I fili scoperti del 5 ottobre
In Italia abbiamo alcuni problemi di comprensione del reale, alcuni nodi che nel dibattito pubblico ci portiamo appresso da decenni, senza metterci d’accordo. E ho come il sentore che questo sabato, 5 ottobre 2024, alla manifestazione di Roma convocata presso Piramide alle ore 14, indetta da GPI (Giovani Palestinesi d’Italia), API (Associazione dei Palestinesi in Italia), UDAP (Unione Democratica Arabo Palestinese), Comunità Palestinese d’Italia, già vietata dalla Questura, questi fili scoperti entreranno in contatto creando il cortocircuito che è nell’aria da tempo.
PRIMO FILO: LA RESISTENZA
Il primo filo è legato al concetto di Resistenza. Quando tra il 2004 e il 2006 produssi i due documentari girati in Iraq, Libano e Siria (“..e il Tigri placido scorre - istantanee dalla Baghdad occupata” e “Isti’mariyah”), allora come oggi era in corso una feroce battaglia sui termini, che ho anche di recente rievocato. Nel primo lavoro la battaglia linguistica la dovetti combattere intorno alla parola “occupazione” contenuta nel sottotitolo, la quale pregiudicava i finanziamenti europei della Ong che sosteneva il documentario e ne decretò pertanto la mancata distribuzione. In alternativa a quella parola, sul tavolo c’era l'opzione “operazione di pace”. Così gli standard della community sarebbero stato soddisfatti.
Nel secondo lavoro il concetto di Resistenza stesso fu messo al centro e, così com’era stato per il lavoro precedente, il dibattito attorno alla questione, a cominciare dagli ambienti di sinistra, fu eufemisticamente complesso. Il titolo “Isti’mariyah” in Arabo significa Colonialismo. Era la descrizione delle dinamiche in cui si trovavano a svolgersi le storie raccontate. Di conseguenza, come ben espresso da alcuni giovani siriani nel film, di fronte a una condizione di Colonialismo, ogni tipo di risposta, anche violenta, si chiama per definizione Resistenza. Tuttavia, in quegli anni, a prevenire l’utilizzo della parola Resistenza stava la parola Terrorismo. Dove stava il confine? Il dibattito in Italia a sinistra era già totalmente impreparato a esprimere una posizione condivisa.
Con le parole non si gioca, non si scherza. La conseguenza di chiamare “operazione di pace” quella dell’esercito italiano in Iraq fa sì che i caduti di Nassiriyah fossero dei martiri. Ma se invece quella diventa un’occupazione, allora quei caduti sono vittime della sete di risorse dei politici italiani che li hanno mandati a morire in una guerra ingiusta.
Pertanto, nel documentario girato a Baghdad nel 2004, chiesi direttamente agli Iracheni come dovessimo chiamare la presenza di soldati italiani in Iraq. Loro risposero con la parola “occupazione”. Quindi…
E così i colpevoli la fanno franca e i poveracci ci vanno di mezzo. Qualcuno sa che fine abbiano fatto per caso i processi a Bush e Blair?
Oggi, 20 anni dopo, siamo ancora al punto di partenza. Definire quello del 7 ottobre 2023 un atto di Resistenza è inaudito, così come lo era chiamare atto di Resistenza la strage di Nassiryah. A farlo si cade oltre confine, nel campo che risponde alla definizione di “terrorismo”. Ben inteso, nel dibattito italiano e occidentale. Si andasse nei caffè di Beirut o di Damasco o di Ramallah, statene certi che il ragionamento sarebbe capovolto.
E quindi, quando la manifestazione porterà implicitamente in piazza la questione, in quella stessa piazza troveremo chi di fronte all’operazione del 7 ottobre avrà visto un’opera di terrorismo, chi un’opera di resistenza e chi farà equilibrismi, magari rifugiandosi nella teoria consolatoria dell’azione pianificata da Israele.
E il filo scoperto svolazzerà nell’aria in attesa di un contatto.
SECONDO FILO: LA RIVOLUZIONE
Il secondo filo è legato al concetto di Rivoluzione. Questa parola a sinistra negli ultimi vent’anni è stata usata con troppa fretta. Il gioco semantico ha permesso di sovrapporre il romanticismo di atti eroici del passato con la fomentazione di sollevazioni mirate per essere la miccia ad operazioni militari imperialiste di ben più ampia scala. Le rivoluzioni colorate, già lo sappiamo, mi diranno i lettori dell’AntiDiplomatico. Sì, però, tra le sigle che sostengono la manifestazione ci sono soggetti direttamente legati a queste avanguardie o quantomeno sigle che negli anni ancora coltivano il mito delle rivoluzioni arabe.
Acqua passata, mi si dice. Eh, no, un momento. Di Libia non si parla proprio perché a sinistra regna questa confusione. Cosa previene di parlare del furto del petrolio libico e della migrazione come conseguenza di questa macchina infernale imperialista a due passi dalle nostre coste in atto da oltre un decennio sotto i nostri occhi? La sinistra legata alla rivoluzione libica del 2011, che condanna le milizie di Tripoli, ma si scorda che esiste già una Libia legittima con un suo parlamento, un suo governo e un suo esercito regolare, anche se da loro definito “le milizie di Haftar”. Questa sinistra lo previene. Quell’errore di lettura storica e politica di quei fatti di allora impatta e inquina tuttora il dibattito a sinistra. Dunque, questa gente con cui si dovrebbe dividere il corteo il 5 ottobre, a me risulta essere parte del problema e non soluzione.
Tuttavia questi riverberi non si sono prodotti soltanto in Europa. Si sono prodotti soprattutto laddove questi fatti avvenivano e anche se non ne seguiamo il dibattito, persino la comunità palestinese tutta si è spaccata su queste questioni. Drammatica fu la spaccatura della comunità palestinese che portò alla capitolazione del campo profughi di Yarmouk in Siria, alle porte di Damasco, che venne occupato dall’Isis nell’aprile del 2015. Persino il FPLP si spaccò, dando vita al ramo GC (General Command).
Ora però nel mondo arabo si sono ripresi un po’ tutti da quella sbornia. Il vento obamiano, che soffiava leggero sulle ali della Fratellanza Musulmana, che aveva illuso più di un leader in Medio Oriente, si è presto rivelato per quel che era. Solo da noi in Europa quelle avanguardie stanno ancora in piedi, quelle che parlano di libertà dei popoli arabi con l’agenda NATO in mano, per cui il presidente tunisino Saied (proprio il 6 ottobre ci saranno le nuove elezioni dove si prevede una schiacciante conferma) sarebbe un dittatore, pronti a sostenere un’altra rivoluzione colorata in Tunisia, nel caso. E’ normale, qui in Italia arrivano ancora soldi DEM in qualche modo. In Tunisia no. Le nuove autorità hanno proibito da qualche anno i finanziamenti alle Ong. Ad inquinare i pozzi sono rimasti in pochi da quelle parti. E il Paese ha fatto domanda di ingresso nei Brics.
Nei Paesi arabi è trascorso un decennio e la realtà si è scomposta e ricomposta nel frattempo. Ed è esplosa il 7 ottobre come nessuno qui poteva aspettarsi. Là dietro ci sta l’Iran, non George Soros. Perciò, noi si sta già andando in direzioni opposte, da un bel po’. Certo, si può cambiare idea e tornare indietro, ma questo non avviene. L’Urlo è sempre più rimosso (dopo essere stato censurato) e rimane incompreso, perché nessuno è disposto a riconoscere qua quelle contraddizioni che nei paesi arabi sono state già superate da un pezzo. E più si va avanti più mi convinco dunque che la presenza di queste sigle sia molesta e subdola.
Pertanto, quando la manifestazione porterà implicitamente in piazza la questione, in quella stessa piazza troveremo chi chiama Saied e Haftar dittatori e li vorrebbe abbattere con una rivoluzione in stile 2011 (non sapendo che il primo è stato già confermato presidente due volte dal voto popolare, l’altro ricopre “semplicemente” la carica di comandante dell’esercito nazionale libico in seguito a voto del Parlamento) e chi, se proprio deve scomodare la parola Rivoluzione, non accetterebbe niente di meno che la chiusura di tutte le basi NATO in Italia (e senza quelle, i dittatori arabi come li abbatti?).
E il filo scoperto svolazzerà nell’aria in attesa di un contatto.
TERZO FILO: LA REPRESSIONE
Il terzo filo è legato al concetto di Repressione. Il DDL 1660, parliamoci chiaro, sembra, delle varie questioni che si mescoleranno in piazza, quella che conta di più. Magari mi sbaglio. Forse perché 25 anni di politica internazionale e di viaggi sul campo mi danno la sensazione che l’italiano quasi mai si attivi veramente per una causa internazionale, semmai calcola come quella causa internazionale possa giovargli qui a casa sua.
E allora di cosa stiamo parlando? Del fascismo della Meloni? Non mi appassiona. Perlomeno non abbastanza da fare ore di strada avanti e indietro per partecipare al corteo. Il livello di repressione del consenso ha già sfondato gli argini da tempo, ve lo dice uno che è stato censurato in sala e quell’episodio avvenuto il 25 novembre 2022 è ancora oggi ignoto alla quasi totalità dei partecipanti alla manifestazione grazie all’omertà di buona parte delle sigle che la animano. Di quale repressione e libertà di pensiero stiamo parlando, ragazzi? Non sono d’accordo con quel DDL, ma alzare le barricate perché la Meloni è fascista, mentre Speranza alla fine era un compagno? Ragazzi, parliamone.
Pertanto, quando la manifestazione porterà implicitamente in piazza la questione, in quella stessa piazza troveremo chi si batterà contro la Meloni e chi si batterà contro un concetto molto più ampio di Repressione che guarda caso include alcune delle persone con cui probabilmente si troverà a sfilare.
E il filo scoperto svolazzerà nell’aria in attesa di un contatto.
IL RISCHIO
Il rischio è che i tre fili scoperti si allineino. Già che la questione Palestina va repressa, mettiamo tutte le cose insieme e il PD capirà, quando si tratta di libertà d’espressione sono i primi prestigiatori sulla piazza: la difendono ma la calpestano. La Resistenza diventerà terrorismo. L’occupazione diventerà operazione di pace o al limite autodifesa. Il Colonialismo diventerà guerra all’Asse del Male. E noi, imprigionati dalle nostre stesse parole, aspetteremo il corto circuito perfetto, nella nostra arrendevole e suggestiva impotenza.
Forse ce ne torneremo a casa nella speranza che la Realtà ci sopravanzi presto, uno di questi giorni.
E allora, vale la pena essere a Roma a Piramide alle 14 di sabato 5 ottobre 2024?
Io ci sarò. Certi appuntamenti storici valgono il prezzo del biglietto (del treno).