Il 25 Aprile e il “virus” del comunismo
di Fabrizio Poggi
Al momento di scrivere, non sappiamo a che livello sarà arrivato, il prossimo 25 Aprile, per il 75° anniversario della Liberazione, lo “stato d'emergenza” decretato tramite coronavirus. I segnali non sono rassicuranti. Sul fronte sanitario, ci è stato raccontato di tutto: pochissimo di scientificamente provato. Sul fronte economico, hanno sentenziato, nei fatti, che il virus si arresta di fronte ai cancelli delle officine, timoroso di intaccare i profitti padronali. Nessuna certezza che il virus non sia “sfuggito accidentalmente” da qualche laboratorio militare (ad esempio, quelli yankee in Georgia o in Lettonia?) e che la sua diffusione non sia stata del tutto fortuita, quantomeno nelle dimensioni.
Dopo le dichiarazioni del portavoce del Ministero degli esteri cinese, Zhao Lijian, anche Rahbar Ali Khamenei ha dichiarato senza mezzi termini che esistono “prove che l'epidemia di coronavirus potrebbe essere un attacco biologico”. Il politologo indiano Parag Khanna sostiene che la diffusione del virus in Iran e in Italia sia legata al ruolo dei due paesi nel progetto cinese della Belt and Road Initiative e al tentativo di dirottarli verso altre strade.
Ma è soprattutto sul fronte delle contraddizioni di classe, che il virus ha trovato il proprio coronamento, con uno “stato d'emergenza permanente”, che la borghesia agogna da sempre di innalzare a “condizione normale” dello scontro sociale. Mentre si rinnova, ancora una volta, “l'epidemia” di obbligazioni finanziarie che lucrano sulle catastrofi, il virus epidemico tacita le voci sul virus informatico, con cui lo Stato si accinge a “captare” ogni qualsivoglia informazione passi attraverso i nostri apparecchi elettronici. “Prevenire è meglio che curare”: mai slogan è sembrato più appropriato, in tempi di virus. Solo che, obiettivo degli apparati repressivi agli ordini della borghesia, è quello di prevenire e reprimere ogni accenno, anche solo verbale, al disagio sociale. Si assiste a un'autentica prova generale di stato d'emergenza permanente e di controllo poliziesco dell'intero territorio nazionale, con l'imposizione a rimanere in casa e la proibizione di ogni manifestazione pubblica.
Il 25 Aprile potrà dunque rappresentare un banco di prova dell'esperimento poliziesco teso a “pacificare” lo scontro tra le classi. Il terreno “ideologico” viene preparato da tempo. Da decenni, si inculca nelle menti una “unità della nazione” estranea a ogni contrasto di classe tra padroni e operai, tra borghesi e proletari, all'insegna di “cittadini”, “consumatori”, “famiglie”, “itagliani”, in cui scompare ogni differenza di classe. Gli esponenti dei differenti settori della borghesia, travestiti da leghisti o democratici, hanno fatto a gara a invocare “Governi di salute pubblica” e “unità della Nazione”: ovviamente, la buona salute del capitale e l'unità dei profitti contro il lavoro salariato.
L'abbraccio interclassista di fronte al virus sembra essere caduto a proposito, in vista di un 25 Aprile che, intanto, si vorrebbe “di tutti gli itagliani”, anche dei “ragazzi di Salò”, in attesa di cancellarlo definitivamente.
Si è rinverdita la predicazione di una unione sacra di quella “Itaglia” da sempre in lotta contro le “ingiustizie” perpetrate a suo danno dalle nazioni più forti e più ricche: il tutto, è stato dato in pasto alle coscienze, in nome del “dovere di unirsi per far fronte al nemico comune, senza distinzioni di ceto”, che si tratti di virus o di elementi “anti-sistema” che minaccino la tranquillità della borghesia di continuare a sfruttare i lavoratori.
L'unità nazionale di fronte al virus è andata a sposarsi con la perenne rievocazione delle “gesta eroiche” di coloro che sul Carso restituirono alla “nazione” le terre irredente, mandando operai e contadini al macello nella guerra imperialista. Da anni si celebrano le “terre itagliane” occupate dai fascisti ai confini orientali e si bestemmia con crescente sfacciataggine istituzionale su “profughi itagliani”, scacciati o infoibati “sol perché itagliani”. Da anni va ampliandosi il coro della parificazione delle “vittime dell'odio”, cadute non si sa bene come e perché, per mano “elementi di destra e di sinistra”...
Si dimentica o si tace volutamente la natura del fascismo. Non del solo ventennio mussoliniano, ma del fascismo quale arma cui il capitale è sempre pronto a ricorrere ogni qualvolta non siano più sufficienti i metodi liberali di soggiogamento delle masse lavoratrici. Il capitale tiene sempre pronto il manganello, mentre cerca di far sì che sia sufficiente una ben curata e prolungata campagna “ideologica”, affinché lo “stato d'emergenza” permanente sia percepito – e anche invocato – quale provvedimento dovuto e indispensabile, per “il bene di tutti”.
Quest'anno, a dispetto dello “stato d'emergenza”, si celebra il 75° anniversario della vittoria sul nazismo e della fine della Seconda guerra mondiale, costati ai popoli del mondo oltre cinquanta milioni di morti, di cui oltre la metà alla popolazione civile dell'Unione Sovietica e ai soldati dell'Esercito Rosso. Oggi, le “democrazie liberali” cercano di appropriarsi di una vittoria cui, sul piano militare, contribuirono in parte secondaria; capovolgono così figure, avvenimenti, date, protagonisti. Il tema, naturalmente, non è nuovo; ma, man mano che si avvicina il giorno dell'anniversario, la campagna “alleata” assume aspetti grotteschi, sulla scia della campagna per la “memoria storica” varata dal Parlamento europeo il 19 settembre 2019, per ribadire che “la legge vieta le ideologie comuniste e naziste”.
All'insegna della “informazione” e della “Storia” servite al “largo pubblico”, si propagandano miti che, ripetuti all'infinito, rimangono infissi nelle menti senza che i ricettori se ne rendano conto. La “unità della nazione” è uno di quei miti, anche di fronte alle epidemie; e guai a chi si azzarda a disobbedire: scatta il codice penale.
Da anni, si martellano quotidianamente le coscienze, cominciando col riscrivere la storia passata dei comunisti, in tutte le sue pagine. Si spiana così la strada ai colpi decisivi contro i comunisti di oggi: l'obiettivo è quello di decretare per legge il bando del comunismo e dei comunisti, e fare in modo che la coscienza “di massa” accolga tale proscrizione come un “atto naturale” cui, per la “sicurezza”, cara alla destra come alla “sinistra”, si sarebbe dovuto ricorrere da tempo, al pari dello “stato d'emergenza” permanente. Anche il comunismo “è un virus”: tutti uniti, padroni e operai, lo si può debellare, quantomeno per legge.
È in corso da anni un attacco “ideologico” ai comunisti in ogni parte del mondo e questo non è che il viatico per dare forma “legale” alla crociata moderna contro comunismo e comunisti, per “pacificare” per legge la resistenza di classe alla sopraffazione da parte del capitale. Il virus non fa “distinzioni di classe”, attacca tutti; uniamoci dunque, tutti gli “itagliani”, contro il virus peggiore, quello del comunismo.
*L'articolo uscirà nella rivista Nuova Unità 2/2020