Il G20 di Bali e la "politica della paura"

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Il G20 di Bali e la "politica della paura"

 

Il G-20 dei ministri degli Esteri di Bali avrebbe dovuto sanzionare l’isolamento internazionale della Russia, ma così non è stato. Nessun documento finale sulla guerra ucraina, d’altronde era ovvia l’impossibilità di tale esito, data la diversa sensibilità sul tema dei Paesi partecipanti.

Né, inoltre, era possibile l’opposto, cioè un singulto della diplomazia tale da aprire spiragli di negoziato tra le parti, in particolare dopo l’assassinio dell’ex premier giapponese Shinzo Abe, ucciso l’8 luglio, giorno di apertura del summit, evento esploso come una bomba sull’assise asiatica, destabilizzandola.

Eppure il summit non è stato del tutto vano. Nonostante fosse stato assicurato da tutti che russi e americani avrebbero mantenuto le distanze, com’è avvenuto per le photo opportunity del vertice, le cene comuni, etc, Blinken e Lavrov hanno avuto un breve colloquio volante, in piedi, come riferito dalla ministra degli Esteri indonesiana Retno Marsudi alla Reuters e smentito, per ovvie ragioni di principio, dal New York Times.

Certo, in una circostanza simile i due non si sono potuti dire granché, ma resta comunque importante. Anche perché non è stato affatto casuale, come dimostra il fatto che Blinken, al contrario delle attese, sia rimasto seduto ad ascoltare il discorso del suo omologo russo. E resta anche da vedere se i rispettivi accompagnatori si siano dati convegno nel segreto, com’è probabile che sia accaduto.

Tutto questo indica come fosse probabile che, in assenza di gravi perturbazioni geopolitiche (come appunto l’omicidio di Abe), tali incontri sarebbero stati meno fugaci e segreti. Ma la storia non si fa con i se.

Resta alle cronache un breve scambio di opinioni che in ogni caso denota che le due potenze sono interessate a conservare un filo, seppur esile, di dialogo, per evitare escalation impazzite della guerra.

A margine del G-20, Russia e America si sono prodigate in incontri bilaterali con i rappresentanti degli altri Paesi presenti: Lavrov per rinsaldare i rapporti con quegli Stati che non hanno aderito alla crociata anti-russa, gli Stati Uniti per tentare di portarli dalla propria parte.

Difficile trovare indicazioni significative sull’esito di tali bilaterali, ma è da notare che, finito il G-20, un altro sussulto sismico ha scosso l’Asia: lo Sri Lanka è crollato sotto il peso della crisi finanziaria ed economica.

Alleato chiave della Cina nell’Indo-Pacifico, la fame e le restrizioni lì incrementate dalla crisi post guerra ucraina hanno dato ali alla folla, che ha preso d’assalto il palazzo presidenziale.

Scene da rivoluzione colorata che sembrano destinate a ripetersi su scala globale, dato che il combinato disposto guerra-sanzioni sta alimentando simili insoddisfazioni in tutto il mondo.

Oltre all’incontro fugace di cui sopra, nel G-20 si sono registrati altri due convegni significativi: quello del ministro degli Esteri cinese con i suoi omologhi di Australia e Stati Uniti. Poco da dire sul primo, su quello tra Wang Yi  e Penny Wong, se non che cade dopo tre anni di aperta ostilità tra i due Paesi.

Tale incontro distensivo è stato possibile anche per la nuova disposizione degli Stati Uniti verso Pechino, segnalata dall’interminabile incontro – il secondo dei due incontri citati sopra – tra Blinken e Wang Yi: cinque ore di conversazione.

I report riferiscono che Blinken avrebbe cercato di convincere Pechino a non fornire supporto alla Russia, ma è più che improbabile che sia stato questo il focus del dialogo, dal momento che Washington sa perfettamente che al momento ciò è semplicemente impossibile.

Piuttosto, Blinken era stato investito di una missione ben precisa: cercare vie per rilanciare gli scambi bilaterali in questo momento di crisi o, per dirla un po’ più brutalmente, pietire dalla Cina un aiuto per vincere le prossime midterm, dal momento che l’inflazione galoppante sembra dover condannare il partito democratico alla sconfitta.

I cinesi, cioè, dovrebbero aiutare gli Usa a stemperare l’inflazione, così da arrivare alle citate elezioni con qualche punto in mano.

Anche se non appare, la politica estera, nelle sue linee essenziali, è sempre interconnessa con quella interna. Ciò è particolarmente vero per l’Impero e va tenuto presente perché fattore non secondario di quel che farà l’America nei prossimi mesi.

Perché dalle elezioni di midterm dipende tanto, se non tutto, del futuro dell’Impero, e le élite attualmente al potere ne sono consapevoli.

Hanno paura di perdere, ma proprio la Paura potrebbe essere la loro più grande alleata, come ha teorizzato Ana Marie Cox in un articolo del New York Times (dedicato al tema dell’aborto) pubblicato l’8 luglio scorso con questo titolo: “I democratici possono vincere se abbracciano la politica della paura”.

 

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