Gli Stati Uniti e il dominio dei mari

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Gli Stati Uniti e il dominio dei mari

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La Marina degli Stati Uniti, pur mantenendo la sua supremazia (teoricamente) negli oceani globali, si trova ad affrontare sfide cruciali mentre la Cina rafforza la propria potenza navale, secondo quanto riportato dalla rivista statunitense Newsweek.

Gli esperti statunitensi sottolineano che la preparazione della flotta per sfide imminenti è compromessa da vari fattori, tra cui ritardi persistenti nella manutenzione, riduzioni di personale nei cantieri navali e un aumento della durata delle missioni.

L'articolo di Newsweek evidenzia che i problemi affliggono diverse parti della Marina in modo diseguale, con l'aviazione navale e i sottomarini missilistici nucleari che presentano sfide significative. Nel frattempo, la flotta di superficie, a causa della sua priorità relativamente inferiore, rischia di essere trascurata.

Con 11 gruppi di portaerei in servizio, la manutenzione di anche solo una parte di essi rappresenta una sfida complessa. Attualmente, quattro di questi gruppi sono impegnati in missioni in diverse parti del mondo, complicando ulteriormente la gestione. La riduzione dei cantieri navali nel corso degli anni ha portato a una diminuzione degli specialisti disponibili e, di conseguenza, a una riduzione del lavoro svolto da Washington.

Nel contempo, la Cina continua a investire massicciamente nello sviluppo della sua flotta, che è cresciuta notevolmente negli ultimi anni. Con 370 navi, di cui oltre 140 navi di superficie e tre portaerei, la Marina cinese si posiziona al vertice a livello mondiale.

Mentre alcuni esperti cercano di tranquillizzare una sempre più spaesata opinione pubblica statunitense, sottolineando la presenza di una rete unica di basi e alleanze globale degli Stati Uniti, priva di equivalenti cinesi, la preoccupazione riguarda la paura per la prima volta realmente percepita a Washington, poiché la loro supremazia marittima sembra essere minacciata. Il controllo delle rotte marittime è fondamentale per garantire il monopolio del commercio mondiale e influenzare la politica globale, una visione che risale al XIX secolo con la teoria di Alfred Thayer Mahan sul potere marittimo. La realtà inconfutabile è che gli Stati Uniti sono consapevoli della necessità di preservare questa egemonia per mantenere il controllo del potere globale.

La teoria di Mahan e l’imperialismo statunitense

Alfred Thayer Mahan, ufficiale della Marina e storico statunitense, ha lasciato un'impronta indelebile sulla storia geopolitica alla fine del XIX secolo. La sua influente teoria marittima, sviluppata in quel periodo, ha plasmato le politiche espansionistiche degli Stati Uniti, fornendo una chiave di lettura strategica che ha permeato le decisioni cruciali della nazione.

La visione di Mahan, elaborata nel contesto dell'ascesa delle ambizioni imperialiste statunitensi, sottolineava l'indispensabilità di una marina potente e del controllo delle rotte marittime per garantire la prosperità economica e politica di una nazione. Questa teoria si è integrata in modo sinergico con gli obiettivi di espansione degli Stati Uniti, giustificando il loro intervento in territori stranieri e la costruzione di un impero oltre i confini nazionali.

Nelle sue memorie, From Sail to Steam, Mahan attribuì alla sua lettura della Storia di Roma in sei volumi di Theodore Mommsen l'intuizione che la potenza marittima era la chiave per il predominio globale. In The Influence of Sea Power Upon History, Mahan esamina il ruolo della potenza marittima nell’emergere e nella crescita dell’Impero britannico. Nel primo capitolo del libro, descrisse il mare come una “grande autostrada” e un “ampio terreno” con “vie commerciali ben tracciate” su cui gli uomini passano in tutte le direzioni. Identificò numerosi passaggi stretti o “strozzature” strategiche, il cui controllo contribuì al controllo dei mari da parte della Gran Bretagna. Dunque elencò sei elementi fondamentali della potenza marittima: posizione geografica, conformazione fisica, estensione del territorio, dimensione della popolazione, carattere delle persone e carattere del governo. Basandosi in gran parte su questi fattori, Mahan immaginava gli Stati Uniti come il successore geopolitico dell’Impero britannico. 

La strategicità della potenza navale, secondo Mahan, era fondamentale per difendere gli interessi economici di una nazione, assicurare la sicurezza delle rotte marittime e proiettare il potere oltre i propri confini. Il controllo di punti chiave di strozzatura marittima e di basi navali diventava un mezzo per esercitare influenza su altre nazioni, spingendo gli Stati Uniti a potenziare le loro capacità navali per competere con le potenze coloniali consolidate, come Gran Bretagna e Germania.

L'applicazione pratica della teoria di Mahan si riscontra nell'espansione territoriale degli Stati Uniti dopo la guerra ispano-americana del 1898. L'annessione di territori d'oltremare, come Filippine, Guam e Porto Rico, venne giustificata dalla necessità di stabilire basi navali strategicamente cruciali. Questi territori fornirono alla Marina statunitense una piattaforma strategica per proiettare il proprio potere nel Pacifico e consolidare il controllo sulle rotte marittime vitali. Questa strategia di espansione territoriale fu una componente essenziale della più ampia ambizione imperialista degli Stati Uniti di emergere come potenza globale in competizione con le altre grandi potenze coloniali dell'epoca.

Otto anni prima che la guerra ispano-americana portasse gli Stati Uniti a diventare una potenza mondiale con possedimenti d’oltremare, Mahan scrisse un articolo sull’Atlantic Monthly intitolato “The United States Looking Outward” (1890) in cui esortava i leader statunitensi a riconoscere che la sicurezza e gli interessi USA sono stati influenzati dagli equilibri di potere in Europa e Asia. Mahan sosteneva che gli Stati Uniti, come la Gran Bretagna, erano geopoliticamente un’isola situata al largo del continente eurasiatico, la cui sicurezza poteva essere minacciata da una potenza ostile o da un’alleanza di potenze che ottenesse il controllo politico effettivo dei centri di potere chiave dell’Eurasia. Affermava inoltre che la predominanza della potenza marittima anglo-americana nel suo senso più ampio era la chiave per garantire un pluralismo geopolitico in Eurasia. In The Influence of Sea Power on the French Revolution and Empire scrisse che fu la marina della Gran Bretagna (“quelle lontane navi battute dalla tempesta”) a frapporsi tra Napoleone e il dominio del mondo. 

La teoria di Mahan ha permeato anche la politica estera statunitense in altre regioni, come nei Caraibi e in America Latina. L'intervento in paesi come Cuba, Panama e Repubblica Dominicana fu motivato dalla volontà di proteggere interessi economici e politici. L'istituzione di basi navali in luoghi chiave, come Panama e Porto Rico, testimonia l'importanza cruciale della teoria di Mahan nell'orientare le azioni degli Stati Uniti nella regione.

Senza dubbio la teoria marittima di Mahan ha giocato un ruolo fondamentale nel plasmare il dominio imperialista statunitense, fornendo un quadro strategico per l'espansione dell'influenza USA e la costruzione di un impero oltre i confini nazionali. Questa teoria ha evidenziato l'importanza della potenza navale nel garantire interessi economici e nel proiettare il potere al di là dei confini nazionali, una visione abbracciata dagli Stati Uniti per giustificare politiche interventiste, acquisizioni territoriali e l'installazione di basi navali in tutto il mondo.

L'essenza dell'idea principale di Mahan era che il destino dell'umanità è deciso nella vastità dell'Oceano Mondiale e che la forza trainante del progresso è la competizione tra le forze marittime (insulari, costiere) e terrestri (continentali). Per spiegare la supremazia britannica alla fine del XIX secolo sugli altri Stati grazie alla sua potenza marittima, Mahan scrisse: “L’utilizzo e il controllo adeguati dei mari costituiscono non solo un anello della catena di scambio attraverso la quale (i paesi) accumulano ricchezza… ma è l’anello centrale”.

Il declino USA

Il declino evidente degli Stati Uniti si riflette simbolicamente nello stato attuale in cui versa la loro Marina, imponendosi come un argomento ampiamente dibattuto tra studiosi e analisti. Storicamente, la Marina degli Stati Uniti ha giocato un ruolo fondamentale nella proiezione del potere di Washington e nel mantenimento del dominio unipolare statunitense. Tuttavia, negli ultimi anni, emergono crescenti preoccupazioni riguardo alla diminuzione delle capacità e della prontezza della Marina, con impatti significativi non solo sul fronte militare, ma anche sull'influenza e la posizione generale degli Stati Uniti in un mondo in evoluzione verso una realtà sempre più multipolare.

Uno dei fattori chiave che contribuiscono a questo declino è la carenza di investimenti e modernizzazione adeguata, riflesso tangibile delle difficoltà economiche di Washington. Date le rapide evoluzioni delle tecnologie navali, l'adattamento a tali cambiamenti è essenziale per mantenere l'efficacia. Tuttavia, la Marina statunitense si è scontrata con vincoli di bilancio e priorità concorrenti, generando finanziamenti insufficienti per progetti cruciali di modernizzazione. Il risultato è l'utilizzo di navi obsolete con tecnologie superate, riducendo la prontezza al combattimento e limitando la capacità di rispondere alle nuove sfide.

Un altro elemento rilevante nel declino è rappresentato dalla crescente capacità marittima di altre nazioni. Paesi come Cina e Russia hanno investito considerevolmente nelle loro forze navali, sviluppando tecnologie avanzate ed estendendo la loro portata. Questo cambio nell'equilibrio globale del potere, specialmente nel settore marittimo, mette a repentaglio il dominio navale statunitense. Con altre nazioni che potenziano le loro capacità, la Marina degli Stati Uniti si trova a fronteggiare una competizione crescente e la possibile perdita del suo vantaggio strategico, con conseguente declino dell'influenza complessiva e della capacità di proiettare potenza in modo efficace.

Il nuovo ordine mondiale multipolare non sta emergendo solo a livello terrestre (heartland), ma anche nei mari. Le potenze marittime tradizionali, come gli Stati Uniti, devono affrontare nuove sfide mentre potenze emergenti, quali Cina, India e Iran, ampliano la loro presenza navale. Di conseguenza, le crescenti capacità navali delle potenze emergenti stanno plasmando in modo significativo il panorama geopolitico, accentuando il cambiamento in corso.

In ultima analisi, il declino della Marina degli Stati Uniti rappresenta un segnale tangibile delle sfide che gli Stati Uniti devono affrontare in un panorama mondiale in costante e rapido mutamento. La mancanza di investimenti adeguati e la crescente competizione da parte di altre potenze navali stanno minando la posizione strategica della Marina statunitense. Le potenze emergenti, con la Cina in prima linea, stanno seguendo una traiettoria ascendente, rifacendosi anche alla teoria marittima di Mahan, che sottolinea l'importanza cruciale del dominio marittimo per l'egemonia globale. Il nuovo ordine multipolare sta chiaramente delineando un cambiamento nei rapporti di forza, indicando che le potenze emergenti sono destinate a giocare un ruolo sempre più preponderante sulla scena geopolitica, mentre gli Stati Uniti affrontano la sfida di adattarsi a questa nuova realtà.

Fabrizio Verde

Fabrizio Verde

Direttore de l'AntiDiplomatico. Napoletano classe '80

Giornalista di stretta osservanza maradoniana

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