Hamas, Israele e la Corte penale internazionale

Hamas, Israele e la Corte penale internazionale

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di Sandrino Luigi Marra

Hamas e Israele erano stati già ampiamente avvertiti delle conseguenze delle loro azioni a Gaza quando il Procuratore della Corte Penale Internazionale Karim Khan, già il 29 ottobre si era recato al valico di frontiera di Rafah in Egitto, senza riuscire ad entrare a Gaza, e aveva lanciato un primo statement con le sue linee d’azione, riprese in un editoriale del Guardian.

La prima riguardava Hamas: la Corte avrebbe individuato i «responsabili dell’organizzazione e dell’attuazione delle atrocità del 7 ottobre», e affermato anche che la  «presa di ostaggi, è un crimine di guerra ai sensi dello Statuto di Roma», perché «roghi, stupri e uccisioni non possono avvenire come se fossero normali; i bambini, gli uomini, le donne e gli anziani non possono essere strappati dalle loro case e presi in ostaggio, qualunque sia la ragione».

La seconda linea era per Israele: «Israele ha obblighi chiari in relazione alla sua guerra con Hamas: non solo obblighi morali, ma obblighi giuridici, nel rispetto delle leggi sui conflitti armati». Per i responsabili del lancio di missili su qualsiasi abitazione, scuola, ospedale, chiesa o moschea; «questi luoghi sono protetti e se c’è il dubbio che un bene civile abbia perso il suo status di protezione l’aggressore deve presumere che sia protetto. L’onere di dimostrare che questo status è alterato spetta a chi spara». Israele ha un esercito professionale, giuristi militari e un sistema basato sul rispetto del diritto internazionale umanitario, per cui ha l’obbligatorietà del dover dimostrare che «qualsiasi attacco è stato condotto in conformità con le leggi e le consuetudini dei conflitti armati», a cominciare dalla «corretta applicazione dei principi di “distinzione”, “precauzione” e “proporzionalità”», e dal divieto di «affamare le popolazioni».

Orientativamente ed a grandi linee queste sono le indicazioni del tribunale internazionale per i crimini di guerra dell’Aja, il quale analizza le azioni, i risvolti delle azioni e le conseguenze di queste in base alle violazioni commesse, senza alcuna distinzione. I mandati di arresto riguardano dunque i tre capi di Hamas, Yahya Sinwar, Ibrahim Al-Masri e Ismail Haniyeh identificati quali responsabili diretti dei massacri del 7 Ottobre 2023 costata la vita a 1200 persone oltre alla cattura di 245 ostaggi, ma anche il primo ministro israeliano Benjamin Nethanyahu ed il ministro della difesa Yoav Gallant identificati quali responsabili per i bombardamenti indiscriminati ed il blocco degli aiuti umanitari, con la conseguenza di avere causato il decesso di oltre 35.000 persone.

Trai i principi presi in considerazione dall’alta corte vi è il diritto di guerra, dove la reazione deve essere proporzionata all’azione ma soprattutto deve salvaguardare la vita delle persone e dove inoltre non è consentito l’uso della forza nei centri urbani. In considerazione poi che i crimini sono stati commessi su larga scala quindi prefigurati quali “crimini dei capi” “leadership crime” tali capi sono co-autori sia per la responsabilità da comando per averli ordinati sia per omissione e mancato controllo nell’aver consentito ai sottoposti azioni e comportamenti illegali.

Le richieste del procuratore Khan si sviluppano per Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant quali “crimini di guerra” «morte per fame di civili come metodo di guerra» (art. 8 para 2 lettera b), punto xxv, dello Statuto); «causare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi lesioni al corpo o alla salute» (art. 8 para 2 lettera a9 punto III); «trattamenti crudeli» (art.8 para 2 lettera c) punto i). E ancora: omicidio volontario (art. 8 para2, lettera a) punto i), omicidio (art. 8 para 2 lettera c) punto I); «dirigere intenzionalmente attacchi contro una popolazione civile» (art. 8 para 2 lettera b) punto I), o art. 8, para 2 lettera e) punto I). Seguono i “crimini contro l’umanità”: “sterminio e omicidio”, commessi «anche nel contesto di decessi causati dalla fame» (art. 7 para 1 lettere b e a); “persecuzioni” (art. 7 para 1 lettera h) e “altri atti disumani” (art.7 para 1 lettera k).

Mentre per i capi di Hamas in particolare per l’Ala Militare delle Brigate al Qassam per “crimini contro l’umanità” (articolo 7 dello Statuto della CPI) e “crimini di guerra” (articolo 8), anche nel contesto della “prigionia” riferita in senso ampio allo status degli ostaggi: “sterminio” (art. 7 para 1, lettera b); “omicidio” (art. 7, para 1, lettera a) e art. 8 para 2, lettera c) punto i); “presa di ostaggi” (art.8, para 2, lettera c), punto III); “stupro e altri atti di violenza sessuale” (art. 7, para 1, lettera g), e art. 8, para 2, lettera e), punto VI); “tortura” (art. 7, para 1, lettera f), e art. 8 para 2, lettera c), punto I); “altri atti disumani” ( art. 7, para. 1, lettera k), “trattamenti crudeli” (art. 8, para 2, lettera c), punto I), e “oltraggi alla dignità personale” (art. 8, para 2, lettera c), punto II).

Ma ancora più severo è il procuratore nei confronti del premier israeliano poiché i crimini commessi da Israele sono stati compiuti nell’ambito di un attacco “diffuso e sistematico” contro la popolazione civile e ancor più, e forse qui la maggiore gravità, “in base alla politica dello Stato”. Da qui l’accusa parla di “imposizione di un assedio totale su Gaza che ha comportato la chiusura dei tre valichi di frontiera, Rafah, Kerem Shalom ed Erez” nonché al blocco di aiuti essenziali che comprendono cibo, acqua ed in particolare medicinali, oltre a carburanti essenziali per produrre energia elettrica, blocco totalmente arbitrario poiché sono oltremodo aiuti umanitari non sottoposti a giurisdizione israeliana. Ma il procuratore ha continuato anche con ulteriori precisazioni dove rimarca la costituzione di un piano volto a danneggiare se vogliamo usare un eufemismo, la popolazione, egli accentua dunque ad un “piano comune per usare la fame come metodo di guerra” e per “punire collettivamente la popolazione civile di Gaza” ancorchè finalizzato ad “assicurare il ritorno degli ostaggi”

Dunque, nel merito è chiaro come la reazione sia da parte di Israele totalmente sproporzionata, oltre ogni limite poiché è anche vero che Israele come ogni altro Stato ha il diritto di difendersi e difendere la sua popolazione ma “tale diritto non esonera Israele o qualsiasi altro Stato dall’obbligo di rispettare il diritto internazionale”. Ancor più indipendentemente dall’obiettivo militare “i mezzi che Israele ha scelto per raggiungerli a Gaza, vale a dire causare intenzionalmente morte, fame, grandi sofferenze e gravi lesioni al corpo o alla salute della popolazione civile, sono criminali”.

Va detto che indipendentemente dalle affermazioni del Procuratore della Corte Penale Internazionale, in materia di diritto umanitario nessuno può derogare. Ancorchè non si voglia riconoscere il peso di una corte istituita proprio per comprendere attraverso testimonianze, filmati, scritti e quanto altro, quanto si sia violato e come, restano il Diritto umanitario internazionale e il Diritto di guerra i quali costituiti a partire dal 1949 definiscono modi di comportamento nei conflitti e nel rispetto della vita sia dei non combattenti che dei combattenti stessi, orbene, e concludendo c’è da dire che  in tempo di guerra, il Diritto Umanitario assume le vesti di Lex Specialis rispetto allo stesso Diritto di Guerra e questo basterebbe affinché Israele in particolare procedesse a ben altri modus operandi nell’attuale conflitto.

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