Il Manifesto di Ventotene e Giorgia Meloni
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di Alessandro Volpi*
Non sono affatto stupito delle dichiarazioni di Giorgia Meloni sul Manifesto di Ventotene. E' evidente che i contenuti e i valori di tale documento non possono essere i suoi. Ma non sono stupito neppure della colossale opera di mistificazione storica che la presidente del Consiglio ha operato nel momento in cui ha tradotto il riferimento di Rossi, Spinelli e Colorni alla esigenza di una dittatura rivoluzionaria come se fosse un sinonimo, in termini concettuali, della dittatura del proletariato di leniniana memoria.
Meloni ha volutamente ignorato il momento in cui il Manifesto veniva redatto e l'esigenza di uno sforzo di organizzazione della lotta contro il nazifascismo che implicava, secondo gli estensori, condizioni eccezionali di fronte ad uno smarrimento popolare dettato da anni di regime. Per Giorgia Meloni il regime non era regime, ma soprattutto quel termine "dittatutura" le ha consentito, appunto, di evocare quanto fossero "antidemocratici" quei "socialisti", trasformati dalla ferocia della premier in veri e propri bolscevichi. In fondo, lo schema è sempre il solito: falsificare la realtà, sia che si tratti di questioni della più stretta attualità sia che si tratti di fenomeni storici. Il Manifesto di Ventotene per Meloni è un testo comunista, redatto da un gruppo di antidemocratici che erano finiti al confino per le loro strampalate idee. Solo così, solo con la mistificazione si può costruire una narrazione al contrario dove i fautori della dittatura erano i perseguitati dalla dittatura. Si tratta di un metodo che declina l'idea di democrazia solo nei termini del consenso e in base al consenso ritiene legittimo manipolare in profondità la verità. Questo mi sembra il vero pericolo, ben oltre le opinioni personali della premier nei confronti di Rossi, Colorni e Spinelli che certo non possono stare nella sua tradizione.
Meloni ha volutamente ignorato il momento in cui il Manifesto veniva redatto e l'esigenza di uno sforzo di organizzazione della lotta contro il nazifascismo che implicava, secondo gli estensori, condizioni eccezionali di fronte ad uno smarrimento popolare dettato da anni di regime. Per Giorgia Meloni il regime non era regime, ma soprattutto quel termine "dittatutura" le ha consentito, appunto, di evocare quanto fossero "antidemocratici" quei "socialisti", trasformati dalla ferocia della premier in veri e propri bolscevichi. In fondo, lo schema è sempre il solito: falsificare la realtà, sia che si tratti di questioni della più stretta attualità sia che si tratti di fenomeni storici. Il Manifesto di Ventotene per Meloni è un testo comunista, redatto da un gruppo di antidemocratici che erano finiti al confino per le loro strampalate idee. Solo così, solo con la mistificazione si può costruire una narrazione al contrario dove i fautori della dittatura erano i perseguitati dalla dittatura. Si tratta di un metodo che declina l'idea di democrazia solo nei termini del consenso e in base al consenso ritiene legittimo manipolare in profondità la verità. Questo mi sembra il vero pericolo, ben oltre le opinioni personali della premier nei confronti di Rossi, Colorni e Spinelli che certo non possono stare nella sua tradizione.
*Post Facebook del 19 marzo 2025