I quattro interessi degli Stati Uniti sulla questione Taiwan
La speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, arrivata oggi a Singapore per la prima tappa del suo tour in Asia che la porterà anche in Malesia, Corea del Sud e Giappone, potrebbe essere già domani sera a Taiwan.
Una provocazione bella e buona nei confronti della Cina che ritiene - a giusta ragione - l’isola un proprio territorio.
La scelta di visitare Taiwan in questa fase storica appare davvero immotivata e provocatoria.
Quali sono gli interessi strategici degli Stati Uniti su Taiwan?
Secondo Jin Carong - professore alla School of International Relations, Renmin University of China, esperto di questioni americane - intervistato da Guancha, sono quattro i punti di interesse degli Stati Uniti:
«Il primo grande interesse è cercare di contenere la Cina continentale nella prima catena di isole controllando Taiwan. La situazione geografica della Cina è in realtà molto strana: la superficie terrestre è di quasi 10 milioni di chilometri quadrati, l'area d'acqua del mare interno e del mare di confine è di circa 4,7 milioni di chilometri quadrati e ci sono 7.600 isole grandi e piccole nel zona di mare. Si scopre che abbiamo un'idea sbagliata che la Cina sia un paese continentale, ma in realtà la Cina è un paese complesso terra-mare. Tuttavia, abbiamo un posto imbarazzante in mare, cioè siamo sigillati nella prima catena di isole composta da Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Filippine. Se Taiwan torna nella madrepatria, la prima catena di isole sarà completamente spezzata e la Cina affronterà l'Oceano Pacifico.
Il secondo grande interesse è quello economico. Taiwan ha ancora un certo valore economico per gli Stati Uniti.Oltre ai semiconduttori, Taiwan è anche l'8° partner commerciale degli Stati Uniti (dati 2021).
Il terzo grande interesse è che Taiwan è considerata un "modello di democrazia" dagli Stati Uniti e gli Stati Uniti così sperano di influenzare lo sviluppo politico della Cina continentale sostenendo Taiwan.
Il quarto grande interesse è quello che ha esposto Ray Dalio, ed è legato alla credibilità strategica degli Stati Uniti. Alcuni statunitensi pensano che gli Stati Uniti abbiano un impegno nei confronti di Taiwan: se questo impegno non può essere mantenuto, perderanno la faccia e in futuro non sarà facile andare nell’arena internazionale».
Ragionando sulle motivazioni che spingono Nancy Pelosi a volersi recare a Taiwan, Mike Chinoy, ex direttore dell’ufficio della CNN di Pechino e ricercatore senior presso l’Istituto USA-Cina della University of Southern California, su Foreign Policy scrive: «Dobbiamo porci una domanda preoccupante: cosa spera di ottenere esattamente Pelosi? Vuole chiaramente mostrare il suo sostegno a Taiwan, ma le sue attività non sembrano essere correlate alla più ampia strategia statunitense, come promuovere il coordinamento e la cooperazione degli Stati Uniti con gli alleati regionali per contrastare le minacce di Pechino, o incoraggiare Taiwan a imparare le lezioni della guerra in Ucraina per migliorare le proprie capacità di difesa. Poiché la Casa Bianca ha inviato messaggi contrastanti, anche la visita di Pelosi a Taiwan sembra essere stata condotta con poca comunicazione o coordinamento».
Quindi, continua Chinoy, «la prevista visita di agosto a Taiwan sembra essere in gran parte simbolica piuttosto che pratica. Questo è un altro scatto in posa di Pelosi, il cui scopo è quello di pungere i cinesi come in passato. Ma questa volta, a differenza dell'ultima volta, se la situazione dovesse degenerare adesso, il popolo di Taiwan - e forse l'esercito statunitense che l'ha portata lì - ne subirà le conseguenze».
Il ministero degli Esteri cinese ha infatti fatto sapere che una eventuale visita a Taiwan, che la Cina rivendica a ragion veduta come parte del proprio territorio, da parte del "funzionario numero 3 del governo degli Stati Uniti" non sarebbe priva di conseguenze, ma sarebbe considerata piuttosto ‘«una grave interferenza nella politica interna cinese».
La Cina torna dunque ad avvertire gli Stati Uniti che l'Esercito Popolare di Liberazione cinese «non starà mai a guardare». Il portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian, ha parlato di «contromisure risolute e forti per difendere la propria sovranità e integrità territoriale».
Il gioco vale la candela per l’impero declinante statunitense?