Fulvio Grimaldi - Oltre la pirotecnica dei dazi Trump. Pupi, Pupari verso l'Armageddon

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Fulvio Grimaldi - Oltre la pirotecnica dei dazi Trump. Pupi, Pupari verso l'Armageddon

 

di Fulvio Grimaldi

Apro questo articolo sul quadro geopolitico determinato dalla comparsa di Trump, con un aggiornamento relativo ai fatti di Ucraina.

La tragedia dei 30 morti e oltre 100 feriti di Sumy, colpita, secondo quanto comunicato da Kiev, da due missili russi, è metaforicamente un ordigno nucleare piombato sui negoziati di pace avviati da Trump e Putin e ferocemente avversati da leader europei che puntano a un colossale riarmo “per difendersi dall’aggressione russa”. Che nessun russo pare immaginare, ma che è data per scontata.

Andrebbe subito precisato che, se ignoriamo la legge fuorilegge dei due pesi e due misure, che detta la linea del complesso politico-mediatico occidentale, Sumy sta a Gaza come un temporale sta a un sisma del 7° grado. La strage di un giorno contro un genocidio di 18 mesi. Quanto di orribile successo a Sumy nella Domenica delle Palme, a Gaza, e ora anche in Cisgiordania, succede ogni giorno, ogni ora. Vedere la differenza di trattamento dei due eventi e considerare l’integrità dei comunicatori. È brutto fare confronti, ma con quelli dei due pesi e due misure è indispensabile.

Le urla di indignazione e raccapriccio per le vittime di Sumy si accompagnano alle voci fredde e frettolose sulla normalità dell’ultimo ospedale, dei 37 rasi al suolo di Gaza, distrutto con tutte le vite dentro e che si sommano alle 180.000 vite azzerate, calcolate dalla rivista Lancet, comprendendovi scomparsi, seppelliti sotto le macerie, vittime di ferite ed epidemie.

Mentre scrivo, i due missili su Sumy trovano in Trump l’attenuante dell’“errore”. Dichiarazione evidentemente finalizzata alla salvezza della trattativa sulla fine della guerra su cui il neopresidente si è impegnato e che qualcuno, in Europa e in Ucraina, vuole impedire a tutti i costi. Il pretesto a costoro, per fare di peggio della Domenica delle Palme è stato fornito. Da un errore, a quanto pare. Aspettiamo di saperne di più e di meno oscenamente strumentale.

Una reazione russa, attualmente assente, avrà forse chiarito le cose quando questo scritto uscirà. Potrebbe tornare in mente, alla prima diffusione della notizia, cosa venne fatto seguire alla scoperta, cinque giorni dopo il ritiro dei russi, di cadaveri sparsi lungo le strade della città ucraina di Bucha, sulle quali nei giorni precedenti non s’era visto neanche la carogna di un gatto. Orrore! Tutti alla guerra.

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Avete visto la nostra sedicente informazione sulla manifestazione contro la guerra del 5 aprile a Roma? Sembrava ci fosse solo la buffa vanesia De Crescenzo, quella che farebbe fluire le masse di qua e di là. Su Sky, per centomila nella capitale, come non s’erano visti dai tempi della lotta alla manovra Covid, neanche un rigo, neanche un’immagine. Segno di enorme cialtroneria professionale, tipo le classi dirigenti dell’Occidente, e segno di altrettanto enorme imbarazzo. Meglio, sgomento.

Quando questi e i loro padroni vedono degli antiguerra, tipo l’umanità consapevole del 5 aprile, o quella delle mobilitazioni per la Palestina, o la Le Pen, o l’AFD, o Georgescu, buoni o cattivi che siano, quando possono li abbattono, o, quanto meno li pestano. Quando non possono, li qualificano di ultradestra, o guardano da un’altra parte. C’è sempre un qualche succoso fattaccio di cronaca nera da sviscerare in mille dettagli.

È andata così anche per Trump. L’uomo ha il suo carattere, è ovvio, le sue idiosincrasie. Chi determina le scelte di questi personaggi, ha cura di sviare l’attenzione dalla matrice comune verso l’alternanza delle specificità individuali che diano l’idea del “grande cambiamento”. Che sarà di comportamento, di immagine, perfino di tattica, ma mai di strategia: Clinton dopo Bush Sr, Obama dopo Bush Jr e dopo di lui il primo Trump, seguito dall’alternativo Biden. Il carattere sostanzialmente bipartisan delle successioni viene poi mascherato dalla contrapposizione repubblicano-democratico.

È molto più facile, colorito e soprattutto servizievole, declamare “Trump fa, Trump è, Trump è bravo, Trump è cattivo, fenomeno Trump, abbietto Trump, che spiegarci cosa succede, chi lo fa succedere e perché. Ti agitano sulla faccia Trump per non farti vedere dietro e, quindi, capire più niente. E poi, personalizzare fenomeni ed eventi c’est plus facile, stuzzica il gossip (per i burini: pettegolezzo), che è la forma di conversazione che ci evita i problemi.

E poi, sapete cosa? Mettere Trump in primissimo piano ci rassicura, qualunque cosa ne pensiamo. Ci fa credere che esista ancora, quantomeno ai massimi livelli, la politica. Una cosa che organizza la convivenza tra noi e con la Terra, nella quale siamo rappresentati, contiamo, scegliamo, decidiamo anche un po’. Invece no. Non solo con Trump, ma, da tempo, la politica se n’è fuita. Anzi l’hanno cacciata. Da Washington e più o meno dall’Occidente politico. Che è capitalista e cosa conta sono i mercati. Reperirli, spremerli.

Della politica ha preso il posto l’economia, detta anche moneta, o, meglio dollaro. Ne sono deputati i Fondi d’investimento, tipo Blackrock, Vanguard, Street State; le banche, tipo Goldman Sachs, J.P. Morgan, Rothschild; le Big Tech, tipo Google, Microsoft, Amazon, Meta… Tutti negli USA, quasi tutti in mano a una strettissima rete di israeliti, invariabilmente sionisti, cofondatori di Israele.

A Baghdad, guerra del 2003, il grande Peter Arnett, Premio Pulitzer e, dunque, cacciato dalla CNN, mi spiegò come funziona l’informazione USA (e, a scendere, di tutti gli altri). Alla CNN, in redazione c’erano esperti CIA davanti a uno schermo sul quale apparivano i dispacci degli inviati in Iraq (i famosi “embedded”) e un semaforo: tasto verde: l’articolo è OK; tasto giallo, discutibile, da far rivedere; rosso: da cestinare, con richiamo all’autore sconsiderato.

Il sistema vedeva il suo coronamento all’arrivo, il 9 aprile, degli americani a Baghdad, quando su noi inviati, alloggiati nel solito Hotel Palestine dotato di collegamenti telefonici internazionali, venne tirata la prima cannonata del primo carro armato penetrato nel centro. Lo chiamarono “di avvertimento”, ma fece tre morti tra i colleghi spagnoli. Era la punizione per noi aver contravvenuto al divieto di Bush di andare a Baghdad e riferire da lì, in autonomia, assistiti da ufficiali comunicatori iracheni (figurati!), anziché muoverci da embedded (“coricati”) con le truppe in avanzata.

Ve ne dico un'altra, appresa grazia a una minuziosa inchiesta di “Mintpressnews”, autorevole piattaforma. E mai smentita.  Ricordate la base in Galilea della pregiata unità israeliana di Intelligence “8200”. Con inedito scorno per Netanyahu, fu polverizzata mesi fa da missili di Hezbollah. Ora una pletora di ex-specialisti di questa espressione apicale dello spionaggio sionista e stata scoperta nel cuore del cuore dell’impero Big Tech statunitense: 99 di questi prodi sono collocati in Google, 166 in Microsoft, decine in Facebook, in Amazon. Controllano i dati di tutti i loro utenti. Ce lo aveva già rivelato Edward Snowden

Del resto non è mica con il software “Graphite”, acquistato dagli israeliani di Paragon, che il regime Meloni va spiando attivisti e giornalisti, con tanto di dati che regolarmente fluivano anche nelle banche di questo fornitore israeliano? E la stessa via che percorrono i dati raccolti dagli “8200” nelle Big Tech USA. Finisce tutto in bocca al Mossad.

Tutto questo succedeva, pari pari, con i predecessori Neocon di Trump, da Clinton attraverso Bush e Obama a Biden. Nessuno scrupolo dei Big Tech – e con essi degli affiliati “8200” - di passare da Biden a Trump. Il quale Trump abbiamo visto vituperato da un Massimo Giannini in inusitato fervore anti-americano come diabolico esponente dell’imperialismo USA. Sorprendente giro di boa, dopo anni trascorsi da fervido servitore domestico di quell’imperialismo, purché “democratico”. Così anche tutta la nostra stampa.

Eppure se non è zuppa è pan bagnato.

Stessi Big Tech con Biden e con Trump. Spesso Big Money con Biden e con Trump. Stesse amministrazioni con Israele, le precedenti e questa di Trump, un po’ meno con Putin. Forse che questi feudatari oligarchici, che hanno più potere di intortare la gente, gestiscono più trilioni dei bilanci dell’intero continente europeo e possiedono cumulativamente una ricchezza in grado di acquistare e corrompere (quasi) tutti, ce l’ha meno con la Russia, che non con i palestinesi, gli arabi, i musulmani? E con ciò che i palestinesi rappresentano e che ottengono in termini di sostegno, non solo diplomatico e morale?

Teniamo presente che l’uomo dei fuochi fatui in Borsa (serviti puntualmente a eliminare dalla scena imprese piccole e medie) ha il sostegno di questo mostruoso ammasso di potere finanziario e di condizionamento delle genti, come simboleggiato dai 100 milioni di dollari con cui Miriam Adelson, vetta dell’ebraismo sionista, ha sostenuto la seconda campagna elettorale di Trump (chiedendo in cambio che il futuro presidente garantisse l’annessione della Cisgiordania a Israele).

E teniamo simultaneamente presente che chi va guidando da Bruxelles, Berlino, Londra e Parigi l’escalation armata verso il confermato obiettivo della guerra alla Russia (non se ne farà niente, ma intanto si galleggia su un mare di soldi messi in tasca grazie al Rearm Europe), sembra avere proprio gli stessi referenti, anzi, danti causa, della presunta alternativa Trump.  Macron viene da Rothschild, Friedrich Merz era fino a stamattina l’altissimo dirigente di Blackrock e ne governava il Comitato di Sorveglianza. Ursula si sa in che mani armate, farmaceutiche e bancarie sta. Starmer, massone, è il prodotto ultimo di una campagna che ha eliminato il vero laburista, Jeremy Corbyn, intollerabile alla gang sionista per evidente “antisemitismo”.

Cosa deduciamo da tutto questo? Che i veri padroni, i veri governanti di conflitti sanno biforcarsi, controllare sia l’un fronte che l’altro. In Europa con i bellicisti europei, in Medioriente e domani nell’Est asiatico con Trump. La nostra speranza nasce dal fatto che si affidano a una banda più sgangherata dell’altra e che al varco li aspettano, con Russia e Cina, i BRICS. E, forse, un’esplosione sociale che incenerisca il corollario necessario a quanto programmato: la riduzione in stracci e alla fame delle società che dovrebbero pagare il biglietto d’ingresso alla partita e magari farci l’ola.

Mentre in Europa si vanno accendendo le fornaci (superata la sbronza green, di nuovo a carbone) per forgiare spade, Trump ha permesso a Netanyahu di ingranare la quinta. A Gaza e in Cisgiordania, per soddisfare anche la Adelson, abbiamo in una volta sola Auschwitz, Treblinka, Abu Ghraib, Guantanamo, i massacratori e torturatori Graziani in Libia e Roatta in Jugoslavia, l’olocausto dei pellerossa e degli armeni, la carestia irlandese di metà Ottocento provocata dagli inglesi con il fungo delle patate. Tutto insieme.

Da inizio marzo Trump - “l’uomo della pace”, reduce, con l’assassinio del generale Suleiman e con la rottura dell’accordo sul nucleare, della radicalizzazione dello scontro con l’Iran - fa bombardare 40 milioni di civili dello Yemen. Un popolo e il suo governo che si sono permessi di impedire i rifornimenti via mare allo Stato genocida e che si ostina a perpetuare l’Asse della Resistenza.

Ma da lì il piede per il passo successivo verso l’Iran è già sollevato. Nell’isola di Diego Garcia, Oceano Idiano, da cui gli inglesi deportarono l’intera millenaria popolazione per farne una loro base, e che già venne usata contro Iraq, Afghaniistan, Yemen e Somalia, Trump va concentrando un’armata che neanche al tempo del Vietnam. Per superare i 3.750 km che separano l’isola dall’Iran bastano e avanzano la portata dei sette bombardieri strategici B-2 “Bunker buster”, invisibili ai radar, destinati a colpire in profondità le centrali nucleari di Teheran. Sono affiancati da portaerei, una flotta di navi da supporto e di aerei cisterna. Tutti con armamento nucleare. Che Israele possiede e l’Iran ha rifiutato firmando il Trattato di non Proliferazione Nucleare. La sua ricerca nucleare, da sempre controllata dall’AIEA, agenzia dell’ONU, è sempre risultata a fini civili.

E poi ci sono gli israeliani. Che già hanno provato una volta a bombardare l’Iran. Fallendo e incrinando il mito della loro invincibilità. E, guarda un po’, c’è anche l’Iran che, quando Israele lo aveva stuzzicato bombardandone l’ambasciata a Damasco, aveva risposto colpendo con missili e droni una ventina di obiettivi in Israele, tra cui due basi dell’aeronautica. E ci sono anche i russi che hanno testè concluso un patto strategico, nel quale è previsto il mutuo soccorso militare. E c’è anche la Cina, che con l’Iran fa parte dei BRICS e della Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e ne trae quasi tutto il suo combustibile.

L’Iran non è un boccone facile, mentre, diversamente da Netaniahu, Trump è uno spaccone da grandi chiacchiere. Non tutte con basi fattuali. Tuttavia, in vista del possibile Armageddon servono, se non consenso, sempre più difficile, perlomeno accettazione-sottomissione. Per la bisogna di assicurare quel cammino imperiale ci vogliono governi, magari di incompetenti, ignoranti, sbruffoni, volgarotti, genericamente permale, che però devono essere bravi e robusti nel tenere a bada un volgo che non sa convincere. Da questo punto di vista, gli USA non sono messi male e neanche il resto d’Europa.

Noi a forza di Decreti Sicurezza, Premierati, sbriciolamento in autonomie differenziate, decine di nuovi reati sociali, i picchiatori Crosetto, Nordio e Piantedosi, siamo a posto.

Potremmo provare a mettere meloni nei nostri cannoni…

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