"Il est interdit d'interdire". Il paradosso della violenza
Ci vuole una certa dose di follia a pensare di poter cambiare il mondo.
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di Maria Murone
Nextnotizie.it
Ci vuole una certa dose di follia a pensare di poter cambiare il mondo. Come quella degli adolescenti, almeno quelli nati prima dei disillusi nativi digitali, con il loro carico di emozioni, genuinità e rabbia destabilizzante verso le ingiustizie sociali, travolti da passioni politiche, questioni etiche profonde che in quel periodo della vita iniziano ad accentuarsi in maniera a volte conflittuale. L’intensità di quelle esperienze, caratterizzate spesso da irriverenza e inquietudine (ma anche da una sana incoscienza, con il rischio quindi di commettere sciocchezze), si è incarnata in alcuni volti nuovi della politica e in chi come loro crede in un cambiamento. Spesso le loro dimostrazioni (occupare i banchi di Montecitorio, salire sul tetto in difesa della Costituzione, concludere un intervento con “People have the power” di Patti Smith, baciarsi simbolicamente contro l’omofobia, mettersi il bavaglio contro il decreto Imu-Bankitalia) sono approssimativamente bollate come pagliacciate o in alcuni casi persino come pericolose sommosse. “Una rivolta è in fondo il linguaggio di chi non viene ascoltato”, diceva Martin Luther King il quale dichiarava ancora che “quando hai ragione non sarai mai troppo radicale”.
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Ci vuole una certa dose di follia a pensare di poter cambiare il mondo. Come quella degli adolescenti, almeno quelli nati prima dei disillusi nativi digitali, con il loro carico di emozioni, genuinità e rabbia destabilizzante verso le ingiustizie sociali, travolti da passioni politiche, questioni etiche profonde che in quel periodo della vita iniziano ad accentuarsi in maniera a volte conflittuale. L’intensità di quelle esperienze, caratterizzate spesso da irriverenza e inquietudine (ma anche da una sana incoscienza, con il rischio quindi di commettere sciocchezze), si è incarnata in alcuni volti nuovi della politica e in chi come loro crede in un cambiamento. Spesso le loro dimostrazioni (occupare i banchi di Montecitorio, salire sul tetto in difesa della Costituzione, concludere un intervento con “People have the power” di Patti Smith, baciarsi simbolicamente contro l’omofobia, mettersi il bavaglio contro il decreto Imu-Bankitalia) sono approssimativamente bollate come pagliacciate o in alcuni casi persino come pericolose sommosse. “Una rivolta è in fondo il linguaggio di chi non viene ascoltato”, diceva Martin Luther King il quale dichiarava ancora che “quando hai ragione non sarai mai troppo radicale”.
Quell’energia critica, prerogativa prima di alcuni partiti, a cui purtroppo è mancato il coraggio di battersi fino in fondo, è passata nelle mani di giovani inesperti e perciò più soggetti al pubblico vilipendio dei “grandi”. La vecchia politica, timida, mitigata, inciampata in leggerezze, compromessi e nel continuo rinviare a domani, lascia il posto a facce nuove. Persone che rifiutano le soluzioni offerte dai partiti e si esprimono come semplici cittadini, svincolati da colori e bandiere, senza simboli o nomi da rifondare. Per i fan degli schieramenti una simile posizione è lo spettro dell’antipolitica, è sinonimo di qualunquismo. Tuttavia questi cittadini agiscono con senso avendo fiutato l’ennesimo inganno: quando non ci sono strade sicure verso la libertà, si costruiscono rimboccandosi le maniche. La missione è evidente: entrare nelle istituzioni ed innestare il germe dell’onestà e dei valori spirituali persi, contaminare i vecchi partiti e riportarli sulla retta via.
Da loro canto le organizzazioni ideologiche del passato con una visione del mondo, perdono dignità cedendo il passo a identità snaturate, nostalgie anacronistiche solo sbandierate. Con il tempo si adagiano su poltrone abbandonando le piazze e il popolo, considerato prima sovrano, oggi sovversivo.
Succede così che quei giovanotti derisi promuovono iniziative che i grandi avrebbero voluto fare, se solo ci avessero creduto. La banda degli scapigliati vittime delle ideologie, rappresenta lo spirito del popolo stesso che nel frattempo si era tanto ma tanto arrabbiato. Una rabbia mai aizzata e strumentalizzata dai nuovi arrivati, ma figlia dei continui rimandi dei grandi. Tuttavia gli uomini della vecchia scuola, che ostentano superiorità morale e culturale (i colti, i detentori del sapere, i portatori di intenti nobili, i professionisti dell’antifascismo, i difensori della storia dagli oltraggi, gli unici che abbiano letto libri) anziché fare autocritica sul loro operato negli anni, sui tentennamenti, sugli errori o ancora meglio invece di colmare le loro deficienze pensano bene di puntare il dito contro il nemico. Che non è Barabba, ma Gesù Cristo.
E così come invasati i responsabili del fallimento, dell’inadeguatezza, della negligenza, disprezzano, demonizzano, criminalizzano, si accaniscono contro il populista, il demagogo, l’ignorante, il teppista, lo squadrista, il fascista, lo stupratore.
Lo scempio delle larghe intese non basta a rinsavirli. Rimuovono colori, simboli, divisioni, cancellano la memoria che utilizzano solo a convenienza. E in previsione di future alleanze probabilmente dimenticheranno ancora, al punto che la bandiera resterà solo e tristemente un alibi. In questo momento serve solo il finto perbenismo e la moderazione rassicurante che da carnefici li consacra vittime delle barbarie delle opposizioni (perché è chiaro che decide solo la maggioranza ma guai a parlare di dittatura) da zittire a colpi di ammonimenti, ghigliottina, tagliole.
Il regime fascista subì una svolta autoritaria che portò all'abolizione delle libertà democratiche e alla realizzazione di una dittatura autoritaria, ottenuta tramite la soppressione poliziesca dell'opposizione politico-partitica. Magari quello delle istituzioni è “fascismo inconsapevole”.
A questo punto è lecito chiedersi: quanto è violento un impegno mancato, un reddito di cittadinanza solo sbandierato, una legge elettorale incostituzionale, un decreto salva banche in un momento storico come questo? Quanto è violento sentire cantare “bella ciao” e aver dimenticato le parole diritti, lavoro, povertà? Quanto è violento un F35? Quanto è violenta l’ipocrisia istituzionale? Quanto è violento dare degli eversivi a chi evidenzia misfatti? Quanto è violento distorcere una notizia? Quando è violento uno Stato sempre meno democratico che mette a tacere le opposizioni? Quanto è violento un ceffone in aula che non riceve solidarietà? Quanto è violento assistere a lezioni di moralità da gente che ha perso il cuore?
Se crescere significa smettere di credere nei sogni, allora è preferibile rimanere un adolescente, perché d’altronde i sogni non sono altro che obiettivi non ancora raggiunti. Si diventa adolescenti quando si è persone libere e oneste. E da adolescenti e folli non si può accettare che le cose stiano così.