Il fattore Malvinas

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Il fattore Malvinas

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di Pietro Terzan

 

«Il fattore Malvinas prevede l’incombere di una gravissima crisi economico-sociale all’interno degli Stati Uniti, collegata a un’evidente inefficacia nel contrastarla persino da parte della rete di protezione offerta dallo Stato e dalla parastatale Federal Reserve, che conduca come sua (evitabile) conseguenza alla vittoria dell’ala più oltranzista e reazionaria dell’imperialismo americano con il suo mantra: “Non abbiamo più niente da perdere. Meglio tentare di vincere ad Armageddon che avere le masse in rivolta armata a Los Angeles, Washington e in giro per tutto il Paese”. O tutto, o niente».1

Il parallelismo storico con le scelte della dittatura militare argentina che nel 1982, con la società in piena catastrofe economica e con il popolo sfinito pronto a rivoltarsi, preferì sfidare una potenza atomica, occupando le isole Malvinas sotto il controllo coloniale britannico dal 1833, piuttosto che essere colpita da un violento cambiamento interno, risulta brillante e fertile di ragionamenti. Facciamo però prima un passo indietro. Sta per scoppiare la Terza Guerra Mondiale? Si combatte ormai da qualche anno una guerra mondiale ibrida e a pezzi? Siamo già nella Quarta guerra mondiale, contando così nell’elenco la Guerra fredda? Come possiamo comprendere “i misteri della politica internazionale”? Sicuramente l’ultimo libro di Burgio, Leoni e Sidoli ci riempie la testa di spunti.

«I grandi stati, ricorda Mearsheimer, non sono né buoni né cattivi, non perseguono la virtù ma l’egemonia, non si conformano alle tavole della legge morale ma alle dure regole della sopravvivenza. Per muoversi nella giungla delle relazioni internazionali occorre aggrapparsi ad alcuni assunti fondamentali. Occorre ricordare che la società internazionale è anarchica; che le grandi potenze dispongono di una considerevole forza militare e sono quindi, nei loro reciproci rapporti, potenzialmente pericolose; che nessuno stato può essere certo delle intenzioni degli altri; che la principale preoccupazione di ogni stato è la sopravvivenza; che i comportamenti dei singoli stati sono tuttavia razionali e quindi attenti a calcolare, per quanto possibile, le relazioni altrui».2

La scuola di pensiero realista, pur avendo poco a che fare con il marxismo-leninismo, pur trascurando alcuni punti fondamentali dell’economia e delle relazioni sociali, ma soprattutto pur tralasciando quasi completamente la cultura, ha avuto spesso il pregio di togliere la maschera all’imperialismo occidentale. «Molti preferiscono vedere i conflitti tra il proprio stato e gli stati rivali come scontri tra il bene e il male, scontri nei quali loro sono dalla parte degli angeli e gli avversari sono schierati con il demonio. Così i leader tendono a dipingere la guerra come una crociata etica o come una contesa ideologica anziché come una lotta per il potere».3

Non dobbiamo mai dimenticarci dei rapporti di forza, nel concreto, nel tempo e nello spazio, di volta in volta da ridefinire. «L’analisi concreta della situazione concreta» (Lenin). Quale è la contraddizione principale? Quale è il nemico principale del momento? La gerarchizzazione delle contraddizioni può essere utile a livello strategico?

«Ogni individuo (e persino un gruppo) è collocato in un insieme contradditorio di relazioni sociali, ciascuna delle quali gli assegna un ruolo di volta in volta diverso. Ben lungi dall’essere basato su un singolo “rapporto di coercizione”, il sistema capitalistico mondiale è l’intreccio di molteplici e contradditori “rapporti di coercizione”. A decidere la finale collocazione di un individuo (e di un gruppo) nel campo degli “oppressi” o degli “oppressori” è da un lato la gerarchizzazione di queste relazioni sociali a seconda della loro rilevanza politica e sociale in una situazione concreta e determinata, dall’altro la scelta politica del singolo individuo (o del gruppo)».4

Già Marx ed Engels fin dal Manifesto avevano elaborato due criteri utili per orientarsi nell’arena della storia e tentare di cambiarne il corso:

1) Individuare l’attore politico-sociale che blocca maggiormente la lotta rivoluzionaria.

2) La sconfitta di quale soggetto politico può favorire lo sviluppo della Rivoluzione?

«L’impero sumero di Sargon nel III millennio a.C., quello persiano del VI secolo a.C., l’imperialismo schiavistico romano tra il II secolo a.C. e l’inizio del V secolo, il dominio mongolo su buona parte dell’Eurasia tra il 1200 e il 1360, per arrivare agli altri due imperialismi su scala mondiale di matrice occidentale, rispettivamente spagnolo e britannico, hanno avuto un denominatore comune pur nelle loro grandi differenze: ossia detenere il primato in campo militare sulle aree soggiogate da essi».5

L’erede incontrastato di questa feroce tradizione è uno solo: gli Stati Uniti d’America, nemico numero uno dei popoli del mondo! Colpi di Stato, «diplomazia coercitiva»6, guerre umanitarie, embarghi, manipolazione dell’informazione sono una minima parte delle tecniche con cui gli USA hanno alzato il livello assassino dell’imperialismo. Dopo aver mantenuto amichevoli rapporti per anni con il nazifascismo, aver tentato di far scatenare la sua terribile forza distruttiva contro i bolscevichi, dopo aver tardato consapevolmente l’apertura del Secondo fronte e sabotato la grande alleanza antifascista, l’invenzione della bomba atomica fu utilizzata in primo luogo in funzione antisovietica ed egemonica mondiale. Soltanto il “miracolo” comunista targato Stalin, che contro ogni previsione in soli quattro anni ristabilì l’equilibrio del terrore nucleare, diede il via piano piano al periodo della mutual assured destruction (MAD), la possibilità di una distruzione reciproca, la nota deterrenza atomica. Già nella prima metà degli anni Cinquanta l’invenzione delle bombe all’idrogeno e a fusione termonucleare aumentò di mille volte il potenziale distruttivo di queste armi di sterminio di massa. Non solo: la crescita delle armi chimiche e biologiche è stata sviluppata in maniera esponenziale.7 

La militarizzazione dello spazio, i missili intercontinentali, le bombe atomiche da zaino, le bombe al neutrone che uccidono le persone ma non distruggono la merce, sono ulteriori pezzi del puzzle! Il processo di accumulazione di potere distruttivo e di corsa agli armamenti fu micidiale. Se l’arsenale statunitense nel 1945 contava due ordigni, attualmente ne ha a disposizione circa 7.000 di molto più potenti e vari, ma ci sono stati periodi, come ad inizio anni ‘60 che erano più di 24.000. Caro Einstein, il rischio qui non è di combattere nuovamente in futuro con la clava, ma dato anche l’inevitabile e conseguente inverno nucleare, di non combattere proprio più! La completa irrazionalità iniziò a manifestarsi tra i falchi militari di Washington già durante la Guerra di Corea, dove alcuni diabolici piani prevedevano l’utilizzo delle bombe atomiche non solo contro i nordcoreani, ma persino contro la Cina.

La pax americana non è stato altro che il tentativo da parte degli USA di prendere il posto vacante dell’Impero britannico, di conquistare l’egemonia mondiale. L’analisi e i fatti testardi proposti dal trio autore del libro in questione, lo dimostrano chiaramente.

«Proprio l’insospettabile e anticomunista Joseph Blatter, uno scienziato di alto livello che aveva partecipato alla costruzione della bomba atomica sotto la guida di Robert Oppenheimer, in una conferenza tenutasi a Ginevra nel 1984 sbalordì il pubblico presente raccontando che nel marzo del 1944, quando ancora la bomba era solo formule e calcoli, il generale Groves lo aveva informato che lo scopo finale della costruzione dell’arma nucleare era l’Unione Sovietica».8

Iniziarono a delinearsi la politica e i sogni del primo colpo nucleare impunito, i piani dell’annientamento, con l’utilizzo dell’atomica, del primo stato socialista della storia. Il primo progetto d’attacco fu elaborato dettagliatamente appena tre mesi dopo l’abominio di Hiroshima e Nagasaki. Il piano Strategic Vulnerability prevedeva la distruzione delle 20 città sovietiche più importanti e strategiche, servendosi di 20/30 ordigni atomici. Nonostante l’URSS in quel momento non rappresentasse nessuna evidente minaccia. Oggi che possiamo voltarci indietro e vedere la scia di morte lasciata dai bombardamenti ed embarghi a stelle e strisce dalla fine della Seconda guerra mondiale in avanti, che possiamo conoscere il dato di fatto che basi e soldati statunitensi si trovano in 140 Paesi del mondo, che il 40% delle spese militari mondiali sono a capo a Washington, che l’espansione della Nato non si è mai fermata così come il “metodo Giacarta” (lo sterminio sistematico dei militanti comunisti, che sia esso fisico, mentale o politico), non possiamo girarci dall’altra parte, fare finta di niente o utilizzare l’equidistanza contro chi tenta di resistere all’autoproclamatosi sceriffo della terra!

Non solo colpi di stato, guerre “umanitarie” scatenate da falsi pretesti prefabbricati o rivoluzioni colorate, ma anche il più grande complesso di spionaggio mondiale: l’Echeleon!9 Dov’è la democrazia nell’oppressione secolare della Palestina, nella mortale povertà che stritola la stragrande maggioranza del pianeta, nella guerra in ex-Jugoslavia, nell’Afghanistan da decenni martoriato, nei milioni di morti in Iraq (500.000 solo bambini), nei bagni di sangue della Siria e della Libia, nelle catene strette intorno a Cuba e al Venezuela? È questo il mondo libero? Un perenne Vietnam e un continuo incidente del Golfo del Tonchino! Menzogne e narrazioni sostenute alacremente dai servi di casa nostra! Vi risparmiamo il ricordo, facilmente reperibile, dei crimini e delle atrocità americane commesse durante la Guerra Fredda.

Poco studiato, ma fondamentale per comprendere questo fosco quadro è il ruolo giocato della Cia, sia per rovesciare i governi ostili, sia per sorreggere quelli amici. I servizi segreti americani costituiscono una tra le principali multinazionali dello Zio Sam, con bilanci ufficiali multimiliardari e con un curriculum omicida di tutto rispetto. Non serve sforzare lo sguardo in lontananza, basti pensare alla sua azione nelle elezioni italiane del 1948, dove ormai, grazie anche a documenti declassificati della stessa Cia, abbiamo la definitiva conferma della manipolazione che subì la nostra neonata democrazia. Il supporto alla DC non fu solo economico. Il piano per la vittoria si componeva di tre fasi: propaganda a tappeto; ipotetica falsificazione dei risultati; golpe per ribaltare la vittoria del Fronte popolare. La terza fase non è stata necessaria, mentre i documenti sui brogli sono ancora segreti. La propaganda fu altamente sofisticata e in ultima istanza efficace, come dimostra il nostro status di semicolonia da quasi oramai 80 anni.

«Sempre ai fini del processo di costruzione di un’egemonia mondiale di Washington la Cia ha creato via via in giro per il pianeta, dal 1947 a oggi e senza soluzione di continuità, alleanze di lungo periodo con gli “impresentabili”; ossia gerarchi nazisti e forze neofasciste nel dopoguerra, mafiosi e trafficanti di droga sempre dopo il 1945, fondamentalismo islamico dal colpo di stato progressista del 1978 in Afghanistan e forze paranaziste in Ucraina a partire dal 2010-2012, il tutto ovviamente legittimato e giustificato abilmente in nome della sacra lotta contro l’idra del comunismo mondiale».10

Dagli inizi degli anni Novanta anche Internet è diventato un incredibile campo di battaglia, sia per il consenso delle persone, sia per la raccolta di informazioni e big data, tramite anche hackeraggio e cyberwar.

«Gran parte della sinistra occidentale fa finta di ignorare proprio che “l’hardware principale, il sistema operativo, l’infrastruttura delle informazioni chiave e il software applicativo del World Wide Web sono forniti da società Internet statunitensi” americane e con sedi operative dentro i confini americani: tende inoltre a obliterare e scordare, rispetto alle questioni relative alle opinioni/consenso politico su Internet e alla gestione dei big data su scala mondiale, i particolari rapporti che si sono via via creati tra gli apparati statali americani e colossi a stelle e strisce quali Amazon, Facebook e Microsoft».11

Tutto ciò per influenzare l’opinione pubblica mondiale, controllare la mente della gente. Le ricerche e gli stratagemmi psicologici e cognitivi ormai si sprecano nella guerra subdola non solo contro lo spettro del comunismo, ma anche contro chiunque osi alzare la testa. Non solo il pugno di ferro contro i cambiamenti, ma anche un complesso sistema di soft power. Conquistare il cuore della popolazione riguardo a come si vede il diverso non basta più, diventa sempre più necessaria per il potere l’autorappresentazione, come viene vista la nostra società occidentale.

Il capitalismo della sorveglianza risulta sempre più essenziale per far muovere correttamente gli ingranaggi. Si cerca di controllare ogni cosa, ogni movimento, ogni notizia, per poi plasmarla, modellarla e così incidere sulla realtà. La scuola, gli intellettuali organici, i mezzi di informazione, il giornalismo, la storia sono piegati e pagati per i fini dello sfruttamento strutturale. Non è fantascienza, provate a pensarci, a ragionare su almeno un campo su cui siete particolarmente ferrati, vedrete che troverete molte crepe, molte tessere che non vanno nel posto che ci viene indicato.

«Risulta relativamente facile, per la borghesia statunitense/occidentale e i loro media, ingannare buona parte della popolazione delle metropoli imperialistiche sulla politica estera per un fatto evidenziato dal giornalista K. Hummler e che riguarda in specie la circostanza che la quasi totalità delle notizie che ci giungono sugli eventi del mondo è generato da tre sole agenzie internazionali di stampa [Associated Press; Agence France-Presse; Agenzia Reuters]. Il loro ruolo è talmente centrale che i fruitori mediatici – TV, giornali e internet – coprono quasi sempre gli stessi eventi con i medesimi argomenti, lo stesso taglio, il medesimo formato. Si tratta di agenzie che godono di coperture e sostegni di governi, apparati militari e intelligence, essendo da questi utilizzate quali piattaforme di diffusione di informazioni pilotate».12

Il lavaggio del cervello del mainstream! Ciò che appare originale è invece proveniente dallo stesso impasto, non cambia la sostanza della notizia da Berlino a New York, da Roma a Parigi, da Bruxelles a Tokyo. L’imperialismo USA e i suoi vassalli, le élite europee e le borghesie nazionali occidentali, sono il centro gerarchicamente organizzato di questa guerra combattuta su molteplici e diversificati fronti. Per la fortuna dell’umanità gli sforzi nordamericani iniziati da Reagan, di superare a proprio vantaggio lo stallo atomico, sono andati in frantumi, anche per le contromosse delle altre potenze nucleari.

È inutile illudersi, non è possibile l’utilizzo tattico di armamenti nucleari, la reazione a catena porterebbe soltanto a un inferno sulla terra molto più apocalittico rispetto alle attuali terribili ingiustizie. L’enorme spada di Damocle della nostra epoca, a partire dal 1945, è la capacità della nostra specie di autocancellarsi!

«La corsa al riarmo/contro riarmo atomico ha inoltre costituito in passato e rappresenta tuttora una particolare forma di lotta di classe su scala planetaria, nel quale dal 1944-45 a oggi l’imperialismo statunitense ha costantemente assunto il ruolo della parte attaccante e guerrafondaia: alla ricerca simultanea dell’egemonia mondiale e della distruzione dei paesi socialisti, del movimento comunista e delle forze antimperialiste, finora senza successo strategico».13

Che senso ha scatenare una guerra che potrebbe autodistruggere la nostra specie? L’avida ricerca del potere, la volontà di potenza che ricerca la speranza di vittoria, i sogni di terra e sangue che già nel corso del Novecento hanno fatto scatenare i conflitti bellici più terribili della storia umana, rimangono dei seri pericoli. Da Hiroshima in poi la carta dello scontro tra potenze nucleari potrebbe essere utilizzata dalla disperazione dettata da una crisi interna o internazionale senza precedenti. I rischi ben analizzati nel testo in esame, hanno impedito finora questa tragica opzione.

Torniamo dunque all’ipotesi iniziale del fattore Malvinas. Nonostante le cicliche e sempre meno controllabili crisi del capitalismo (2008), sarebbe soltanto un’esaltata minoranza guerrafondaia a prendere sul serio la possibilità di scatenare un conflitto nucleare. Il problema è che ci sono tutti i presupposti per una crisi sociale e politica mai vista prima nel paese della white supremacy nei prossimi anni, con conseguenze davvero imprevedibili. Sempre con più leggerezza si parla della guerra atomica, mentre sono sempre di più le provocazioni e i segnali allarmanti.

I venti di guerra soffiano sempre più forti. Il presupposto centrale del fattore Malvinas sarebbe una nuova grande depressione, cento anni dopo la crisi del ‘29. Dopo due pesanti recessioni, 2010 e 2022, l’incremento strabiliante del debito statale americano, per non parlare di quello privato, un aumento costante e pauroso del deficit della bilancia commerciale americana e ulteriori preoccupanti dilemmi, il probabile default dell’impero è dietro l’angolo.

Perché l’analisi marxista dello scoppio di crisi economiche periodiche nel ciclo a spirale del processo di produzione capitalistico dovrebbe sbagliare proprio questa volta?

Siamo sull’orlo del baratro senza nemmeno accorgercene. Bisogna aprire gli occhi e le ipotesi delineate da Burgio, Leoni e Sidoli possono aiutarci ad agire nella realtà.

Cosa potrebbe accadere dunque a livello internazionale?

1) Guerra nucleare occidentale contro uno o più paesi non allineati.

2) Repressione massiccia delle inevitabili sollevazioni popolari causate dalla sempre più profonda crisi strutturale.

3) Rivoluzione.

4) “Ipotesi Nantes”.

Quest’ultima è sicuramente l’opzione più originale e merita un approfondimento, vista anche l’intrinseca difficoltà a soltanto abbozzare le altre. L’Editto di Nantes del 1598 fu in estrema sintesi un compromesso nell’epoca delle guerre di religione tra cattolici e ugonotti (protestanti) in Francia.

«L’“ipotesi Nantes” non è altro che uno scenario (potenziale e non-inevitabile) di compromesso planetario tra i due contraenti principali (anche se non certo unici), e cioè da un lato la frazione meno reazionaria e aggressiva della borghesia statunitense, supportata da un’ampia fascia delle masse popolari del Paese, e dall’altro la direzione del partito comunista cinese, mandatario politico dei produttori diretti del gigantesco Paese asiatico».14

Questo ipotetico negoziato mondiale, pacifica transizione dall’unipolarismo al multipolarismo, prevederebbe tra le tante cose: il salvataggio del debito sovrano USA da parte di Pechino; un progressivo disarmo e smantellamento delle basi militari yankees in gran parte del globo; il rispetto del principio di un’unica Cina, con una soluzione non militare della questione Taiwan; una sorta di politica realmente riformista negli States (sulla falsariga dei piani Tobin/Stigliz/Krugman)15; l’introduzione di una nuova moneta internazionale di riferimentoQuesta sarebbe a grandi linee solo la prima fase. In un secondo momento si affronterebbero direttamente i flagelli del nostro tempo, in primis la fame nel mondo, l’incubo nucleare e quello ambientale.

«Tre obiettivi assolutamente riformisti e in buona parte compatibili con lo stesso processo di riproduzione/accumulazione capitalistico: ma che allo stesso tempo risultano purtroppo ancora nel 2023 quasi inconcepibili, fantascientifici e utopici, mentre invece potrebbero essere realizzati affrontando un grado serio, ma assolutamente superabile di difficoltà tecnico-finanziarie, una volta risolta la (difficile e ipercomplicata…) questione politica, della volontà/progettualità politica; tre obiettivi allo stesso tempo minimalistici e giganteschi, la cui realizzazione concreta permetterebbe di evitare al genere umano il pericolo concreto e sempre crescente della sua autodistruzione, oltre a restituire almeno una riproduzione materiale di base, dignità e speranza a miliardi di “dannati della terra” (Frantz Fanon)»16

Per giungere a questo “compromesso storico planetario” ci vorrebbero varie combinazioni che vi lasciamo scoprire nella lettura integrale del saggio. Le critiche a buon mercato lasciamole agli altri, l’incertezza regna incontrastata e una proposta non certo rivoluzionaria, risulta in ogni caso teoricamente utopistica.

Abbiamo estremo bisogno di tenere presente nel nostro orizzonte di riferimento un tocco di realismo. Resta fermo un fatto enorme come un macigno, che la storia è tutt’altro che finita! Dobbiamo organizzarci dal basso, oppressi della terra, per la salvezza dell’umanità e del pianeta. La nostra lotta, la lotta del proletariato e per il comunismo, ha un primo e unico grande nemico, un cerbero a tre teste: l’imperialismo USA, la Nato e l’UE. Non vanno di certo tralasciate le altre contraddizioni che si intrecciano dialetticamente con la principale, le zanne affilate del patriarcato, delle multinazionali, delle élite finanziare, della borghesia nostrana, del modo di produzione capitalistico, del sionismo…!

Questo Moloch come in passato non è imbattibile, dobbiamo assolutamente resistere! Il futuro non è ancora scritto ed è meglio ripassare un po’ di Sun Tzu: «Se conosci il nemico e conosci te stesso, non devi temere il risultato di cento battaglie. Se conosci te stesso ma non il nemico, per ogni vittoria ottenuta potrai subire anche una sconfitta. Se non conosci né il nemico né te stesso, soccomberai in ogni battaglia».17

Proprio per questo è sempre più vitale studiare, organizzarsi e agire!


Note

1 Burgio D., Leoni M., Sidoli R., Terza guerra mondiale? Il fattore Malvinas, Roma, L.A.D. GRUPPO EDITORIALE, 2024, pp. 160-161.

2 Mearsheimer J., La logica di potenza. L’America, le guerre, il controllo del mondo, Milano, Università Bocconi Editore, 2008, pag. VII.

3 Ibid., pag. 21.

4 Losurdo D., La lotta di classe. Una storia politica e filosofica, Bari, Gius. Laterza & Figli, 2013, pag. 125.

5 Burgio D., Leoni M., Sidoli R., Terza guerra mondiale?, pag. 28.

6 Si veda Ibid., pag. 29.

7 «Ad esempio già all’inizio degli anni Settanta dello scorso secolo un’equipe statunitense di Fort Detrick, diretta da Bill Patrick, riuscì a “intensificare la virulenza del carbonchio e dell’antrace… cosicché un recipiente di un gallone (3,78 litri) poteva contenere fino a otto miliardi di dosi letali, abbastanza per uccidere tutti gli uomini, le donne e i bambini sulla faccia della terra». Burgio D., Leoni M., Sidoli R., Terza guerra mondiale?, pag. 135. Se negli ultimi anni avete già sentito parlare di Fort Detrick, o se non ne avete mai sentito parlare, consiglio la lettura integrale del lavoro a più mani Il Covid è nato negli USA?.

8 Burgio D., Leoni M., Sidoli R., Terza guerra mondiale?, pag. 41.

9 Si veda in particolare ibid., capitolo 3, Cia: sovversione, terrorismo e cyberwar mondiale, pp. 75-106.

10 Ibid., pag. 89.

11 Burgio D., Leoni M., Sidoli R., Terza guerra mondiale?, pag. 96.

12 Ibid., pag. 124.

13 Ibid., pag. 152.

14 Burgio D., Leoni M., Sidoli R., Terza guerra mondiale?, pag. 168.

15 Si veda ibid., pp.169-185.

16 Burgio D., Leoni M., Sidoli R., Terza guerra mondiale?, pag. 174.

17 Ibid., pag. 34.

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