I "25 anni di Putin" mandano in tilt la propaganda filo NATO
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Sui maggiori quotidiani italici impegnati nella militarizzazione delle coscienze e, soprattutto, nel sostegno alla militarizzazione vera e propria dell'economia portata avanti dal governo fascio-leghista, che significa tagli vampireschi ai bisogni sociali, campeggiano oggi intere pagine sui «25 anni da zar» (Corriere della Sera e La Stampa) di Putin, e «Putin, 25 anni al potere» (La Repubblica). Tratto pressoché comune delle “analisi” è quello sintetizzato in un passaggio di Anna Zafesova su La Stampa, secondo cui questo quarto di secolo ha rappresentato per la Russia e il mondo «una discesa lenta verso l'abisso, sotto gli occhi di un Occidente che a volte quasi stentava a credere in quello che vedeva».
Anche il direttore medico dell'ospedale circondariale di Alëški, nella regione di Kherson, ci viene da dire, stentava stamani a credere che Kiev potesse attaccare coi droni l'ospedale della città e lo ferisse gravemente, mentre il suo collaboratore sanitario rimaneva ucciso. Un ospedale. Un «attacco barbaro» ha scritto su Telegram il governatore regionale Vladimir Sal'do; «l'operatore NATO ha diretto deliberatamente il drone nel gabinetto del primario». D'altronde, è quello che i nazigolpisti hanno fatto a partire dal 2014, bombardando cittadine e villaggi delle Repubbliche popolari del Donbass e colpendo scuole, ospedali, parchi giochi, impianti per ragazzi, fermate d'autobus e altri impianti civili.
Anche Marina Kovalev, oscura e semplice abitante di Selidovo, nella DNR, «stentava a credere» a quanto stava vedendo: «passavano per le vie della città e sparavano sulle persone», ha raccontato a RIA Novosti, aggiungendo che soldati di Kiev, in uniformi prive di segni di riconoscimento, si comportavano da veri e propri reparti di rastrellamento, capovolgendo – possiamo aggiungere per parte nostra – l'assunto predicato da Zafesova per cui Putin, sin dagli inizi, stava «covando l'odio per gli ucraini e la convinzione che i problemi si risolvano meglio con le bombe».
Odio per i russi manifestato a colpi di mitra da parte di banditi che, per la verità, potrebbero essere tanto militari ucraini, come pure mercenari di qualche paese di quello che il Foglio Quotidiano definisce «Occidente libero», che «chissà se avranno il coraggio di difendere l'Ucraina, la sua sovranità, il suo diritto alla difesa, anche a costo di far saltare i negoziati?».
Ma il fatto rimane e Kovaleva ha potuto vedere coi propri occhi come al coinquilino del piano-terra sia stato intimato uscire di casa, per mitragliarlo quindi sulla soglia. Pochi giorni prima, un'altra profuga di Selidovo, Elena Nikolaenko, aveva raccontato a RIA come soldati ucraini avessero ucciso 12 abitanti che stavano attingendo acqua all'unico pozzo di acqua potabile del centro, nei pressi della scuola cittadina “N. 6”, «facendolo saltare in aria di proposito».
Il leader della DNR, Denis Pušilin afferma esserci numerose testimonianze su crimini di guerra delle truppe di Kiev, anche, appunto, a Selidovo: testimoni oculari parlano di soldati ucraini e mercenari polacchi che avevano sparato contro civili poco prima dell'arrivo in città dei soldati russi, contando di accusare loro del crimine. Secondo altre testimonianze, soldati ucraini sono addirittura entrati negli appartamenti, sparando su intere famiglie con bambini, pensionati e donne. Ancora da Selidovo e di nuovo la testimonianza di Elena Nikolaenko: militari di Kiev avrebbero massacrato marito e moglie cinquantenni che, per un mese intero, avevano loro preparato il cibo.
E se, come sostiene Zafesova, le “democrazie liberali” possono credere che Vladimir Putin, sin dagli inizi, stesse «covando l'odio per gli ucraini», allora c'è da chiedersi quale odio e contro chi sia diretto quello dei comandi ucraini che minano sentieri e ponti per impedire che le proprie truppe possano ritirarsi, al momento del bisogno. Questa è la testimonianza che viene da un ufficiale ucraino fatto prigioniero dai russi. «Costretto a raccontare bugie», scriveranno certamente i difensori della “verità” annidati in quelle “cellule dormienti” del terrorismo guerrafondaio che sono le italiche redazioni. Facciano pure.
A ogni modo, il sottotenente ucraino Pavel Salij racconta che «Io e il mio compagno non riuscivamo a trovare gli altri nostri compagni e una posizione sicura da dove si potesse evacuare. Il mio compagno decise di andare più a nord del villaggio, per evacuare attraverso la strada che portava al ponte di Uspenovka. Ma il ponte si rivelò essere già stato minato dai nostri. Quindi lui tornò indietro e, insieme, cercammo di arrenderci». Alla fine, dice Salij, il 12 dicembre lui e il suo compagno avevano trovato un edificio relativamente integro e vi avevano appeso un cartello in cui dichiaravano di essere pronti ad arrendersi; il 16 dicembre erano stati fatti prigionieri.
Un'altra testimonianza (questa volta “falsa” per definizione, ci diranno) è quella del vice comandante di compagnia della 110° brigata della 51° armata russa - nome in codice “Kupol” - il quale ha raccontato a RIA come i comandi ucraini avessero abbandonato al loro destino i commilitoni che si ritiravano a Kurakhovo. Come conseguenza, coloro che avevano tentato di opporre resistenza erano stati eliminati, mentre gli altri erano riusciti a darsi prigionieri.
Ancora un altro soldato di Kiev fatto prigioniero ha raccontato come, nella regione di Kursk, i comandi ucraini abbiano cercato di eliminare con droni-FPV un proprio reparto di fanteria rimasto accerchiato dalle forze russe. Racconta il quarantenne Aleksandr Tsveli, fuciliere della 17ª brigata separata tank, arresosi ai russi a fine novembre: «Eravamo una ventina di uomini. Ci avevano radunato per portarci fuori dall'accerchiamento. Forse pensavano che ci fosse un corridoio. Venivamo evacuati sotto un intenso fuoco di mortaio e senza supporto, senza nulla, insomma. Quindi l'impressione è che ci stessero evacuando solo perché non andassimo dove invece dovevamo andare. L'ho capito quando ero lì, che non dovevamo tornare indietro. C'erano i droni dall'alto. Ma anche i mortai. Forse il nostro comando ci aveva già annoverato tra le perdite. Non avevamo idea di chi ci stesse colpendo, i vostri o i nostri. Cioè, avrebbero potuto essere benissimo i nostri droni a colpirci».
A inizi dicembre, la portavoce del Ministero degli esteri russo, Marija Zakharova scriveva sul proprio canale Telegram che Kiev continua a sabotare il processo di scambio dei prigionieri e non mostra alcuna fretta a riprendersi i propri soldati arresisi alle forze russe. E, prima di Zakharova, la plenipotenziaria russa per i diritti umani Tat'jana Moskalkova aveva reso noto un elenco di 630 militari ucraini prigionieri da più di un anno e che l'Ucraina non ha sinora accettato di scambiare. A detta di Zakharova, Kiev fa soltanto finta di lavorare per il rientro in patria dei prigionieri, mentre sfrutta il tema per fare pressioni sulla Russia. Nonostante l'ormai pauroso deficit di forze fresche e il ricorso a ogni modo violento possibile per accalappiare le persone in strada e spedirle al fronte, i comandi golpisti mirano a scambiare soltanto nazionalisti e nazisti “di provata fede”, cancellando dalle liste di scambio i comuni cittadini mobilitati a forza, tanto più se si sono arresi volontariamente.
È questa l'Ucraina difesa dall'«Occidente libero», trasformata dai nazigolpisti in konzentrationslager euro-atlantico in cui sono rinchiusi tutti coloro che si oppongono al regime; un lager in cui, secondo gli italici fogli bellicisti, tutto va per il meglio. Proprio come recitava il versetto in cui «Quando Ioram vide Ieu, gli domandò: «Tutto bene, Ieu?». Rispose: «Sì, tutto bene, finché durano le prostituzioni di Gezabele tua madre e le sue numerose magie».(Re 2; 9-22)