"Generazione Antidiplomatica" - Siamo individui unici, autonomi, o il frutto delle nostre esperienze?
La risposta è: decisamente la seconda!
Generazione AntiDiplomatica è lo spazio che l’AntiDiplomatico mette a disposizione di studenti e giovani lavoratori desiderosi di coltivare un pensiero critico che sappia andare oltre i dogmi che vengono imposti dalle classi dirigenti occidentali, colpendo soprattutto i giovani, privati della possibilità di immaginare un futuro differente da quello voluto da Washington e Bruxelles. Come costruirlo? Vogliamo sentire la vostra voce. In questo nuovo spazio vi chiediamo di far emergere attraverso i vostri contenuti la vostra visione del mondo, i vostri problemi, le vostre speranze, come vorreste che le cose funzionassero, quale società immaginate al posto dell’attuale, quali sono le vostre idee e le vostre riflessioni sulla storia politica internazionale e del nostro paese. Non vi chiediamo standard “elevati” o testi di particolare lunghezza: vi chiediamo solo di mettervi in gioco. L’AntiDiplomatico vi offre questa opportunità. Contribuite a questo spazio scrivendo quanto volete dei temi che vi stanno a cuore. Scriveteci a: generazioneantidiplomatica@gmail.com
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Articolo di Pablo Baldi, studente di scienze politiche dell'Università di Pisa
Come direbbe Bourdieu, spero non vi offendiate se parafraso, i campi in cui ci troviamo sono rapporti di forza oggettivi. Ogni campo ha le proprie regole, cioè il "tasso di cambio" tra le varie forme di capitale (economico, sociale, culturale e simbolico), i loro rapporti di valore relativi. E le proprie poste in gioco, per cui gli attori competono.
I campi sono spazi relazionali! La nostra posizione sociale esiste solo in relazione alle posizioni sociali altrui. Non ci sarebbero poste in gioco senza campi e non ci sarebbero campi senza relazioni. Le poste in gioco sono i nostri obiettivi individuali, ma possono esistere solo se anche altri attori sociali li perseguono.
Quindi, se vogliamo schematizzare, siamo composti da due fattori (nella realtà indissolubilemente legati tra loro):
-Da dove veniamo: le possibili combinazioni di campi nei quali possiamo accedere. Ogni campo ha una soglia di accesso. Come alle elezioni serve il 2% per entrare in parlamento, ogni campo ha la propria soglia di sbarramento. In ogni campo questo sbarramento si presenta sotto forma di diverse combinazioni di capitali.
Essere ammessi dà la possibilità di di provare a imporre la propria "definizione oggettiva". La verità è il frutto di un gioco di potere e strategia. "Non esistono fatti, solo interpretazioni", e i piú alti nella gerarchia del campo possono imporre la propria interpretazione, facendola passare come la versione oggettiva. Questi sono dogmi, tutto ciò che è talmente scontato che non serve farsi domande. Ancora Nietzsche: "Le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria". Tutti noi vogliamo far passare le nostre illusioni come delle verità e il campo è il "luogo" in cui proviamo a farlo.
-Dove vogliamo andare: ognuno avrà la volontà di entrare in certi campi, allettato dalla posta in gioco. Ma questa scelta non è totalmente individuale, in quanto la scelta è fortemente influenzata dalla posizione di partenza, dalle scelte possibili, dalle influenze ambientali (le pratiche incorporate, l'habitus, tornando a Bourdieu). Il gusto individuale è socialmente determinato. Cosí come l'orizzonte di valori che ci guidano.
Le scelte non ci rendono unici: anzi, i nostri simili faranno scelte simili alle nostre, proprio per la somiglianza del contesto che ci spinge in quella direzione.
Torniamo alla domanda iniziale. Che cos'è l'unicità? L'individualità unica e irripetibile. La non ripetibilità implica che ciò che siamo non l'abbiamo "ripetuto", ma questo è esattamente ciò che fanno e sono gli esseri umani.
Assorbono informazioni sul mondo, tramite messaggi verbali (da quando esiste il linguaggio) e non verbali. Fin dalla primissima infanzia. L'unicotà implica anche che ciò che siamo e facciamo non venga ripetuto. Dovremmo essere totalmente ininfluenti sui nostri conoscenti e cari. Se assorbissero qualcosa da noi, lederebbero la nostra unicità. Essere unici e essere isolati sono due facce della stessa medaglia.
La comprensione è possibile solo grazie a ciò che condividiamo, a partire dalla lingua e dal linguaggio. Anche all'interno della stessa lingua le incomprensioni sono enormi. Ogni messaggio è codificato dall'emittente e deve essere decodificato dal ricevente. Se non usiamo lo stesso codice di decodifica, il messaggio inviato è diverso da quello recepito. E il codice che usiamo per codifica e decodificare è il frutto delle nostre esperienze incorporate. Un contadino e un imprenditore che parlano d'affari, non si capiscono neanche usando la stessa lingua, perchè usano diversi schemi di pensiero, diversi modi di vedere il mondo e hanno diversi obiettivi.
Nello specifico perchè abbia luogo la comprensione è indispensabile la condivisione del patrimonio culturale. Essere unici implica anche avere un patrimonio culturale unico, ma questa è una contraddizione in termini: la cultura esiste solo se condivisa. La società ha una cultura, non l'individuo.
Aderire a una religione o a un partito politico ci rende non unici. Non si può appartenere ed essere unici allo stesso tempo, in quanto far parte di qualcosa implica anche il non esserne l'unica parte, quindi che anche altri ne facciano parte come noi.
Detto questo, anche io voglio diventare ciò che sono. Ma non pretendo di essere unico.
Il problema è che l'individualismo non ci rende felici.
C'è una forte confusione tra l'autonomia e l'isolamento. L'autonomia consiste nel darsi le proprie regole, non sottostare a quelle altrui. Ma l'autonomia non è in contraddizione con l'avere dei forti legami sociali. Adesso le relazioni sono strumentali: vediamo negli altri delle possibilità, dei favori, delle connessioni importanti, insomma: dei mezzi.
Questa visione è razionalista: ogni azione deve avere uno scopo razionale. Le energie non devono essere sprecate, ma tutte indirizzate a qualche obiettivo personale. Ma l'affetto è irrazionale: fare qualcosa in modo disinteressato per qualcun'altro, solo perchè ne abbiamo affetto, non genera vantaggi personali immediati, eppure può renderci felici. L'affetto è possibile solo se trattatiamo gli altri come scopi, come fini in sè stessi, usando il linguaggio Kantiano.
Ma perchè viviamo in un mondo cosí razionale? Il progetto dei lumi consisteva nel raggiungere la giustizia tramite l'impersonalità. Il mondo era pieno di ingiustizie dovute all'arbitrio dei potenti. La borghesia ha spodestato il monopolio del potere e del sapere della nobiltà e il monopolio della moralità del clero.
Nel primo caso, l'uscita dallo stato di minorità è parziale: gli spodestatori sono divenuti dei monopolisti a loro volta. L'oligarchia del denaro sta assumendo dei tratti ereditieri che ricordano il periodo feudale. E la burocrazia (ovvero l'applicazione impersonale del potere) è un'altra casta chiusa e oscura.
Nel secondo caso, lo spodestamento ha provocato un vuoto: nichilismo. Mancanza di fede. Senza piú la regola di Dio, siamo autonomi, abbiamo la nostra regola, ma di solito è solo una mancanza di regole. La ragione è al servizio degli interessi egoistici.
L'uomo è arrivato fin qua grazie all'istinto di autoconservazione. Ma adesso l'obiettivo dell'autoconservazione è perseguito razionalmente: questo spiega l'enorme aumento del dominio dell'uomo sulla natura. Il valore borghese della prudenza si traduce in un accumulo sfrenato di denaro, cosí che l' autoconservazione sia assicurata, a volte anche per varie generazioni.
Senza piú un fine superiore, gli unici fini perseguiti sono quelli individuali. Se prima si agiva per accrescere la gloria di Dio o della patria, adesso si agisce per accrescere la propria gloria: l'ego.
Cosí crolla anche la lotta per l'emancipazione delle classi oppresse: "non esistono soluzioni personali, biografiche, a contraddizioni sistemiche" (Ulrich Beck).
È necessario trovare un'alternativa. Le vecchie soluzioni sembrano non funzionare piú e decenni di neoliberismo hanno ammazzato le nostre fantasie. Serve un utopismo disilluso: una coniugazione di consapevolezza delle criticità di questo mondo e una buona dose di speranza e immaginazione, determinazione di cambiare le cose. Soprattutto: coscienza che le cose possono cambiare solo se proviamo a farlo insieme!