“Gli Immorali”, un giallo-noir che è anche un romanzo generazionale

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“Gli Immorali”, un giallo-noir che è anche un romanzo generazionale

 

I generi letterari giallo e noir sono spesso visti come letteratura leggera o d’evasione, il cui scopo è divertire e intrattenere. Tuttavia, nelle loro espressioni migliori questi generi sono anche uno strumento attraverso il quale l’autore ci dice qualcosa sul proprio tempo, fornendo una lettura della società contemporanea. In qualche caso il romanzo giallo e noir può rappresentare addirittura una metafora della condizione umana. Del resto, si sono cimentati nel genere anche “classici” della letteratura, come Edgar Allan Poe, considerato il padre del genere giallo.

Per quanto riguarda l’aspetto di critica sociale, non possiamo non citare Dashiell Hammett[i], il fondatore della cosiddetta hard boiled school, la “scuola dei duri”, che si afferma negli Usa tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Hammett e gli scrittori della hard boiled school innovano profondamente il genere giallo, riportando il delitto e chi lo commette a una dimensione più realistica, meno astratta e geometricamente razionale, come avveniva ad esempio nei romanzi di Arthur Conan Doyle, l’inventore di Sherlock Holmes. Così il critico letterario Alberto del Monte sintetizzò le caratteristiche dei romanzi di Hammett: “L’innovazione di Hammett consistette nel rendere il racconto giallo uno strumento di realistica rappresentazione e principalmente di denuncia. Il suo realismo consiste, in effetti, nella descrizione di certi aspetti della società contemporanea da un punto di vista pessimistico.”[ii]

Uno dei racconti migliori di Hammett è Red Harvest (Raccolto rosso)[iii], nel quale riecheggiano le lotte di classe degli anni Venti, molto forti e particolarmente violente negli Usa. Red Harvest, secondo alcuni, sarebbe addirittura una metafora dell’ascesa del fascismo in Italia. A Personville, ribattezzata Poisonville (città avvelenata) dai suoi abitanti, i grandi magnati industriali hanno chiamato i gangsters per rompere lo sciopero operaio che paralizzava le fabbriche, ma, dopo che l’ultima testa di sindacalista venne rotta e lo sciopero fu soffocato, i gangsters non se ne andarono, rimanendo padroni della città. Anche oggi il romanzo giallo si trova a descrivere una realtà sociale piena di contraddizioni e a sondare, con maggiore o minore profondità, la condizione umana, senza dimenticare però di coinvolgere e appassionare il lettore.

La letteratura gialla è stata, nel passato, un fenomeno quasi esclusivamente anglosassone, anche se con una importante partecipazione francese (come dimenticare il Maigret di Simenon?). In Italia non c’era una forte produzione autoctona di autori italiani e, comunque, il pubblico preferiva leggere autori stranieri. Tuttavia, negli ultimi venti anni si è affermata anche in Italia, a partire da Andrea Camilleri, una folta schiera di autori, che rappresentano la nuova scuola del giallo italiano. Evidentemente anche in Italia si sono create le condizioni storico-sociali per l’affermazione di un giallo autoctono. Oggi, il pubblico dei lettori è attratto da trame che sono calate in contesti sociali e geografici che conosce e nei quali si parlano anche i dialetti, e non ricerca più soltanto l’”esotico”, con ambientazione privilegiata nelle “giungle d’asfalto” americane o nella campagna inglese.

È in questo filone del giallo italiano che ben si inserisce la bella opera d’esordio di Fabio Nobile, Gli Immorali (Efesto Edizioni, pp. 205, euro 15). Gli immorali sono un romanzo a metà strada tra il genere giallo e quello noir, in cui l’io narrante è duplice, come in Q di Luther Blissett, quello del protagonista e quello dell’agente infiltrato nell’organizzazione criminale che appare nel romanzo. C’è un delitto da risolvere, ma non si tratta di una indagine condotta da un investigatore che riporta il caos della realtà a una dimensione unitaria e razionale, come è classico nel romanzo giallo borghese. Il sostrato del romanzo di Nobile è materialistico e dialettico: il disordine, intrinsecamente legato alla realtà dei rapporti sociali dominanti, permane anche dopo la risoluzione del delitto, che non cancella responsabilità e incertezze.

Chi sono gli immorali del titolo del romanzo? Sono quelli che, perduti tutti i loro punti di riferimento, sono pronti a scendere a patti con i loro ideali e a fare scelte sbagliate. Questa deriva coinvolge tutti i personaggi del romanzo, compreso il protagonista, Cesare Sensibili (nomen omen?). L’elemento originale del romanzo è, infatti, la mancanza di una netta divisione dei personaggi in buoni e cattivi. Tutti presentano delle ombre più o meno oscure. Le persone, ci dice l’autore, non sono mai quelle che sembrano, nella loro ambivalenza presentano tratti nascosti e nascondono fini inconfessabili.

La trama ruota attorno all’assassinio di un usuraio di Testaccio, storico quartiere di Roma, e si dipana, in modo sempre più coinvolgente, lungo le strade del quartiere e in altri luoghi della capitale. Nel romanzo ci sono almeno un paio di “scene” significative e ben disegnate, quella della manifestazione politica lungo le strade della capitale e quella ambientata nel vecchio carcere di Roma, Regina Coeli.

L’auri sacra fames, la “esecranda fame di denaro”, è la motivazione più forte dei personaggi e sottende a tutto il romanzo. Cesare è un uomo solo, pieno di dubbi e di insicurezze. È tutt’altro che il classico “eroe” dei romanzi gialli. Dopo aver abbandonato gli ideali politici marxisti della gioventù, ora, nella sua maturità, è un uomo insoddisfatto, imprigionato in un lavoro, come impiegato amministrativo in una azienda privata, che sente estraneo. Cesare ha preso un anno sabbatico per dedicarsi alla sua passione, la pittura, e capire se può vivere di quello, ma il coinvolgimento nel delitto dell’usuraio lo precipita sempre di più in una sorta di inferno personale, che, alla fine, terminerà nello stravolgimento della sua vita.

Gli Immorali possono essere definiti un romanzo “generazionale”, che indaga, in modo mai banale, le condizioni esistenziali di una generazione, quella che aveva vent’anni negli anni ’90 e che partecipava ai movimenti studenteschi e politici di quel periodo. Quella stessa generazione che, ora, a cinquant’anni si ritrova a fare un bilancio della propria vita e a chiedersi il senso delle cose. Nobile, in questo senso, riesce egregiamente a sviluppare una trama gialla avvincente, che ci fa stare col fiato sospeso, e nello stesso tempo a delineare con poche ma efficaci pennellate sia il contesto sociale sia la psicologia dei personaggi.

Chiudiamo citando le parole che Nobile fa dire a un vecchio compagno di Cesare, incontrato alla manifestazione: “Caro Cesare, è la lotta politica che mi tiene in vita, ma effettivamente dovrebbero essere i giovani a muoversi. Anche se i punti di riferimento stanno sparendo ed è veramente dura per loro.” Quello che Nobile, ci sembra, vuole comunicarci è che la perdita di riferimenti più generali, altrimenti definita come “morte delle ideologie” o “fine della storia”, favorisce la disgregazione e l’alienazione tipica della odierna società del capitale. Il rifugio nell’individualità non è una soluzione. Solo il mantenimento di quei punti di riferimento può essere una possibile soluzione in una realtà sempre più caotica e dominata dall’interesse individuale. Solo la fedeltà a sé stessi e alle proprie idee può salvarci. Questo è ciò che sembra comunicarci il romanzo, quando Cesare, apprestandosi ad abbandonare la vecchia vita per iniziarne un’altra completamente nuova, mette nella valigia, tra “quello che non avrei mai lasciato”, la sua raccolta di libri marxisti. 

Cesare Sensibili certamente non ha né l’acume e il metodo scientifico di uno Sherlock Holmes né la logica stringente di un Nero Wolfe né la prestanza fisica di un Marlowe. Al contrario, come detective dilettante lascia molto a desiderare. Ma, proprio per questo e per la sua umanità dolente, è una figura tanto più viva e realistica. Anche per questa ragione Gli immorali sono un romanzo che vale la pena di leggere, come finestra sulla realtà che ci è toccato di vivere.

 

[i] Dashiell Hammet usò come base per i suoi romanzi la propria esperienza come detective della Pinkerton, l’agenzia di polizia privata che spesso veniva ingaggiata dagli industriali per combattere gli scioperi. Hammett successivamente divenne comunista e finì anche in carcere nel periodo del maccartismo per non aver voluto denunciare i suoi compagni.

[ii] Alberto del Monte, cit. in J.A. Zumoff, “Politics and the 1920s Writings of Dashiell Hammett”, American Studies, Vol. 52 No. 1, 2012. La Traduzione dall’inglese è mia.

[iii] Red Harvest fu pubblicato per la prima volta a puntate sulla rivista Black Mask tra 1927 e 1928.

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