiwan-2024/

tg24.sky.it/mondo/2024/01/13/elezioni-taiwan

www.lindipendente.online/2024/01/13/a-taiwan-vince-la-continuita-del-fronte-pro-occidente/

www.rainews.it/video/2023/12/cina-xi-jinping-alla-tv-di-stato-nel-discorso-di-fine-anno-inevitabile-la-riunificazione-con-taiwan-1c90e8c1-4ed0-4fd3-9192-b012c5471814.html

www.lantidiplomatico.it/dettnews-il_candidato_proindipendenza_lai_chingte_vince_le_elezioni_a_taiwan/45289_52305/

it.insideover.com/economia/la-risposta-di-pechino-agli-usa-cosi-la-cina-puo-stritolare-taiwan.html

www.lantidiplomatico.it/dettnews-nyt_lesito_delle_elezioni_a_taiwan_aggraver_le_tensioni_tra_cina_e_stati_uniti/82_52311/

[1] www.corriere.it/esteri/24_gennaio_15/piccola-isola-nauru-tronca-rapporti-taiwan-pressioni-cina-bc1e7d38-b38f-11ee-8a8d-94970606ad83.shtml

[2] www.globaltimes.cn/page/202401/1305379.shtml

[3] www.nytimes.com/2024/01/14/world/asia/taiwan-election-china-lai-ching-te.html

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