GIU’ LA TESTA. Settanta anni di storia occidentale in versione condensata

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GIU’ LA TESTA. Settanta anni di storia occidentale in versione condensata

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di Pierluigi Fagan*

Più l’Occidente perde potere demografico, economico, geopolitico in favore del resto del mondo, più questo “resto” reclama e reclamerà una gestione più democratica del mondo comune.

Più il resto del mondo reclama e reclamerà una condivisione maggiore dei poteri che decidono le cose del mondo, più l’oligarchia del sistema occidentale dissolverà ogni residuo di democrazia interna al proprio sistema.

Più il mondo si avvia a nuovi ordini multipolari, meno democrazia ci sarà in Occidente. Questo perché la “ricchezza delle nazioni” che ordina le nostre società, dipende spesso direttamente, altre volte indirettamente, da quanta porzione di mondo controlliamo come “sistema occidentale”. Meno controllo, meno ricchezza distribuibile, più problemi sociali, quindi meno democrazia.

L’intero movimento storico richiederebbe qui da noi una revisione molto profonda dei nostri modi di essere, dagli individuali ai sociali, dalle istituzioni sociali e giuridiche alle forme politiche, soprattutto, prima, le forme mentali, le immagini di mondo. Stiamo passando ad una nuova epoca storica, ma senza una democrazia tutto questo è impossibile.

La democrazia non è un sistema ad interruttore che c’è o non c’è. Nelle società complesse dovrebbe essere un “tendere a…” con vari gradi di intensità, il continuo rischio di regressione, una lunga scala ascensionale di espansione ed intensione da sperimentare, correggere e riproporre con passi indietro e qualcuno avanti, lungo decenni e decenni.

Quanto alle molto giovani e già appassite “democrazie occidentali”, la forma guadagnata nel dopoguerra ha avuto un certo impeto per i primi tre decenni, poi è stata sistematicamente ridotta e sabotata. La democrazia è un ordine culturale, emerge da un certo modo di essere della cultura (in senso esteso) dei cittadini di uno stato, modo che va coltivato e continuamente evoluto, solo dopo si formalizza in un ordine giuridico, non si compie perché ce l’hai scritto in Costituzione.

La sistematica ed intenzionale erosione democratica degli ultimi quattro decenni è avvenuta perché le élite del sistema occidentale, hanno compreso già da metà anni ‘70 che la triplicazione mondiale della popolazione umana che si è poi compiuta dal dopoguerra ad oggi e l’inevitabile trasferimento al resto del mondo dei modi economici moderni (ben prima della globalizzazione) avrebbero progressivamente chiuso le condizioni di possibilità del sistema di cui loro erano l’oligarchia eletta.

Hanno così varato una doppia strategia adattativa, adattativa per loro. Non vedendo alternative se non rimettendo in discussione i loro unilaterali interessi, le élite hanno stracciato il contratto sociale. Se non si capisce il punto critico, non si capisce la svolta neoliberale. Sappiamo da millenni che certe persone sono avide, non si spiega con l'epidemia di avidità la svolta anni '80-'90, c'era una razionale.

Da una parte hanno liberalizzato la circolazione dei capitali, i loro, di modo da scommettere sulle crescite di questi nuovi spazi (soprattutto in Oriente, materie prime, scommesse sulle altrui scommesse, nuove tecnologie) ed accumulare così depositi di valore in pochissime mani come forse mai -complessivamente- prima registrato nella storia umana. Oltretutto stoccati in decine e decine di paradisi fiscali quasi tutti, invariabilmente, anglosassoni.
Lo spazio per una crescita continuata della complessiva ricchezza occidentale andava a va a restringersi oltreché per ragioni esterne, per ragioni interne di fine ciclo. Il sistema di economia moderna, come ogni cosa, ha un suo ciclo, non è un ordine eterno. Ha a che fare con umani e natura, enti finiti, difficile trarre un infinito dai finiti. Segue una curva logistica e sempre che poi non si trasformi in una a campana, è una erezione eterna solo nella metafisica economica.

Dall’altra, sapendo che l’intero movimento economico collegato alla loro "globalizzazione" avrebbe generato una pressione restrittiva verso il medio e basso sociale interno, hanno costruito teorie versione migliore dei mondi possibili per dar sostegno a quello che stava succedendo nel mentre hanno cominciato sistematicamente a ridurre quantità e qualità democratica dell’ordine interno. Questa seconda azione era in previsione del quando la narrazione si sarebbe scontrata con gli effetti della diversa realtà. Coi muscoli bolliti, quando la rana realizza che nella pentola il calore è insopportabile, non può più saltar fuori.

Noi tutti, oggi, siamo quella rana, ci manca la democrazia per provar a saltar fuori, ci hanno bollito i muscoli democratici a fuoco lento. Ma adesso sono passati direttamente al cervello.

Negli ultimi quaranta anni è crollato il Politico occidentale. Vanno a votare sempre meno persone, più per abitudine che per convinzione o passione politica. La “passione” è un sentimento impossibile oggi da collegare a “politica”. E dire che viene da polis, la nostra forma di vita associata, l’essere in società con estranei e tuttavia, dipendervi, non si vede di cosa di più importante dovremmo occuparci in quanto soci di una società. La qualità della conoscenza distribuita rispetto ai problemi che abbiamo è infima, così il dibattito pubblico che la riflette in modo anche peggiore.

Il pluralismo politico ha perso interamente la sua fazione di sinistra che pure era quella che aveva spinto alla democratizzazione sin dalla Rivoluzione francese, nel movimento primo Novecento per il suffragio universale e poi nel dopoguerra. Il suo centro ha perso in Europa la sua matrice cristiana e sociale ed è diventato sempre più anglo-liberale. La sua destra, un destra che storicamente col concetto di democrazia c’entra poco visto che crede le diseguaglianze “di natura”, è cresciuta in composizione cha va da un confuso nazionalismo sovranista che però poi viene tradito non appena si ottengono posizioni di governo, ad un eterno tradizionalismo conservatore, a qualche esuberanza demagogica che però serve solo a trasformare rabbia repressa in voti per andare a gestire il sistema in nome e per conto l’élite liberale. Magari versione un po’ meno “woke” ma con non meno intenzione nel controllare lavoro, redditi, fisco, leggi, diritti sociali, cultura, democrazia imponendo diseguaglianze in favore del dominio oligarchico.

A fine anni ’70, mentre l’oligarchia americana convocava i vassalli europei e giapponesi per spiegare loro che i gravi e crescenti problemi di governabilità che si andavano a registrare negli anni ’60-‘70 erano dovuti ad un “eccesso di democrazia” (rapporto alla Commissione Trilaterale 1975, parliamo di Samuel Huntington, il “principe” della “scienza” politica di Washington), un astuto cinese dal nome Deng Xiaoping, che aveva studiato in Francia per “Imparare la conoscenza e la verità dell’Occidente per salvare la Cina”, cominciò a trapiantare semi di sistema economico moderno nel suo paese andato incontro a seriali fallimenti a seguito della applicazione delle idee marxiste-leniniste-maoiste in economia. Quel complesso teorico di audaci ambizioni era validissimo sul piano teorico e su quello critico, ma del tutto fallimentare sul piano economico. A seguire, la svolta cinese si è espansa al Sud Est asiatico e poi a tutto l’ex-Terzo Mondo. Quel Sud Globale che oggi reclama più democrazia nella conduzione dell’ordine del mondo agli stessi che negli ultimi decenni l’hanno contratta nei nostri paesi.

Quello di Deng era “capitalismo”? Purtroppo, definire “capitalismo” porta via interi boschi per trarne carta su cui scrivere definizioni poi da rivedere, collegare tra loro, precisare, ambientare in storia e geografia, con spruzzi antropo-culturali e vari tipi di distinzioni tassonomiche che si perdono nelle varie eccezioni a gran sempre più fine; quindi, alla fine, è un imprendibile ed imprecisabile concetto-saponetta e quindi la domanda non ha senso. Basta andare in libreria o biblioteca e vedere quanti si sono periti di dar la loro definizione che è sempre parziale ed incompleta, da più di un secolo e mezzo. È un ordine economico? Sociale? Politico? Geopolitico? Culturale? Storico? Religioso? Il concetto così formulato è inservibile. Ce lo scambiamo con l’aria di chi capisce bene cosa intende, ma credo non sia così, è ormai un vago “luogo comune” per giochi linguistici sociali. La diagnosi su “in quale sistema viviamo?” non è chiara, ovvio non lo si sappia gestire diversamente.

C’è una differenza fondamentale tra sistema cinese e sistema occidentale e non è nell’economia ma nella relazione tra economia e politica. Nel sistema cinese, c’è una economia di tipo moderno-occidentale, con più o meno Stato e relativo mercato, ma l’ordinatore finale della società è politico, è nel Partito Comunista Cinese, partito unico che ha in esclusiva tutte le chiavi ordinative in mano (giuridiche, militari, fiscali). Nel sistema occidentale, invece, la forma economica è solo di mercato (tutt’altro che smithiano, in realtà corrotto, manipolato, mono o oligopolista, spesso aiutato dallo Stato in vari modi), ma soprattutto la politica è decisa dall’economia, non dai cittadini. In Occidente, Il partito unico che ha tutte le chiavi in mano, è fatto dai funzionari del sistema che garantisce ad una ristretta élite di accumulare sempre più ingenti quantità di capitale e potere, qualunque cosa succeda nel mondo e nel mercato stesso.

Anzi, tanto più è difficile sfruttare il mondo come è stato fatto per almeno tre secoli, tanto meno funziona il mercato interno, tanto più potere e capitale vogliono accumulare temendo l’implosione sociale o ambientale o geopolitica e quindi tanto meno democrazia possono sopportare.

I cittadini debbono veder svanire il loro peso politico democratico e subordinarsi sempre più, lavorare sempre di più, guadagnare sempre di meno, rendersi flessibili e morbidi, pensare sempre meno, discutere sempre meno, stare con la testa china su qualche device elettronico per sognare o sfogarsi. Al limite, possono scrivere contro l’ennesima ingiustizia, fare “critica culturale” o denunciare le trame oscure di quelli di Davos. Possono cioè “criticare”, così certificano che qui da noi c’è la libertà. È la democrazia “liberale” ovvero la dittatura della minoranza per evitare quella della maggioranza.

Negli ultimi due anni, abbiamo visto l’Europa, sistema storico che ha all’incirca più di due millenni ed a lungo dominante, disintegrare ogni propria autonomia in favore dell’élite americana. Tre giorni dopo l’inizio della voluta guerra in Ucraina, l’Europa si è “consegnata” ed è oggi una inerte e vassalla propaggine del sistema americano. Gente che solo fino a tre anni fa era convinta che tutto il mondo fosse un mercato post-storico destinato a sciogliere gli stati centralizzati in favore di nebulose di città-Stato profumate di innovazione, scambi senza frontiere e gobal-cosmopolitismo, ora sbava urlante per produrre più carri armati, più missili, più bombe per dar una lezione alle odiate autocrazie e difendere le nostre prerogative di “civiltà”.

Alcuni studiosi hanno scritto analisi e libri sul quanto repentino e profondo fu il cambio di mentalità tra primavera ed autunno del 1914. Speriamo sia vera quella battuta delle ripetizioni di tragedie in farse, letterariamente suona bene ma nei fatti non ne sarei così sicuro. Dopo due conflitti mondiali di origine intra-occidentale, c’è sempre la possibilità del “non c’è due senza tre”, è nella nostra poco compresa e scabrosa genetica storico-culturale.

Siccome qui in Occidente non siamo cinesi ovvero non abbiamo quella storia, geografia e cultura, da noi è impensabile un sistema politico con un partito unico per giunta socialista o addirittura comunista, almeno nelle dichiarazioni. Da noi, invertire le relazioni tra politica ed economia, avrebbe dovuto vedere una cosciente, forte e costante pressione di massa per evolvere e migliorare la nostra democrazia.

Ma le élite a partire da quelle di Washington, proprio cinquanta anni fa decisero che questa strada doveva esser percorsa al contrario. La sinistra che pure aveva contribuito a svilupparla ed un po’ se l’era trovata in atto per reazione al collasso bellico, che più di ogni altra parte politica avrebbe dovuto strenuamente difenderla, non avendone una teoria nei sacri testi tutti di economia e con un po’ di “rivoluzione” qui e lì, non si è accorta di niente. Ha continuato la sua “critica al capitale”, una sorta ormai di inoffensiva contro-religione negativa ai cui officianti non si nega una cattedra universitaria, con le sue sterili e formali dispute scolastiche che non interessano nessuno ed annichiliscono ogni fluttuazione sociale perché non conforme alle previsioni dei sacri testi. Questo nella sinistra intellettuale che sognando il superamento del capitalismo intanto s’è fatta scippare la minima democrazia.

Quella che interpreta weberianamente la politica come professione, s’è invece adeguata presto alla versione di una economia sempre più per pochi, sempre più ricchi, sempre più potenti, un modo economico sempre meno sociale e sempre più individualista ed americano. Una sinistra senza identità perché non ha un chiaro progetto sul mondo (del resto visto che i teorici s'impegnano solo in critica cosa vuoi che sappia costruire?), votata sempre meno perché se devi avere ad ordinamento il sistema di mercato allora scegli chi di quel sistema è conseguenza o al limite, la sarabanda di destra che tanto non mette certo in discussione i fondamentali e si dedica ai “valori” immateriali. Un po’ più armi e crocifissi ed un po’ meno gay e migranti.

Senza una minima forma di reale democrazia non possiamo dire niente, fare niente, decidere niente, cambiare niente. C’è gente che è morta, nella storia, per averla e darcela in eredità. Noi l’abbiamo persa come si perde il tempo, senza accorgersene. I posteri si domanderanno dove avevamo la testa…

*Post Facebook del 28 settembre 2023

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