Grazie Cecilia Sala
di Patrizia Cecconi
Verso la fine del 1800 il filosofo e sociologo tedesco W.M. Wundt parlò di eterogenesi dei fini come effetto di azioni umane che divergono dai fini originari producendo risultati diversi da quelli prefissati, creando di conseguenza nuove motivazioni e divenendo quindi mezzi per il raggiungimento di altri fini. Con un pizzico di italica fierezza ricordo che molto prima di Wundt anche i nostri Machiavelli e Vico avevano affrontato lo stesso argomento e come loro altri filosofi, politici, storici. Ma senza volare troppo in alto fermiamoci a quanto avvenuto in questi giorni, cioè l’arresto – per servile obbedienza agli USA – dell’ingegner Mohammad Abedini reo di nulla in Italia, e il successivo arresto a Teheran di Cecilia Sala, la giornalista che, suo malgrado, e proprio per la citata eterogenesi dei fini vogliamo ringraziare e ne spiegheremo il perché nelle prossime righe.
A chi ha scritto “se l’è andata a cercare” ricordiamo che affermazioni del genere sono degne di giornali come Libero o Il Foglio (per il quale la stessa Sala scrive) o il Giornale, i quali sono soliti esternare ignobili giudizi alternandoli a fragorosi silenzi di fronte a giornalisti imprigionati per il loro servizio di diffusione di scomode verità (pensiamo ad Assange) o catturati mentre svolgevano il loro lavoro di reporter non embedded (come Giuliana Sgrena o Enzo Baldoni) o semplicemente assassinati intenzionalmente come usa fare lo Stato illegale di Israele che solo nell’ultimo anno ne ha uccisi più di 200 di reporter soltanto a Gaza. Sì, perché Israele non li arresta i giornalisti scomodi, li ammazza direttamente e, per la verità, non ci risulta che Cecilia Sala abbia mai detto una parola sulla violazione della libertà di stampa e sugli omicidi dei suoi colleghi colpevoli di testimoniare l’orrendo sterminio di Gaza. Ne’ ci risulta, a meno che non ci sia sfuggito, che lo abbia fatto il suo giornale o che abbia mai denunciato le torture subite da medici, infermieri e semplici inermi cittadini, come mostrano immagini orribili che solo grazie ai social fanno il giro del mondo. Anzi Ferrara, una delle colonne del Foglio, reo confesso, impunito e fiero di essere stato alcuni anni al soldo della CIA, proprio oggi tuonava, con la volgarità che lo caratterizza, contro papa Bergoglio colpevole di aver osato criticare Netanyahu e argomentava le sue accuse con ricorso a evidenti bugie. Certo, con la deontologia professionale il suo articolo cozzava un po’, ma da uno che si vanta di essere stato una spia dei servizi statunitensi non ci si può aspettare di meglio, anche se non rende un buon servizio alla giornalista arrestata alla quale tutti, compresa la scrivente, auguriamo un rapido rilascio. Perché ringraziare Cecilia, beh, perché ha fatto dire all’intero coro mainstream che la libertà di stampa è un diritto inviolabile per tutti, diritto finora riconosciuto solo per gli amici.
Anche Kaja Kallas, alta rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la sicurezza ha alzato la sua voce per chiedere “ l'immediata liberazione della reporter italiana Cecilia Sala, arrestata in Iran” aggiungendo che “Nessuno dovrebbe essere arrestato per aver fatto il proprio lavoro; il giornalismo non è un crimine. Ogni giornalista deve avere la libertà di fare reportage senza paura di essere arrestato o perseguitato. Mentre il mondo affronta la crisi, il ruolo del giornalismo è più essenziale che mai” Come non tributare un caldo applauso a queste parole! Ci chiediamo soltanto se è per banale razzismo o per meschine convenienze politiche che un’affermazione così schietta e così giusta non sia mai stata spesa per tutelare altri giornalisti, in particolare in questo periodo gli oltre 200 reporter assassinati da Israele. Il giornalismo non è un crimine, dice la Kallas, vero, ma uccidere i giornalisti lo è, e lo è più ancora che arrestarli.
È per questo che ringraziamo Cecilia, perché il suo inaspettato arresto ha scosso il mondo e dalla rappresentante UE al dipartimento di Stato USA; dal Comune di Verona, alla direttrice di MicroMega; dalla stampa più becera a quella più progressista; dai mezzibusti televisivi alle conduttrici di talk show, tutti hanno affermato con grinta che la libertà di stampa non può essere MAI soppressa, che i giornalisti vanno tutelati. Se per scarsa memoria o per malafede hanno dimenticato i loro silenzi o, peggio, la loro irrisione verso altri giornalisti meno fortunati della Sala non lo sappiamo, comunque oggi lo hanno affermato e lo ricorderemo. Dal quotidiano Il Giornale, abbiamo scoperto che a 19 anni Cecilia aveva avversato la scelta del governo italiano di rimpatriare i due famosi marò condannati in India, ma pare che loro l’abbiano perdonata perché il giudizio implacabile della ragazza, dice uno dei due, era dovuto alla sua giovane età!
Ora invece è maturata e chiede che il governo la riporti presto a casa, e anche il marò se lo augura perché anche lui dice: “Stiamo parlando di una giornalista che era andata lì a fare il proprio mestiere”. Concordiamo. Qualcuno ha indagato sulla sua famiglia e ha scritto che è figlia di un uomo dell’alta finanza, la JP Morgan. Ok, e allora? Evitiamo elementi distrazionali, quelli già ce li regalano i nostri media raccontandoci dettagli che sicuramente soddisferanno la direttrice di MicroMega che lamentava poca empatia verso la giovane, dettagli come la giusta preoccupazione della mamma per le conseguenze psicologiche di questa detenzione, o commoventi particolari sulla cella in cui dorme stesa su una coperta non avendo un materasso, o che non le sono stati ancora consegnati i cioccolatini che le erano stati inviati e altri particolari che portano a concludere che la povera Cecilia si trova in condizioni di detenzione disumane. Sicuramente Cecilia non sta in una stanza d’albergo con tutti i comfort, ma ci vorrebbe un po’ di pudore nell’uso degli aggettivi, quanto meno perché di condizioni realmente disumane, non per una ma per due milioni di persone, rese tali da Israele e dalle complicità di cui gode, né Cecilia né il suo giornale hanno mai mostrato di accorgersi.
Tornando al suo arresto, sembra certo che la ragazza non è stata arrestata per aver violato la legge della Repubblica islamica, ma è stata arrestata per poter essere scambiata con l’ingegnere svizzero-iraniano Abedini sul quale, secondo l’ANSA e giornaletti a seguito, gravava un mandato di cattura internazionale. Bugia consapevole o errore dovuto a ignoranza non si sa, comunque non c’era nessun mandato di cattura internazionale e non poteva esserci perché, per quanto gli USA accampino la loro signoria su mezzo mondo, una richiesta d’arresto ed estradizione degli USA non è un mandato d’arresto internazionale mentre, tanto per spiegarci, quello che grava su Netanyahu e Gallant lo è e, se dovessero venire in Italia, loro sì che dovrebbero essere arrestati ai sensi del diritto internazionale. L’ingegner Abedini, invece, è stato arrestato per compiacere il padrone americano il quale lo accusa di operare nell’ambito delle tecnologie belliche, cosa assolutamente vera, ma come centinaia di tecnici e consulenti della Leonardo, se parliamo dell’Italia, o di qualunque azienda del settore militare di qualunque Stato del mondo, Usa compresi. Quindi il motivo non regge.
Con un poco onorevole “si padrone” l’Italia ha obbedito e non solo lo ha arrestato e lo ha tenuto alcuni giorni in isolamento, ma lo ha mandato nel tristemente famoso carcere di Rossano Calabro che ospita i terroristi dell’ISIS, vale a dire che lì Abedini avrebbe potuto concludere la sua ancor giovane vita se l’ambasciata iraniana non si fosse imposta per farlo trasferire a Milano e non avesse usato l’arresto di Cecilia per avere un rapporto di forza convincente. Ora, il nostro servile governo si trova tra due fuochi: prostrarsi ancora al padrone statunitense ed estradare Abedini, sebbene per la nostra legge non sia colpevole di nulla e lasciare Cecilia Sala nelle carceri iraniane, oppure ricordarsi di essere il governo di uno Stato sovrano, drizzare la schiena e dire al padrone d’oltreoceano “ siamo alleati ma non servi e quindi secondo le nostre leggi Abedini non può essere estradato” e Cecilia tornerebbe a casa tra mille festeggiamenti e una carriera assicurata. Intanto la presidente del Consiglio, quatta quatta, senza neanche avvisare il suo ministro degli Esteri nonché suo vice presidente, ha fatto una scappatina a trovare Trump nella sua residenza privata ed è lecito – visto che volente o nolente rappresenta l’Italia – chiedersi con quale obiettivo ha fatto la scampagnata a Mar a Lago. La famiglia di Cecilia ha chiesto il silenzio stampa e quindi sarà un buon motivo per non farci sapere se è andata anche per perorare la sua causa e se lo ha fatto da questuante o da presidente del Consiglio di uno Stato sovrano. Un grazie a Cecilia Sala anche per questo, perché, pur non essendo nei suoi fini, il suo arresto fa riflettere sui rapporti di sudditanza del nostro paese verso gli Usa, e fa tornare alla mente le parole con cui il riformista Khatami, in seguito alla politica aggressiva di Bush verso l’Iran, 23 anni fa diceva che: “gli Stati uniti credono di essere i padroni del mondo e pretendono che il mondo si inchini alla loro politica”. L’Italia purtroppo lo fa. Vedremo nei prossimi giorni se vincerà il diritto e la dignità di Stato sovrano o se questo sfumerà di fronte al volere del padrone sacrificando la libertà di Cecilia e quella di Abedini e lasciando all’Italia pensante la triste consapevolezza di essere solo uno Stato vassallo .