Forze di "pace" e soliti (disperati) sciacalli

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Forze di "pace" e soliti (disperati) sciacalli

 

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Tra gli strascichi del dopo-Ramstein e dei piagnistei su chi e come continuerà a sostenere i nazigolpisti di Kiev dopo l'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, Bloomberg dà notizia di una prossima visita a Vladimir Zelenskij da parte del premier britannico Keir Starmer. E, ancora una volta, contrabbandando le spinte belliciste per “pace” e presunto “cessate il fuoco” - ovviamente: da «imporre alla Russia» - si parlerà del possibile dispiegamento di “forze di pace internazionali” sul suolo ucraino; di nuovo - e altrettanto ovviamente - forze “internazionali” rigorosamente occidentali. Esattamente ciò che ha preteso Zelenskij a Ramstein, affermando che lo schieramento di “forze di pace” in Ucraina potrebbe costituire «uno dei migliori strumenti» per costringere Mosca alla pace: “oh Mosca tu sei bellicosa contro i pacifici nazisti ucraini!”.

Intanto Starmer, tanto per chiarire in anticipo le intenzioni “pacifiste”, si è incontrato col suo degno compare di “forze di pace”, Emmanuel Macron, con cui ha concordato il «sostegno incrollabile» ai nazisti, in modo da assicurar loro una posizione di forza per il 2025. Una posizione di forza “a fin di pace”, ca va sans dire, dal momento che, come ammette uno dei propagandisti della junta, il giornalista Jurij Butusov, i comandi ucraini gettano i mobilitati, impreparati, su posizioni praticamente circondate: ormai, su molte direttrici, afferma, non si è più in grado di contenere l'avanzata russa e si potrebbe presto iniziare a cedere città senza combattere. Dunque, l'invio del “contingente di pace” si fa proprio impellente.

Anche secondo la Reuters, i paesi europei starebbero «attivamente esaminando la possibilità di inviare una missione di pace in Ucraina, in caso di cessazione delle ostilità o loro congelamento». Certo, bisogna crederci davvero che a Londra, Parigi, Roma si voglia la “pace”: come può non essere una “missione di pace”, quella di cui si parla, prevedendone un numero minimo tra 40.000 e 100.000 uomini (e perché non 400.000, o 1.000.000?!) e il cui “nucleo centrale” dovrebbe essere composto di soldati tedeschi, britannici, francesi, italiani e polacchi, da dispiegare agli immediati confini russi?

E come escludere che tale “limitato contingente” non serva anche, già che c'è, a prendersi cura degli interessi materiali delle compagnie energo-alimentari-industriali occidentali, che hanno trasformato le risorse naturali ucraine in proprie riserve di caccia, per imporre l'altolà a chiunque, al di fuori dei “nostri”, osasse avvicinarsi alle ultime fonti di ricchezza rimaste?

Lo scorso dicembre, ricorda PolitNavigator, anche l'americano Wall Street Journal aveva riportato una mezza fandonia, secondo cui lo stesso Trump, incontrandosi con Zelenskij e Macron, avrebbe approvato l'idea di forze europee in Ucraina per monitorare un eventuale cessate il fuoco, insistendo comunque sulla non partecipazione di militari USA.

Ma, intanto, continuano a circolare voci su possibili altre mosse, più “interne” al regime ucraino, o su avvicendamenti tra esponenti della junta. Appena un paio di giorni fa, scrive Svobodnaja Pressa, il filosofo ucraino Sergej Datsjuk ha sollevato un'opportuna questione: «Ci rendiamo conto che l'Ucraina attuale, l'Ucraina nazista, non esisterà mai più. Forse non esisterà affatto nel suo senso attuale; la stessa Crimea, o il Donbass, potrebbero dichiarare che essi stessi sono l'Ucraina, e voi non ci potrete fare nulla, poiché ne hanno il diritto. E allora, come si chiamerà ciò che rimarrà dell'attuale Ucraina?». Forse “Banderania”, vien da arzigogolare?

Il politologo ucraino Konstantin Bondarenko si domanda invece se convenga a Zelenskij aggrapparsi così gelosamente alla presidenza, quando potrebbe benissimo affidare a Valerij Zalužnyj il “lavoro sporco” della firma di un trattato di pace, inteso da non pochi ucraini come una capitolazione. Zelenskij potrebbe tranquillamente dire: «Vedete, io non ho firmato nulla, ho lasciato apposta il mio posto per non accettare una pace vergognosa e la perdita di territori!». Tanto più, dice Bondarenko, che la disastrosa situazione economica non potrà che farsi tragica con la fine del conflitto: gli “aiuti” occidentali non avranno alcun obiettivo filantropico, ma solo di arricchimento dei loro investimenti e allora scoppieranno guerre tra bande ucraine per accaparrarsi ciò che sarà in circolazione (come nella Russia dei primi anni '90, ricordiamo), mettendo in campo le armi, quelle vere, che ora sono in mano ai soldati.

Immaginiamo dunque che l'ipotetico “presidente Zalužnyj” si faccia carico di tutto questo marciume: tempo un paio d'anni, anche in attesa che il vento cambi di nuovo in USA, ed ecco che Zelenskij torna trionfante, nella veste di “presidente integerrimo”, che non ha firmato la resa vergognosa, e si dà a mettere insieme le forze della rivincita. Ci sarà una guerra civile su larga scala: uno scenario verosimile. Credo, dice ancora Bondarenko, che qualcuno della cerchia ristretta di Zelenskij, gli stia suggerendo proprio questo: «Volodja, tu che rappresenti il partito della guerra, in questo momento devi farti un po' da parte. Devi andartene per poi tornare». Magari accompagnato dal “contingente di pace”.

La “pace”, predicano i vari Starmer, Macron, Mattarella: la “pace” come al tempo dei “Minsk 1 e 2”? Quella “pace”? Questa volta dovrebbe essere un po' più prolungata, perché ora le forze ucraine sono proprio distrutte e hanno bisogno di molto più tempo per rimettersi e, soprattutto, le risorse occidentali da destinare ai nazisti sono davvero agli sgoccioli, non come nel 2015, quando tutto era appena agli inizi, mentre oggi la stanchezza fa brutti scherzi.

Tanto più che, secondo il Washington Post, l'ostentata ostilità di Trump nei confronti di Zelenskij starebbe contagiando qualche esponente europeo: stando a Der Spiegel, Olaf Scholz, a dispetto delle intenzioni dei propri ministri degli esteri e della difesa – i bellicisti Annalena Baerbock e Boris Pistorius: lei “verde”, lui “socialdemocratico” - avrebbe tagliato l'ennesimo pacchetto di aiuti finanziari a Kiev, mentre lo scopo del prossimo viaggio di Starmer da Zelenskij, scrive ancora Der Spiegel, dovrebbe servire a convincerlo ad accettare i termini del cessate il fuoco con la Russia.

Abbiamo visto che l'obiettivo del premier britannico non è esattamente quello; sta di fatto, però, che la stanchezza per il sostegno alla junta sta prendendo campo e, ricorda Svobodnaja Pressa, è solo grazie ai timori elettorali di Scholz che Berlino ha posto il veto alla fornitura a Kiev di missili “Taurus” a lunga gittata, su cui tanto insistevano Pistorius e Baerbock, che pretendevano ora l'invio a Kiev di ulteriori 3 miliardi di armi (nel 2025 Kiev riceverà comunque 4 miliardi di euro dalla Germania), tra cui 3 sistemi antiaerei “IRIS-T”, 10 obici, missili per SAM “Patriot” e munizioni d'artiglieria, motivandolo con il «deterioramento della situazione al fronte» e con l'incertezza sul futuro sostegno militare USA.

E anche dalla “fedele” Polonia arrivano segnali non del tutto incoraggianti per la junta: «Crescono le contraddizioni», sussurrano a Varsavia dopo Ramstein, con il Ministro della difesa Wladyslaw Kosiniak-Kamysz costretto a riscontrare il serpeggiare di “umori negativi” sull'Ucraina: «la stanchezza per il conflitto è enorme e la gente è stufa».

Così che lo stesso portavoce presidenziale russo, Dmitrij Peskov, non può che constatare, da parte occidentale, «molti disaccordi sulle prospettive, sulle modalità di ulteriore assistenza, sulla sua efficacia». E la senatrice russa Ol'ga Elifanova dichiara a RT che la situazione al fronte e l'uscita di scena di Biden non favoriscono il buon umore in Europa e in Ucraina, tanto che lo stesso Zelenskij, dice Elifanova, deve ammettere «il serio disastro degli ultimi tempi», mentre gli «investitori europei ne hanno fin troppo di questo assurdo e costoso conflitto». Quindi, per la junta diventa sempre più difficile continuare a «elemosinare fondi per continuare il massacro».

Sarebbe tempo che la stanchezza, non solo degli “investitori”, ma delle masse popolari europee, su cui ricade il gran peso dei costi di un conflitto scatenato per gli interessi economico-commerciali di una potenza in declino, cominciasse a prendere forme più organizzate che non le semplici, per quanto doverose, “aspirazioni” alla pace.

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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